Media, Arte, Cultura

A lezione di progetti da Christo

È stato un grande artista immaginifico. Ma la sua esperienza insegna un metodo che può esser applicato su orizzonti molto diversi e vicini alla quotidianità del mondo non profit. Più che celebrarlo dopo la sua morte, ci sono cose preziose da imparare

di Giuseppe Frangi

Avendolo visto all’opera nel grande cantiere delle passerelle galleggianti mi sono convinto che Christo sia uno di quegli artisti da cui c’è da imparare. Non nel senso ideale o culturale o morale del termine, ma in senso strettamente concreto. Provo a razionalizzare (che mi sembra il miglior modo per “celebrarlo”).

Christo è stato un formidabile elaboratore di progetti. Per lui progetto è una parola, densa, piena, senza addentellati di convenienza. Sta sempre aderente all’etimologia della parola: “gettare avanti”. Progetto è dare luogo alla cosa che non c’era, che nessuno aveva neanche immaginato. Si può pensare che poteva permetterselo in quanto artista: fare la cosa “inutile”, superflua per quanto bella. Non è così, perché i progetti immaginati da Christo e da sua moglie Jeanne-Claude reggevano se alla fine rivelavano una loro inaspettata necessità. Nel loro caso la necessità è legata a un fattore immateriale, ad esempio un cambiamento dell’immaginario collettivo rispetto ad un contesto o ad una situazione. Per garantirsi questo, il progetto doveva essere obbligatoriamente audace: per l’obiettivo che si poneva innanzitutto; poi per le dimensioni, per l’impegno e le energie richieste. Il progetto non come reimpacchettamento delle cose, ma come invenzione di cose nuove. Anche se portato su una scala necessariamente diversa rispetto a quella consueta a Christo e Jeanne-Claude, il principio non vien meno. Questo criterio base, da loro sempre applicato, è infatti qualcosa che sta nel dna di ogni vero progetto.

Avere un’intuizione geniale non esenta dall’attenzione ai dettagli. L’idea non diventa cosa se non c’è una determinazione feroce nella prassi. Christo era impressionante da questo punto di vista, perché pur muovendosi su progetti assolutamente visionari, stava sempre con i piedi per terra. Tanto grande era l’audacia dell’idea, e altrettanto grande doveva essere la capacità di controllo della situazione in ogni istante. Più si votava all’impossibile, più si garantiva il perfetto funzionamento del possibile…

Un progetto per essere tale non deve essere possesso di chi l’ha immaginato e realizzato: deve potersi liberare da quel cordone ombelicale. Christo è stato tanto radicale su questo punto, da imporre un meccanismo a orologeria: nessun progetto doveva durare più di 16 giorni. Scaduto il tempo si dissolveva. Dissolvendosi non era più nelle mani di nessuno, ma semmai viveva nell’immaginario e nel cuore di tanti (pensate alle passerelle galleggianti sul Lago d’Iseo: sogno sperimentato di un’alleanza amorosa e fattiva con la natura). Il progetto per sua natura alla fine cammina libero…

Infine, la lezione più coraggiosa, quella che riguarda le risorse. Christo, com’è noto, non voleva sostegni pubblici né sponsor. Si ripagava quelle imprese costosissime con un meccanismo alimentato dal fascino stesso del progetto: metteva sul mercato i bozzetti e i disegni realizzati in fase di creazione. Più il progetto funzionava, più si ripagava. Un meccanismo generato dalla convinzione, dall’audacia e naturalmente anche dal quel fattore in più che accende il desiderio delle persone: la bellezza.


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