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Il sapore dolceamaro del Reddito di Emergenza

Proposta da una coalizione sociale di scopo, il Reddito di Emergenza dà sostegno a 2 milioni di persone che, senza Rem, non avrebbero potuto contare su alcuna misura di welfare nella crisi generata dal Covid19. Soddisfazione complessiva per la misura, ma timori legati ad accessibilità (la procedura più laboriosa è stata prevista proprio per la misura rivolta a chi sta peggio) e durata (due mesi sono troppo pochi). Un'intervista a Cristiano Gori

di Sara De Carli

Nell’aprile 2017, quando Governo e Alleanza contro la Povertà firmarono il Memorandum sul Reddito di Inclusione, Cristiano Gori – che dell’Alleanza tre anni e mezzo prima era stato l’ideatore – evidenziò come quella «prima volta» fosse importante per il metodo oltre che per il risultato: «speriamo che questa “prima volta” possa aprire la strada a nuove forme di rapporto fra soggetti sociali e istituzioni su vari temi di politiche sociali. L’esperienza dell’Alleanza conferma che se si vuole provare a migliorare le cose, l’unica strada è quella di lavorare insieme tra i diversi soggetti sociali interessati, e di farlo confrontandosi con il potere in merito alle precise risposte concrete da mettere in campo». Tre anni dopo, in piena emergenza Coronavirus, il Reddito di Emergenza è un altro risultato di un processo per certi versi analogo, raggiunto di nuovo grazie a una coalizione sociale di scopo, cioè diversi attori sociali che si uniscono per perseguire un preciso cambiamento delle politiche di welfare, oggi l’introduzione del Rem. È nata così una misura che raggiunge gli ultimi fra gli ultimi, quelli che senza di essa non avrebbero avuto diritto ad alcun aiuto nell’emergenza sanitaria del Covid-19. La coalizione di scopo questa volta ha visto in campo Forum Disuguaglianze Diversità e Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), insieme a Cristiano Gori: era il 30 marzo quando hanno presentato la proposta di un Reddito di Emergenza, arrivato poi con il decreto Rilancio pubblicato in GU il 19 maggio. Intervistiamo il professor Gori oggi, in occasione della presentazione di un documento nel quale si propone un bilancio della proposta.

Il Reddito di Emergenza l’avete proposto a fine marzo. Secondo la ministra Catalfo, solo fra il 22 e il 28 maggio sono arrivate all’INPS oltre 100mila domande. Un successo?
La nostra valutazione prevalente è di soddisfazione per l’introduzione del Rem. Grazie al Rem, tante persone e famiglie in condizioni di particolare difficoltà avranno un sostegno concreto in una fase così difficile: questo è ciò che conta. Tuttavia, alla soddisfazione si accompagna un sentimento di preoccupazione. Infatti, le significative differenze presenti tra la proposta originaria e la misura effettivamente introdotta convergono nell’alimentare un timore di fondo: quello di non riuscire a sostenere una parte della popolazione economicamente più fragile in un passaggio storico così complicato.

Quante sono le persone/nuclei che senza questa misura, nella crisi Coronavirus non avrebbero potuto accedere ad alcuna misura di sostegno? Così quante ne copriamo?
Le stime del Governo parlano di 867.600 nuclei famigliari, pari a 2.016.000 individui, per una spesa di 954 milioni di euro. Come termine di paragone, si pensi che attualmente ricevono il Reddito di Cittadinanza 2,4 milioni di persone. È una misura per i nuclei in cui nessuno lavora ma che per varie ragioni non rientrano nel Reddito di Cittadinanza, per alcuni lavoratori atipici, per i cittadini stranieri e per tanti altri che, per svariate ragioni, si trovano in grave difficoltà economica a causa dell’insorgere del Covid-19 e non sono coperti da altre prestazioni di welfare.

Grazie al Rem, tante persone e famiglie in condizioni di particolare difficoltà avranno un sostegno concreto in una fase così difficile: questo è ciò che conta. Tuttavia, alla soddisfazione si accompagna un sentimento di preoccupazione. Infatti, le significative differenze presenti tra la proposta originaria e la misura effettivamente introdotta convergono nell’alimentare un timore di fondo: quello di non riuscire a sostenere una parte della popolazione economicamente più fragile in un passaggio storico così complicato. Le analisi svolte per noi da Irpet Toscana sollevano il dubbio che una parte minoritaria dei poveri, al massimo il 15%, rimanga scoperta

Cristiano Gori

Quali sono le principali differenze tra la vostra proposta e la misura effettivamente introdotta?
Partirei dalla principale somiglianza: il Governo ha assunto la logica di non lasciare nessuno escluso e questa è la cosa più importante. Sono i numeri degli aventi diritto richiamati sopra che danno un senso al Rem. Le analisi svolte per noi da Irpet Toscana sollevano il dubbio che una parte minoritaria dei poveri, al massimo il 15%, rimanga scoperta. Chi è esterno all’amministrazione statale non possiede le informazioni per rispondere a questo interrogativo: sarebbe opportuno, però, che chi può lo facesse. In ogni modo, pur con questo possibile “buco” da verificare ed eventualmente aggiustare, l’obiettivo di dare il diritto ad una prestazione a chiunque sia in grave difficoltà economica è sostanzialmente raggiunto.

