Solidarietà & Volontariato

Beni confiscati, disco verde agli affidamenti diretti al Terzo settore

L’Agenzia per i beni confiscati vara le linee guida e prepara il primo bando per affidare 3mila immobili a realtà non profit, senza passare per gli Enti locali

di Luca Cereda

Sono tremila gli immobili sottratti alle mafie dalle inchieste delle forze dell’ordine e della magistratura che verranno presto assegnati direttamente ad associazioni ed enti del Terzo settore, senza il coinvolgimento degli enti locali. «Questo è un cambiamento nel solco della legge Rognoni – La Torre (legge n. 646/1982), la norma che regola il sequestro dei beni della criminalità organizzata, e approvata dopo l’uccisione del segretario del Pci siciliano Pio La Torre il 30 aprile 1982, e del prefetto di Palermo, il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, avvenuto il 3 settembre dello stesso anno», afferma Davide Pati, vicepresidente di Libera e responsabile dei beni confiscati per l’associazione. Il bando arriverà intorno alla metà di giugno, ha dichiarato la direzione dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC).

Le linee guida del bando
La riforma dell’assegnazione diretta dei beni confiscati alla mafia al Terzo settore era stata prevista nella riforma del codice antimafia del 2017 e che si aggiunge alle altre forme di destinazione che comunque rimangono: quelle per finalità statali, pubbliche e di supporto ad enti comunali e da lì, l’assegnazione di questi ultimi alle associazioni o agli enti del Terzo settore. «L’obiettivo è sempre quello dell’assegnazione a scopo sociale», spiega Pati. Questa è una decisione che attua per la prima volta le norme del Codice antimafia «che consente all’Agenzia di trasferire in uso ai soggetti del privato sociale beni immobili confiscati in via definitiva, con l’osservanza dei principi di pubblicità e trasparenza». Gli immobili affidati in via diretta verrebbero assegnati con contratti di uso gratuito almeno decennali, per dare anche una stabilità temporale adeguata a progetti per la collettività. I criteri approvati dal consiglio direttivo dell’Agenzia prevedono che le associazioni interessate possano presentare «progetti di funzionalizzazione e di recupero del bene confiscato in relazione a cinque aree tematiche che spaziano dal sociale, a ricerca e occupazione, salute e prevenzione, fino a cultura, sicurezza e legalità», si legge sul sito di ANBSC.

E i Comuni?
Il bando intende valorizzare la capacità dei soggetti appartenenti al Terzo settore, in una logica di «sussidiarietà orizzontale e di solidarietà che rispecchia valori e principi ispiratori della normativa sui beni confiscati alle mafie», aggiunte il vicepresidente di Libera. Ciò non vuol dire che Comuni, Province e Regioni verranno estromessi in assoluto. Tra i criteri del bando, si legge nel documento di ANBSC, per mantenere una «correlazione con le autonomie territoriali competenti in materia di welfare sociale è prevista una clausola preferenziale» per i progetti sostenuti da amministrazioni locali con una partnership che «si concretizzi anche attraverso la disponibilità ad acquisire la proprietà del bene».


La situazione attuale
Cinquantamila euro per progetto. «Questo è reso possibile impiegando le risorse previste nell’ultima legge di Bilancio, stanziate per il triennio 2020-2022. Un milione di euro per ciascuna annualità», racconta Davide Pati. Uno dei problemi, rispetto al riuso a scopo sociale di beni confiscati, è infatti la necessità di fondi iniziali e la difficoltà annessa nel reperirli. «Inoltre, in questo periodo di emergenza sanitaria ed emergenza sociale, dove le fragilità delle persone e delle famiglie si toccano con mano, per il Terzo settore, avere la possibilità di usare questi luoghi in maniera veloce e rapida è fondamentale per far fronte anche alle nuove povertà causate dal coronavirus». Questi beni confiscati alla criminalità organizzata diventano un luogo di lavoro, lavoro onesto e pulito.

La situazione attuale dei beni confiscati
Fra il 2010 e il 2018 sono stati sequestrati o confiscati dalle forze dell’ordine ai potenti gruppi criminali oltre 65mila beni mobili, immobili, aziende e conti correnti. Tuttavia, da quando esiste la legge Rognoni-La Torre i beni riassegnati sono stati solo 15mila, di cui 12mila a Comuni, Province e Regioni. «In Italia ci sono ancora da destinare per scopo pubblico e sociale, 17.318 beni immobili e oltre 3mila aziende confiscati alle mafie. Di questi, 1898 sono in Lombardia e 741 in provincia di Milano», descrive il responsabile dei beni confiscati di Libera. Questo patrimonio tolto alle organizzazioni criminali di tipo mafioso può diventare un’opportunità per gli enti del Terzo settore per attività di promozione sociale, di accoglienza e di accesso lavorativo per le persone più fragili, ma anche per servizi culturali.

Cosa manca ancora
«Il punto debole di questo provvedimento è che l’Agenzia ha poche risorse per svolgere un compito enorme. E questo si ripercuote sull’allungamento dei tempi per l’assegnazione. È bene poi che gli enti regionali e locali possono programmare un supporto per le reti del Terzo settore che utilizzano i beni confiscati alle mafie, costruendo reti territoriali di accompagnamento per queste esperienze che rischiano di non portare a pieno compimento la missione sociale per cui nascono», ammette Pati. Quello dei beni confiscati è il patrimonio sociale del contrasto alla criminalità organizzata ma anche al lavoro nero, alla corruzione che la società civile e le amministrazioni insieme al Terzo settore hanno il compito di valorizzare grazie a leggi come la Rognoni-La Torre e la legge 109 del 1996 «per cui Libera è nata e si è battuta per riassegnare i luoghi di mafia a chi li avrebbe plasmati a scopo sociale».


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