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Dante ci avverte: attenti alla banalità del male

Nei momenti difficili la tendenza a non pensare si fa più forte e il rischio di dimenticarci degli altri aumenta drasticamente. Abbiamo paura, ci sentiamo fragili e insicuri, e così abbassiamo lo sguardo e diventiamo manipolabili. Una riflessione sul tempo che stiamo vivendo e sulle scelte che dovremo fare

di Giuseppe Lorenzetti

“io non so ben ridir com'i' v'intrai, / tant'era pien di sonno a quel punto / che la verace via abbandonai. […]”. Inferno, canto primo, il Poeta si ritrova nella selva oscura, ma non sa dire come vi è entrato. In questo momento colmo di confusione, i classici ci riportano con i piedi per terra e ci aiutano a orientarci dove crollano le antiche certezze. In soli tre versi, Dante Alighieri 700 anni fa spiegava con grande chiarezza e semplicità come si smarrisce la strada. La storia ci insegna che i “cattivi” quasi sempre non sanno di esserlo. Hanno sonno, come il pellegrino della Divina Commedia, la loro vista è annebbiata dal torpore e così, senza accorgersene, perdono la “verace via”.

Nel 1940, a pochissimi anni dalla nascita del nazismo, nelle sale americane esce uno dei più grandi capolavori di Charlie Chaplin. La parodia somiglia tristemente al vero. Il grande dittatore è essenzialmente buffo. Un uomo insicuro, artista fallito, che vuole rilanciarsi e rilanciare il suo Paese. Si usa dire che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Sono quasi certo che se potessimo parlarci ora, ci direbbe di aver fatto ogni cosa a fin di bene. E’ entrato ormai a far parte del gergo comune il titolo della grande opera di Hannah Arendt, eppure spesso non ci rendiamo conto di quanto dilagante sia la banalità del male.

La filosofa tedesca seguì da vicino il processo Eichmann a Gerusalemme e fu capace di capire ciò che accadde. Il gerarca nazista che organizzò la deportazioni di milioni di ebrei nei campi di concentramento non era un diavolo, ma un uomo comune, semplice, ordinato, che nella sua rettitudine aveva eseguito gli ordini che arrivavano dall’alto. Come era stato possibile, che persone apparentemente innocue, premurosi padri di famiglia, amanti della natura e degli animali, potessero diventare esecutori di uno dei più terribili genocidi della storia? Semplicemente si erano astenuti dal pensare.

Ma la cosa più triste è che questo vizio non si dimentica facilmente. Nel film di Giulio Ricciarelli del 2014, “Il labirinto del silenzio”, si racconta la storia vera di un giovane procuratore che si batte per la verità. Tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ’60, la maggior parte dei tedeschi non sapeva ciò che era accaduto nei campi di concentramento. Ex ufficiali delle SS sotto gli occhi di tutti si erano riciclati insegnanti delle elementari, panettieri, uomini d’affari. Più il procuratore va avanti e più non vuole credere a ciò che scopre e, seppur ostacolato dall’opinione pubblica, riesce ad arrivare a processo nel 1963. Il processo di Francoforte fu il primo processo per cimini dell’Olocausto che si tenne di fronte ad una corte tedesca. Erano passati vent’anni dalla fine della seconda guerra mondiale.

Nei momenti difficili la tendenza a non pensare si fa più forte e il rischio di dimenticarci degli altri aumenta drasticamente. Abbiamo paura, ci sentiamo fragili e insicuri, e così abbassiamo lo sguardo e diventiamo manipolabili. Il miracoloso sviluppo della tecnologia ha portato l’amato progresso, ma nello stesso tempo ha emarginato il discorso sull’etica. In tanti hanno denunciato la confusione di una tecnica che da strumento si trasforma in fine e ci fa perdere ogni tipo di ragionamento sul senso di ciò che facciamo e di ciò che accade nel mondo. Il periodo che stiamo attraversando ci mette a dura prova.

Esimi politici minacciano le libertà fondamentali dei cittadini, come padri di famiglia con adolescenti ribelli. Capi dello Stato rispondono come bambini offesi a domande critiche di giornalisti che fanno il loro lavoro. Enormi conflitti d’interesse inducono al sospetto anche il più solido anti-complottista. Saranno di più quelli che sceglieranno di pensare o quelli che preferiranno non farlo? Dipende da ognuno di noi.


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