Politica & Istituzioni

L’assegno unico per figlio è (quasi) pronto per l’Aula

Giovedì la Camera potrebbe avviare l'esame di un provvedimento attesissimo dalle famiglie italiane. «L'obiettivo finale è quello di ampliare la portata e gli interventi a sostegno delle famiglie con figli a carico. Nessuno degli attuali beneficiari riceverà meno di oggi. Se non ci saranno risorse aggiuntive, non si procederà», rassicura il relatore Lepri. Ci sono 15,5 miliardi, ne mancano quasi 7. Arriveranno? «Questa è la cornice normativa per chiederli»

di Sara De Carli

La settimana prossima arriverà in Aula, alla Camera, l’assegno unico. Più precisamente, la “legge Delega al Governo per riordinare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l'assegno unico e la dote unica per i servizi”. Verosimilmente la discussione generale in Aula potrebbe iniziare giovedì, dopo che la Commissione Affari Sociali avrà raccolto il parere delle altre Commissioni e votato il testo da trasmettere all’Aula. Fa quindi un passo avanti importante una proposta, quella dell’assegno unico per figlio, che il Pd lanciò nel 2014 e che nel 2018 inserì nel programma elettorale: la proposta di legge 687 Delrio, adottata come testo base del provvedimento oggi in esame, è stato uno dei primi atti depositati in questa legislatura. La legge delega per l’assegno universale sarà così il primo pilastro del Family Act approvato dal Governo lo scorso 11 giugno, che punta a dare sostegno alle famiglie e alla natalità.

Il testo sottoposto al parere delle Commissioni e che ragionevolmente sarà quello proposto all'Aula, prevede diverse novità. Stefano Lepri, il relatore per la proposta di legge, parla innanzitutto di un «clima molto collaborativo non solo nelle forze di maggioranza. Sono molto soddisfatto del lavoro finora fatto e apprezzo l’attenzione dimostrata da tutti i gruppi parlamentari, anche di minoranza, che hanno rinunciato a ogni forma ostruzionistica. Sono fiducioso che questa sfida sarà la sfida di tutto il Parlamento».

Innanzitutto viene riaffermato il principio dell’universalità dell’assegno, contro quella soglia di 100mila euro che c’era nel testo Delrio. Universalità significa che tutti i figli avranno qualcosa, seppure con una modulazione di soglie e cifre che sarà legata all’Isee, tenendo conto dell’età dei figli a carico e dei possibili effetti di disincentivo all’offerta di lavoro del secondo percettore di reddito nel nucleo. Si afferma la piena compatibilità con il Reddito di Cittadinanza. Si esclude che le borse lavoro per disabili facciano reddito per il calcolo dell’Isee e quindi per l’accesso alla misura. Si dettaglia che in caso di separazione l’assegno spetta al genitore affidatario e, in caso di affidamento congiunto o condiviso l’assegno è ripartito, in mancanza di accordo, nella misura del cinquanta per cento tra i genitori. Viene chiarito che l’erogazione potrà essere in cash o come credito d’imposta. «Un principio importante è aver sancito che per ogni figlio successivo al secondo, l’importo sarà maggiorato: prima era dal quarto figlio. Il beneficio decorre a partire dal settimo mese di gravidanza. Per i figli maggiorenni, ma fino ai 21 anni, è riconosciuto un assegno mensile di importo inferiore a quello riconosciuto per i minorenni, che potrà essere corrisposto direttamente al figlio, su sua richiesta, al fine di favorirne l’autonomia. Il figlio maggiorenne deve frequentare un percorso di formazione scolastica o professionale, un corso di laurea, svolgere un tirocinio o un’attività lavorativa limitata con redditi complessivi inferiori a un certo importo annuale, oppure essere registrato come disoccupato e in cerca di lavoro presso un centro per l’impiego o un’agenzia per il lavoro, o svolgere il servizio civile universale», illustra Lepri. «Per i figli con disabilità l’assegno avrà una maggiorazione fra il 30 e 50% e l’assegno proseguirà, senza maggiorazione, anche oltre i 21 anni». Fra le altre novità, un organismo aperto alla partecipazione delle associazioni a tutela della famiglia maggiormente rappresentative, per monitorare l’attuazione e verificare l’impatto dell’assegno.

Quanto ai requisiti di accesso, sono quattro e devono sussistere contemporaneamente.

  • essere in possesso della cittadinanza italiana, ovvero essere un cittadino di Paesi facenti parte dell'Unione europea, o suo familiare, in quanto titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero essere un cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca di durata almeno annuale;
  • essere soggetto al pagamento dell’imposta sul reddito in Italia, senza limitazioni;
  • vivere con i figli a carico in Italia;
  • essere stato o essere residente in Italia per almeno due anni, anche non continuativi, ovvero essere in possesso di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o di durata almeno biennale.

«Sicuramente non siamo insensibili al tema delle famiglie straniere, ma vogliamo anche evitare i rischi di un welfare shopping. L’indicazione dei due anni di residenza è un periodo ragionevole, peralto in alternativa all’esistenza di un contratto di lavoro di durata almeno biennale», dice il relatore.

Importante però, sottolinea Lepri, «è la possibilità di concedere specifiche deroghe a questi criteri, a fronte di comprovate esigenze connesse a casi particolari e per periodi definiti, su proposta dei servizi sociali e sanitari territoriali. La decisione non sarà però a livello territoriale, bensì di una Commissione nazionale, costituita d’intesa dal Ministro con delega alla famiglia e dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, che valuterà con criteri uniformi le segnalazioni dei casi particolari».

Non c’è nemmeno una cifra nel testo: «Saranno indicate successivamente nei decreti legislativi. Indicare già con la norma di delega un livello minimo del beneficio, avrebbe comportato seri problemi in sede di verifica della copertura finanziaria, in quanto le risorse attualmente disponibili non sono sufficienti. È stato tuttavia detto più volte e anche io l’ho ribadito ieri in Commissione che l'obiettivo finale della riforma deve essere quello di ampliare la portata e gli interventi a sostegno delle famiglie con figli a carico, penso ad esempio agli incapienti e agli autonomi, assicurando nello stesso tempo che nessuno degli attuali beneficiari riceva un livello inferiore di prestazioni rispetto a quello goduto finora. Se non ci saranno risorse aggiuntive tali per cui tutti o ci guadagnano o al massimo non ci perdono rispetto all’esistente, non si procederà. Il Governo questo mandato lo ha ben chiaro».

I conti sono questi: l’abrogazione delle otto misure in denaro attualmente esistenti «libererebbe 15,5 miliardi di euro, a tanto ammonta la spesa storica. La stima, per dare di più a tutti, è che servano 6 o 7 miliardi in più. Questo è l’obiettivo che ci siamo dati ed è la condizione per procedere. Non ci saranno modiche se non quando saranno trovare le risorse che mancano. Lo abbiamo scritto all’articolo 2-bis». Che infatti recita: «qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno o mediante l’utilizzo delle risorse di cui al comma 1, essi sono adottati solo successivamente o contestualmente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie, in conformità all’articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196». Arriveranno? «Questa è la cornice normativa per poterle chiedere».

Foto di Maria Lindsey Multimedia Creator da Pexels


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