Venendo alle differenze?
Alcune differenze rilevanti riguardano l’effettiva accessibilità della misura, determinata dall’insieme delle procedure che permettono a chi ne ha diritto di fruire del Rem. Speriamo di sbagliarci, ma questo punto oggi è per noi fonte di preoccupazione. Innanzitutto, noi chiedevamo una campagna informativa straordinaria sul Rem e sulle altre misure del pacchetto anti-crisi, mirata a farne conoscere alla popolazione interessata l’esistenza, i possibili beneficiari e le modalità di presentazione della domanda; la campagna avrebbe dovuto essere costruita con particolare attenzione a coloro i quali hanno minore istruzione e cultura. Ad oggi non è stato previsto nulla di tutto ciò. Nella nostra proposta, il Rem – nella sua fase di vigenza – avrebbe dovuto sostituire il Reddito di Cittadinanza (RdC) per i nuovi richiedenti. Inoltre, per quanto riguarda l’insieme delle misure di tutela del reddito legate all’insorgere della pandemia, la nostra proposta ne prevedeva poche e dai rispettivi ambiti di responsabilità delimitati. Nel Decreto “Rilancio”, invece, il Rem va ad affiancarsi al RdC ed è destinato a chi non gode né di questa né di altre forme di tutela del reddito. Inoltre, le altre prestazioni disponibili sono numerose e dai confini non sempre chiari. Dunque, noi chiedevamo una sola misura contro la povertà e complessivamente poche prestazioni, mentre vi sono due misure contro la povertà e molte prestazioni. La frammentazione che si è così venuta a creare renderà difficile per molti comprendere se rientrano tra gli aventi diritto al Rem.

Per presentare domanda serve un Isee valido: è una barriera all'accesso, in questo momento così particolare?
Per chi detiene un Isee valido, la presentazione della domanda risulta assai facile. Diverso è il caso di chi non è in possesso di tale documento e deve chiederne la compilazione, svolta principalmente da Caf e Patronati, rendendo così più complicata la procedura e allungandone i tempi; questi ultimi, peraltro, sono piuttosto stretti poiché si può presentare domanda esclusivamente dal 22 maggio al 30 giugno. In particolare, la necessità di disporre dell’Isee potrebbe rappresentare un ostacolo per tutti coloro i quali sono oggi al di fuori della rete del welfare pubblico e che, pertanto, ne sono privi. Poiché L’Isee viene abitualmente predisposto per definire l’accesso e/o la compartecipazione alla spesa nei servizi pubblici, avere un Isee aggiornato significa solitamente essere già beneficiari di misure di welfare pubblico. Tuttavia, a selezionare l’utenza saranno – in gran parte – le soglie di reddito e di patrimonio, e non l’Isee perché il suo livello previsto come soglia di accesso (15.000 euro) è decisamente elevato per una misura di questo genere. Dunque, l’Isee viene richiesto ma perlopiù non serve per decidere chi debba ottenere il Rem dal momento che si sa che il 72% della popolazione Isee ha un Isee inferiore a 15mila euro, che per misure di questo tipo sono una soglia altissima. In una fase storica nella quale semplicità e rapidità di erogazione rappresentano la priorità, non è immediato comprendere la ragione che ha portato ad aggiungere un ulteriore criterio, che implica l’elaborazione di una specifica modulistica, che però non viene utilizzato al fine di selezionare l’utenza.

Gli importi mensili previsti sono significativi e in grado di rispondere alle esigenze della popolazione interessata, ma i mesi sono troppo pochi. Peraltro, tutte le misure attuali sono dichiarate come a termine per la prima fase post crisi, ma il concetto di “prima fase” post crisi è per sua stessa natura indeterminato: in sostanza non ci sono dubbi che le misure devono essere a termine, ma non si sa dove bisognerà porre quel termine. Guardando avanti, il grande tema è come riformare il Reddito di Cittadinanza per adattarlo al mutato contesto socio-economico.

Cristiano Gori

E allora perché chiederlo?
Il Ministero ci ha detto che solo la presenza dell’Isee rende possibile all’Inps processare le domande – e quindi erogare le prestazioni – in tempi brevi. Non abbiamo motivo di dubitare di questa risposta ma si tratta di un argomento non verificabile perché chi si trova al di fuori dell’amministrazione pubblica non possiede una conoscenza dell’infrastruttura Inps pari a quella di chi ne fa parte. In sintesi, chi è all’esterno dell’amministrazione non può giudicare la scelta compiuta e, proprio per questo, sarebbe stata auspicabile un’assunzione di responsabilità pubblica su questo punto da parte del Governo, come da noi richiesto.

Il Rem durerà due mesi. È abbastanza?
A oggi misure simili a livello internazionale – ci dicono gli studi della Banca Mondiale – hanno una durata di tre mesi e così era anche per il Rem sino a pochi giorni prima della presentazione del Decreto Rilancio. D’altra parte, gli importi mensili previsti sono significativi e in grado di rispondere alle esigenze della popolazione interessata. Si può riassumere così: gli importi mensili vanno bene, ma i mesi sono troppo pochi. Peraltro, tutte le misure attuali sono dichiarate come a termine per la prima fase post crisi, ma il concetto di “prima fase” post crisi è per sua stessa natura indeterminato: in sostanza non ci sono dubbi che le misure devono essere a termine, ma non si sa dove bisognerà porre quel termine.

La sa anche lei l’obiezione che gira: stiamo facendo tante misure assistenziali, a debito. Tutto che oggi sembra gratis, graverà sulle spalle dei nostri figli e nipoti.
Me se non si fanno misure assistenziali nei primi mesi dopo il più grande shock del dopoguerra, quando si fanno? Chiaro che in prospettiva abbiamo bisogno di altro, ma queste non sono misure in prospettiva: sono esclusivamente “cerotti” per l’immediato. Però se ci sono sei mesi in cui questa critica non funziona, sono proprio questi: significa non saper leggere il contesto. Ciò detto, guardando avanti, il grande tema è come riformare il Reddito di Cittadinanza per adattarlo al mutato contesto socio-economico.


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