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Al nido? Uno su due è figlio di laureati

C’è un posto al nido ancora solo per 24,7 bambini su cento in Italia (ben al di sotto del 33% fissato a livello europeo come obiettivo da raggiungere entro il 2010), che scendono a 15 su cento nelle regioni meridionali. Il bonus nido ha contribuito a orientare le famiglie verso il nido ma si scontra con l’offerta disponibile e la carenza di strutture proprio nei territori con maggiori criticità socio-economiche

di Sara De Carli

C’è un posto al nido ancora solo per 24,7 bambini su cento in Italia (ben al di sotto del 33% fissato a livello europeo come obiettivo da raggiungere entro il 2010), che scendono a 15 su cento nelle regioni meridionali. Il bonus nido da un lato ha contribuito a orientare le famiglie verso il nido piuttosto che verso altre forme di aiuto, meno proficue per il bambino, ma si scontra con l’offerta disponibile e la carenza di strutture proprio nei territori con maggiori criticità socio-economiche. Eppure il nido, dicono da anni tutti gli studi, ha una fondamentale funzione perequativa delle distanze socio-economiche: ancora oggi invece il servizio sembra configurarsi come un beneficio da cui una parte della popolazione rimane esclusa, con la tendenza dei nuclei familiari svantaggiati a utilizzare meno le strutture educative. È quanto si legge nel report “Nidi e servizi educativi per l’infanzia. Stato dell’arte, criticità e sviluppo del sistema educativo integrato 0-6” pubblicato a giugno dal Dipartimento per le politiche della famiglia. L’analisi chiede un supporto economico da parte dei Comuni, sia per le strutture pubbliche sia quelle private e un adeguamento dei criteri di priorità definiti per l’accesso: se – ancora in ottica di conciliazione – la precedenza è data alle coppie in cui entrambi i genitori lavorano, si escludono presumibilmente nuclei che potrebbero invece trarre grandi benefici dalla frequenza del servizio, anche in termini di uscita dal circolo vizioso dell’inattività femminile causata dal mancato utilizzo dei servizi educativi. Questo segmento del percorso educativo, come noto, è stato messo particolarmente alla prova dall’emergenza sanitaria: «per evitare un arretramento occorre il supporto delle istituzioni a livello centrale, regionale e locale».

La mappa qui sotto evidenzia in modo molto intuitivo la situazione che le famiglie vivono. In verde sono segnati i posti disponibili: tanto più intenso è il verde, tanto più alta è la copertura. Per i Comuni che non hanno servizi, viene segnata in rosso la distanza (in minuti) dal servizio più vicino: il rosso fuoco indica un tempo di percorrenza superiore ai 30 minuti, che di fatto significa la sostanziale inaccessibilità.

Nel 2017, i Comuni hanno speso 1,461 milioni di euro per i servizi socio-educativi per la prima infanzia, pubblici o privati convenzionati. Il 19,6 % di tale spesa è stata rimborsata dalle famiglie sotto forma di compartecipazione degli utenti. L’andamento della spesa comunale ha visto una fase di espansione fino al 2012 e poi di calo, con un incremento della compartecipazione delle famiglie, che ha raggiunto il suo picco massimo (il 20,3%) nel 2014. Nel triennio in esame, il 2015/17, si è registrata una sostanziale stabilità tanto della spesa quanto della quota a carico delle famiglie.

Nonostante il calo della spesa, per via del calo demografico, la spesa media pro-capite è passata da 542 euro annui nel 2012 a 818 euro annui nel 2017. Confrontando i Comuni in base al grado di urbanizzazione si vede come la spesa media per bambino salga a 1.975 euro nei comuni altamente urbanizzati del Centro-Nord e scende drasticamente nelle altre tipologie di comuni, che non presentano fra loro differenze significative 683 euro nei comuni del Centro Nord con urbanizzazione media e 695 nei comuni con grado di urbanizzazione basso. Al Sud la media è di 389 euro nei Comuni più urbanizzati, 277 euro in quelli a media urbanizzazione e 311 in quelli a bassa.

Il costo medio del nido, per una famiglia, è salito da 1.570 euro nel 2015 a 1.996 euro nel 2017. Il reddito netto delle famiglie che usufruiscono del nido è mediamente più alto di quelle che non ne usufruiscono: 40.092 euro annui contro 34.572 euro. Le famiglie in povertà materiale, bassa intensità lavorativa e a rischio di povertà mandano i figli al nido in percentuali nettamente inferiori a quelle che non presentano alcun disagio: rispettivamente il 13,7%, 15,5% e 14,2% contro il 26,2% delle famiglie senza disagio.

I bimbi iscritti al nido figli di genitori laureati sono passati dall’essere il 37% del totale nel triennio 2008-2010 al 47% del triennio 2017-2019. Il rischio di povertà o esclusione sociale risulta quindi avere un impatto negativo discriminante sulle scelte familiari riguardo all’utilizzo del nido, a discapito della funzione di riequilibrio delle disuguaglianze socio-economiche che tale servizio dovrebbe avere.


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