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Bob Dylan a 79 anni suonati dichiara amore a Calliope

Nel suo ultimo lavoro il grande cantautore decide di dichiarare il suo amore per la musa della poesia, Calliope, e di chiederla in dono alla madre delle muse: Il disco è potente. Uno dei migliori della sua intera carriera

di Doriano Zurlo

Mi sto innamorando di Calliope, lei non appartiene a nessuno, perché non darla a me? (I’m falling in love with Calliope / She don’t belong to anyone / Why not give her to me?). A 79 anni suonati (bene), Bob Dylan decide di dichiarare il suo amore per la musa della poesia, Calliope, e di chiederla in dono alla madre delle muse (che nella mitologia greca è Mnemosine, ipostasi della memoria, del canto e della danza). La canzone è Mother of Muses, ed è una delle dieci nuove contenute nel suo ultimo lavoro, uscito il 19 giugno: Rough and Rowdy Ways, che vuol dire ‘modi rudi e chiassosi’.

Bob ci ha abituati, negli anni, alle torsioni inaspettate, all’imprevedibilità dei suoi riferimenti, al gusto della sorpresa e all’assoluta indifferenza per le aspettative che di volta in volta genera nel suo pubblico. Con Calliope il cortocircuito è totale. Non solo per la citazione dalla mitologia greca all’interno di una musica che con la grecità nulla ha a che fare, oscillante com’è, da sempre, tra gli accordi country di Woody Guthrie e le scale blues di Robert Johnson; come dire: tra il bianco e il nero, trattati con la stessa devozione, di una tradizione folk americana da cui non ha alcuna intenzione di emanciparsi. Ma per il significato racchiuso nel nome: Calliope significa “dalla bella voce”, e tutto suona, improvvisamente, paradossale. Dylan non aveva una bella voce – almeno nel senso classico del termine – nemmeno a vent’anni, e ora, sulla soglia degli ottanta, non sembra in grado di estenderla oltre le cinque/sei note comprese nei primi due tasti della sua chitarra. Ma il menestrello di Duluth, nonché Nobel per la Letteratura, può permettersi questo e altro. Il disco è potente. Uno dei migliori della sua intera carriera.

Lo dice la critica, che ha dato voti altissimi in maniera pressoché unanime: cinque stelle da The Times, The Sun, The Guardian, The Daily Telegraph, Mojo e Financial Times. Per Ross Horton – lo dice qui – questo è il suo album più bello dai tempi di Desire, che è del 1976. Horton dice anche che «Bob Dylan è incommensurabile, allo stesso tempo forza inarrestabile e oggetto inamovibile». Giovanni Ansaldo, su Internazionale – si legge qui – scrive che «Dylan va per la sua strada, per questo fa dischi grandiosi», e Alessandro Carrera, sull’Osservatore Romano – l’articolo è qui – dice che l’album «fa parte dello stesso progetto di grande poema in frammenti che Dylan persegue fin da Time Out Of Mind (1997), si pone allo stesso, inarrivabile, modello». L’album ha raggiunto il primo posto nelle classifiche di vendite in UK e, naturalmente, è la prima volta che un settantanovenne combina qualcosa del genere.

Musicalmente, il disco è semplice e denso ad un tempo, rarefatto ma intenso e accurato negli arrangiamenti, che appaiono minimali, quasi sussurrati, e che lasciano tuttavia un segno profondo. I musicisti sono quelli che lo accompagnano da molto tempo nel suo ‘Neverending Tour’ (Dylan è in tour continuo, in tutto il mondo, dal 1988; si è fermato solo a causa del Covid), più alcuni musicisti aggiunti, come si legge nelle scarnissime note di copertina, tra i quali spiccano i nomi di Fiona Apple e Blake Mills.

L’autore di canzoni più importante del mondo non ha paura di iniziare il suo primo album di pezzi originali dal 2012 con un semplice accordo di do maggiore, suonato con la chitarra; il primo accordo che si impara da autodidatti. Nemmeno ha paura di passare dal do maggiore al la minore, nell’inciso, come si fa in migliaia e migliaia di canzoni. Non c’è bisogno di cercare chissà quali soluzioni armoniche, quando si hanno tutte quelle cose da dire. Più avanti, in un paio di brani, le sorprese armoniche e melodiche non mancheranno. Ma non è l’originalità fine a se stessa che cerca Dylan, quanto piuttosto, la verità dell’espressione. L’ha cercata sempre, anche prendendo in prestito melodie dal repertorio folk, senza curarsi di critiche ed elogi, lo ha fatto per sessant’anni, e noi gliene siamo grati.

Contenere la torrenzialità del poema, provare anche solo a segnalarne i riferimenti, le citazioni e le allusioni, è compito ingrato. Ma possiamo regalare un assaggio, attraverso un gioco, che ci piace immaginare gradito all’autore. Il gioco è questo: assembliamo una nuova canzone di Bob Dylan, mettendo in fila un verso o due presi da ogni singola canzone del nuovo album. Ecco il risultato: «Muoiono i fiori, come muore ogni cosa / ma io ho un cuore rivelatore, come mister Poe / ho aperto il mio cuore al mondo e il mondo è entrato. / Sono nemico della vita vissuta senza darle un senso / Puoi dirmi cosa significa essere o non essere? / Puoi aiutarmi a percorrere quel miglio al chiaro di luna? / Puoi darmi la benedizione del tuo sorriso? / Il mio cuore è come un fiume, un fiume che canta. / Tu hai visto il mondo grande e quello piccolo. / Sii ragionevole, sii onesto, sii giusto, / che tutti i tuoi pensieri terreni diventino preghiera. / Dammi la religione dei vecchi tempi, è tutto quello di cui ho bisogno. / Madre delle muse, cantami del mare profondo e scuro, e delle montagne. / Ho attraversato il Rubicone. / Tre miglia a nord del Purgatorio, e a un passo dal grande Oltre. / Sto cercando amore, ispirazione. / Sono così profondamente innamorato che riesco a malapena a vedere. / Il giorno che lo uccisero (Kennedy, ndr), qualcuno mi disse: “figliolo, l’era dell’Anticristo è appena iniziata».

Vita, morte e apocalisse. Sono i temi di Dylan fin dal suo esordio nel 1962. Ed è questo, in fondo, che ci rassicura, e che ci ha tenuto così compagnia, negli oscuri giorni della pandemia e del lockdown, quando Dylan ha deciso di regalare al mondo, a sorpresa, quella cupa e lunghissima suite sull’assassinio di Kennedy, Murder Most Foul, che ora chiude questo disco. Ci rassicura il fatto che si possa parlare di vita, morte e apocalisse, a vent’anni come a 79 suonati, in fondo allo stesso modo: con energia, fede, passione, cuore e tanto blues, senza indulgere in recriminazioni e malinconia. La vita non finisce mai, ecco cosa dice Dylan da sessant’anni, con la sua voce sgraziata.


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