Politica & Istituzioni

Con il Reddito di Cittadinanza hanno trovato lavoro appena 40mila persone

Sono state raggiunte dopo un anno 2,5 milioni di persone (contro i 3,5 milioni attesi). C'è un minore solo in una famiglia su tre beneficiaria di Reddito/Pensione di Cittadinanza. Restano fuori troppi stranieri. Buono il contributo nel contrasto della povertà assoluta, largamente insoddisfacente quello per le politiche attive del lavoro. Così il giudizio della Corte dei Conti a un anno di attuazione del Reddito di Cittadinanza

di Sara De Carli

«Con riferimento ai dati relativi a tutto il 2019 i nuclei familiari raggiunti dal programma sono stati 1.041.000 (compresi i beneficiati di Pensione di cittadinanza) con il coinvolgimento di poco più di 2,5 milioni di persone. Si tratta di nuclei che vivono prevalentemente nel Mezzogiorno (60,6%), che sono per il 36% monocomponente e che per l’88% hanno un capofamiglia con cittadinanza italiana. Si registra la presenza di minorenni nel 36% delle famiglie beneficiarie, mentre nel 21% dei nuclei familiari sono presenti persone disabili»: sono i dati relativi al Reddito e Pensione di cittadinanza che si leggono nel Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti, pubblicato il 28 maggio. «L’importo medio del beneficio economico erogato dal programma è pari a 493 euro mensili (532 euro per il Reddito di cittadinanza, 222 per la Pensione di cittadinanza); quello delle famiglie monocomponenti ammontava, in particolare, a 392 euro e quello delle famiglie con 5 componenti a 625 euro mensili».

Ed ecco il giudizio della Corte dei Conti: «I risultati in termini di nuclei familiari coinvolti sono al di sotto delle stime, le quali, nelle valutazioni ufficiali per il 2019, contemplavano 1.248.000 famiglie e circa 3,5 milioni di persone da sostenere». Lo strumento, a un anno di distanza dall’approvazione, «si conferma in grado di fornire un buon contributo al contrasto della povertà assoluta. Secondo valutazioni preliminari, grazie al Reddito di cittadinanza (RdC) il tasso di povertà assoluta potrebbe essersi abbassato di 1,5 punti (dall’8,4 al 6,9%). Effetti sarebbero stati registrati anche in termini di distribuzione del reddito: l’indice di Gini, che ne misura il grado di concentrazione, dovrebbe essersi ridotto al 31,4%, dal 32,5 nel 2018. Tuttavia, la valutazione degli esiti del RdC deve tenere conto di più profili e, al di là degli aspetti quantitativi (per esempio un tasso di coinvolgimento dei nuclei familiari inferiore agli obiettivi), sono molti i punti che l’esperienza del primo anno suggerisce di scrutinare al fine di un possibile miglioramento. L’ammontare di risorse appare sbilanciato a danno dei nuclei numerosi e con la presenza di minori e disabili. Non vi è un tasso di coinvolgimento delle famiglie con cittadinanza diversa da quella italiana proporzionato alla diffusione della povertà in tali segmenti di popolazione. Il ruolo dei servizi sociali dei Comuni, rispetto a quello dei Centri per l’impiego, può crescere di molto. Maggiore potrebbe essere il coinvolgimento, nella gestione del programma, del terzo settore. Sono tematiche che andranno affrontate tenendo anche conto del nuovo contesto economico e sociale creato dall’emergenza epidemiologica da Covid-19».

In tale quadro «andranno probabilmente meglio tarati alcuni aspetti, garantendo anche un adeguato coordinamento tra RdC e talune delle misure varate a contrasto delle difficoltà economiche generate dalla crisi sanitaria a partire dall’istituzione, di cui all’art. 44 del d.l. 18/2020, del Fondo per il reddito di ultima istanza. Affinché allo strumento possano essere assegnati anche compiti di contrasto temporaneo di situazioni di disagio economico come quelle conseguenti all’emergenza in corso, resta cruciale la possibilità che l’Isee, l’indicatore che misura la situazione economica del nucleo familiare, sia rapidamente aggiornabile, sì da essere in grado di fotografare l’effettivo stato di bisogno delle famiglie».

E il lavoro? Duro il giudizio della Corte dei Conti: «Per quel che riguarda il secondo pilastro del RdC, quello finalizzato a promuovere politiche attive per il lavoro, i risultati appaiono al momento largamente insoddisfacenti e confermano le perplessità avanzate dalla Corte al suo avvio. I dati a disposizione, comunicati dall’Anpal Servizi, evidenziano che alla data del 10 febbraio 2020, i beneficiari del RdC che hanno avuto un rapporto di lavoro dopo l’approvazione della domanda sono circa 40mila. Soprattutto, non si intravvedono segni di un maggiore dinamismo dei Centri per l’impiego rispetto al passato. Elaborazioni della Corte sui microdati delle rilevazioni trimestrali sulle forze di lavoro (situazione di fine settembre 2019) confermano la persistenza delle caratteristiche deficitarie dei CPI: a) resta modesta, pari al 23,5%, la quota di persone che, nell’anno terminante a settembre, hanno cercato il lavoro tramite i Centri (23,3% a fine 2018); b) risulta estremamente limitata, pari al 2,2% la quota di persone che hanno trovato lavoro tramite i CPI; c) si conferma predominante il ruolo dei canali informali (parenti, amici e conoscenti) nella ricerca del lavoro (l’87,2%, contro l’87,9% nel 2018). Sono dati che mostrano come permangano elevati gli spazi di miglioramento che l’Italia ha nel campo dei servizi per favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro e come la meritoria sfida del rilancio dei Centri per l’impiego resti da vincere».

Foto Unsplash


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