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“Non possiamo pensare ai sogni, dobbiamo pensare ai soldi”

A pronunciare questa frase è un quattordicenne della Zisa, nel nuovo film del regista e documentarista Pierfrancesco Li Donni, "La nostra strada". A tema la ricerca della propria identità e del proprio futuro da parte di quattro ragazzini, fra dispersione scolastica e lavoretti in nero. Il film è in concorso al 16° Biografilm Festival e venerdì sera sarà trasmesso in streaming su MyMovies

di Sara De Carli

«Non siamo più bambini, non dobbiamo pensare ai sogni. Dobbiamo pensare ai soldi». Colpisce come un pugno nello stomaco questa frase, perché a pronunciarla sono dei ragazzini di 14 anni. Al prof che chiede loro dove si immaginano di lì a un anno, rispondono che saranno a lavorare. Dinanzi all’obiezione dell’obbligo scolastico fino a 16 anni, sorridono e fanno spallucce. Sogni e speranze, disincanto e accettazione: sono questi i poli opposti che delimitano la dimensione dell’adolescenza alla Zisa di Palermo.

Ne parla La nostra strada, il nuovo film del regista e documentarista Pierfrancesco Li Donni in concorso al 16° Biografilm Festival in programma dal 5 al 15 giugno. Il film sarà trasmesso online gratuitamente venerdì 12 giugno alle ore 21 in streaming sulla piattaforma MyMovies.it e sarà disponibile per 24 ore prenotando un posto nella sala virtuale del festival (previa registrazione sul sito www.mymovies.it).

A quattro anni di distanza da Loro di Napoli (vincitore come miglior film italiano al Festival dei Popoli, del premio Télérama al FIPA di Biarritz e del Docs MX di Città del Messico), il regista palermitano rimette al centro del proprio sguardo un’altra periferia. Percorre la Zisa sui passi di quattro adolescenti al loro ultimo anno alle scuole medie, attraverso il “pedinamento zavattiniano”: Daniel, Morena, Desirée e Simone, che frequentano la III B della scuola media Bonfiglio. Un anno di passaggio, dominato dal cambiamento e dall'incertezza. I ragazzi vanno in cerca della loro strada, in un quartiere dove la disoccupazione tocca punte del 50%. Colonna Rotta è un quartiere a sé: tutti conoscono tutti e i ragazzi della III B abitano, in buona parte, a un tiro di schioppo l’uno dall’altro. Di giorno vanno a scuola, di pomeriggio sono a casa o per strada. Vivono in simbiosi con il quartiere. L’emergenza Coronavirus ha ulteriormente amplificato le diseguaglianze tra chi può permettersi di seguire le lezioni online e chi no, aggravando il livello di esclusione sociale dei ragazzi, il rischio di povertà educativa e di abbandono scolastico.

«Non abitavo a Palermo da dieci anni e non ci avevo mai abitato da adulto», dice Pierfrancesco Li Donni, il regista. «Questo film mi ha permesso di ricascarci dentro, di riscoprirne i respiri e gli umori, i vicoli e le strade. La Zisa, Colonna Rotta, via Imera… è uno dei quartieri con il più alto numero di minori presunti autori di reato e ha il record cittadino di minori segnalati alle autorità giudiziarie e ai servizi sociali. Volevo ripartire da qui per mettere l’accento su tematiche sociali a me care, dando voce a un universo schiacciato da una narrazione unidirezionale quasi sempre legata a mafia e cronaca nera e che in me, invece, ha sempre fatto risuonare domande e interrogativi profondi che richiamano la complessità di Palermo, delle metropoli, di tutte le periferie del mondo e dei tanti conflitti che innescano disuguaglianze che segnano i destini di intere generazioni».

L’idea, raccontando via Colonna Rotta, era quella di «mettere in comunicazione due mondi che poco comunicano: quello dei protagonisti del film e quello degli spettatori del film, entrambi vittime di una reciproca indifferenza». Dalla primavera 2017 Li Donni ha frequentato la scuola media Bonfiglio, andando in classe tre volte alla settimana. «Sono stato seduto all’ultimo banco a prendere appunti sui comportamenti dei ragazzi, sulle lezioni. Non sapevo chi avrei raccontato e dove la mia ricerca mi avrebbe portato, e non volevo che i ragazzi sapessero della mia intenzione di fare un film. Immaginavo di partire dalla classe per aprirmi all’universo di Colonna Rotta, e che la classe dovesse essere una sorta di contenitore da dove sarebbero prima partite e poi confluite le storie. Poi, invece, dopo un lungo periodo di osservazione passato a stretto contatto con Desirée, Morena, Daniel e Simone, ho costruito una struttura narrativa che tenesse conto della vita dei piccoli protagonisti lontano dalla classe: perché era fuori dalla classe che ritrovavo il senso del film. Così ho cominciato a pedinare i ragazzi seguendoli per mesi e mappando il loro modo di stare al mondo, i loro luoghi, gli interessi, le loro famiglie e l’interazione con la classe e i compagni, lasciandomi guidare dall’intuizione di seguirli anche l’anno successivo, quello lontano dalla scuola, dove i ragazzi si sono consegnati al quartiere e al mondo del lavoro nero, nutrendo il loro desiderio di diventare subito adulti. Così è stato per Simone, finito a vendere frutta con i parenti poco più grandi, per Desirée guidata dal suo desiderio di indipendenza a lasciare la scuola e a provare il lavoro di banconista nei panifici di mezza Palermo e per Daniel che però, nonostante tutto, ha continuato ad andare a scuola imparando a dare un nome alle cose che sapeva già fare».

Questo è il percorso del film: «Un lavoro che prova a restituire fino in fondo il senso della difficile e rocambolesca vita di questi ragazzi, nati, forse, nella parte sbagliata della città, quella che troppo spesso non conosce i diritti e che rimane incastrata dentro dinamiche ambigue che prosciugano sogni e segnano le esistenze».


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