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Beteyà, quando l’integrazione è molto più di una moda

Giovani migranti e ragazzi siciliani insieme per il marchio che unisce la cultura africana con quella europea facendo rinascere i beni confiscati alla mafia

di Alessandro Puglia

Per i mesi di marzo e aprile un paio di manichini in una vetrina del centro storico di Catania con la scritta #iorestoacasa sulla maglietta sono rimasti i soli a guardare la centralissima via Etnea, in genere sempre pullulante di turisti e passanti.

È qui che si trova uno dei punti di vendita di Beteyà — nella lingua mandinga “Bello e Buono” — una startup di abbigliamento in cui un marchio caratterizzato dall’unione della cultura africana a quella europea non è altro che il risultato di percorsi di integrazione avviati negli anni e di un progetto di inserimento lavorativo destinato a migranti che hanno terminato la fase di accoglienza e a giovani siciliani in cerca di un lavoro.

Da quel 12 marzo quando Gabriele Sella insieme ai colleghi Omar e Rashid hanno chiuso temporaneamente la boutique di Catania, il team di Beteyà, guidato dall’associazione Don Bosco 2000 non ha mai smesso di lavorare per organizzare al meglio la ripartenza.

«Non potevamo restare con le mani in mano, attraverso videoconferenze in smart-working abbiamo cercato di pensare alla collezione primavera-estate abbinando a ogni capo una mascherina. Il tutto coniugando sempre la cultura africana con quella europea», spiega Agostino Sella, presidente dell’associazione Don Bosco 2000, punto di riferimento in Sicilia per migliaia di migranti che negli anni sono sbarcati sulle nostre coste e hanno trovato accoglienza negli Sprar dell’associazione che si ispira al padre dei Salesiani tra Catania, Aidone e Piazza Armerina. Le mascherine su cui sono raffigurate sagome di donne che portano secchi d’acqua in testa, così come le felpe e le t-shirt con i fenicotteri o con gli schizzi del volto di Sant’Agata, santa protettrice dei catanesi, sono tutte creazioni oggi possibili grazie al progetto Sud-Arte & Design presentato per il bando Beni confiscati 2016 indetto da Fondazione Con il Sud.

Progetto che viene presentato a febbraio 2017 da un network di associazioni guidate da Don Bosco 2000 insieme a il D.a.s. società cooperativa, Confcooperative Sicilia, il comune di Villarosa e l’associazione culturale Bellarrosa. Nel comune di Villarosa, in provincia di Enna, l’associazione Don Bosco 2000 ha acquisito la gestione di due beni confiscati alla ma a destinati all’accoglienza e all’integrazione dei migranti e ora parte integrante della produzione del marchio Beteyà. Il budget totale del progetto ammonta a 640mila euro, con un contributo chiesto alla Fondazione con il Sud di 500mila euro, mentre la restante quota è finanziata dall’associazione Don Bosco 2000, con il sostegno degli altri partner territoriali.

Il business plan
Nel 2018 Beteyà ha già una sua precisa identità: si comincia con i lavori di ristrutturazione dei beni, la definizione del visual e del piano di marketing, lo studio dei prototipi per il primo catalogo, ma soprattutto inizia il corso di formazione destinato a giovani del territorio e a ragazzi migranti. Oggi una parte di quei ragazzi, otto complessivamente selezionati tra 29, costituiscono il team di Beteyà che è suddiviso tra addetti alla produzione, l’ufficio grafico e del marketing dove viene studiato e realizzato il visual, e gli addetti alla vendita.

Il 7 dicembre 2019 apre a Catania il primo store, seguito il 21 dicembre dall’atelier di Piazza Armerina, mentre in questi giorni, è prevista la nuova apertura in un grande centro commerciale di Catania. Qui come già sperimentato nelle altre sedi si svolgeranno presentazioni di libri, mostre fotografiche, conferenze e dibattiti sulla narrazione delle migrazioni e su quelli che sono i valori dell’integrazione e dell’inclusione sociale. Spiega Cinzia Vella responsabile del progetto e vice presidente dell’associazione Don Bosco 2000, «riconvertire due beni confiscati alla ma a per renderli parti produttive di un territorio è una storia di riscatto legale ed economico per i migranti e un incentivo per i giovani siciliani a non emigrare».

Omar, Rashid e Agostino
Tra gli addetti alla vendita nel centro di Catania incontriamo Omar, 21 anni, arrivato in Italia il 30 luglio 2016 dalla Guinea Konakry, soccorso in mare da una nave della Marina Militare. «Imparare la lingua è la prima cosa che deve fare chiunque tra di noi cerca un lavoro», dice il ragazzo che ha cominciato a darsi da fare nel nostro Paese facendo il mediatore culturale anche per le commissioni prefettizie. Grazie all’associazione Don Bosco 2000, è riuscito ad ottenere prima il diploma di terza media, poi la licenza superiore e adesso si è iscritto alla facoltà di Scienze Politiche. «Dalla Guinea sono andato in Algeria dove sono stato 11 mesi e poi ho vissuto il mese più brutto della mia vita in una connection house in Libia».

Le giornate di Omar sono più che mai piene di impegni: le lezioni in Università la mattina, il lavoro in negozio al pomeriggio e poi di corsa agli allenamenti di calcio. «Gioco come attaccante nel Mascalucia in prima categoria». Omar come Rashid che invece di anni ne ha 26 e viene dalla Nigeria ha posato come fotomodello per le campagne pubblicitarie di Beteyà. Oggi vivono in un loro appartamento e ricevono un buono stipendio. Gabriele Sella, 20 anni, figlio di Agostino e Cinzia, lavora con loro nella boutique di Catania: «Ci completiamo a vicenda e oltre che ad essere colleghi siamo amici». La quota di 1,33 euro per ogni capo venduto nei negozi Beteyà è destinata dall’associazione Don Bosco 2000 per progetti in Senegal e in Gambia, mentre il resto dei proventi serve a sostenere l’attività del brand che regge perché costruito su valori intramontabili come quelli dell’integrazione e della legalità.


Nella foto di copertina da sinistra a destra, Rashid, Gabriele e Omar: il cuore pulsante dello store Beteyà a Catania


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