Cooperazione & Relazioni internazionali

Ecco come l’Italia continua a finanziare la guardia costiera libica

Il 7 luglio il Senato ha approvato il provvedimento di rifinanziamento delle missioni all’estero. Per la Libia è stato previsto lo stanziamento di oltre 58 milioni di euro, di cui 10 andranno alla missione bilaterale di assistenza alla guardia costiera libica (3 milioni in più rispetto all’anno scorso). In aggiunta, quest’anno, alcuni dei 39 membri della Guardia di Finanza e 8 dell’Arma dei Carabinieri saranno impiegati nella costruzione di un Cantiere Navale e di una mini Scuola Nautica in territorio libico, su cui ad oggi non si ha alcuna informazione. Arci invita il Governo a rivalutare l’autorizzazione e la proroga delle missioni

di Redazione

Il 7 luglio il Senato ha approvato il provvedimento di rifinanziamento delle missioni all’estero, rafforzando ancora una volta la presenza militare in zone strategiche per il controllo migratorio, in primis la Libia e il Sahel, e prorogando di fatto la propria guerra all’immigrazione.
Per la Libia è stato previsto lo stanziamento di oltre 58 milioni di euro, di cui 10 andranno alla missione bilaterale di assistenza alla guardia costiera libica (3 milioni in più rispetto all’anno scorso). Con tali fondi si arriva a una cifra di oltre 22 milioni spesi dalla firma del Memorandum nel 2017 direttamente in supporto alla guardia costiera libica, a cui si devono aggiungere quelli stanziati nell’ambito delle altre missioni. Il risultato fino ad oggi è stato l’intercettazione da parte delle autorità libiche di oltre 40 mila persone in fuga, portate di nuovo nell’inferno dei campi di detenzione libici (5,427 secondo i dati disponibili all’UNHCR nel 2020). In aggiunta, quest’anno, alcuni dei 39 membri della Guardia di Finanza e 8 dell’Arma dei Carabinieri saranno impiegati nella costruzione di un Cantiere Navale e di una mini Scuola Nautica in territorio libico, su cui ad oggi non si ha alcuna informazione.

Da tempo chiediamo che il miope e ossessivo obiettivo di diminuire le partenze dalla Libia venga sostituito da un intervento radicale e urgente da parte dell’Italia e della comunità europea e internazionale, finalizzato ad evacuare i centri di detenzione e salvare le migliaia di migranti attualmente presenti in Libia, sfruttati e imprigionati nelle maglie di una guerra sempre più violenta. Le poche iniziative di corridoi umanitari raggiungono ancora numeri decisamente insufficienti per un Paese in guerra come la Libia, in cui vige un contesto di generale violazione del diritto internazionale umanitario e in cui, come comprovato da investigazioni delle Nazioni Unite, i migranti sono giornalmente vittime di indicibili abusi, esecuzioni sommarie, sparizioni forzate e torture, sotto lo sguardo delle stesse autorità libiche che ricevono i finanziamenti. Se l’obiettivo di facciata resta quello di ridurre le partenze per ridurre i morti nel Mediterraneo, è necessario ricordare le oltre 5 mila persone che hanno perso la vita in mare dal 2017 (fonte OIM), a cui si aggiungono tutti gli altri morti senza nome e senza numero.

La presenza in Sahel raggiunge uno stanziamento totale di 62 milioni tra missioni bilaterali e partecipazione a missioni ONU. L’adesione italiana alla Task Force “Takuba”, a guida francese, con 200 uomini, 20 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei si inserisce in una strategia generale di cui fanno parte gli accordi di cooperazione in materia di difesa prima col Niger e ora col Burkina Faso, a cavallo tra sicurezza nazionale, contrasto al terrorismo e lotta alla migrazione irregolare. Una militarizzazione delle frontiere e delle zone di transito che non fa che spostare il traffico di uomini in nuove e sempre più pericolose vie.

Arci invita i parlamentari a rivalutare l’autorizzazione e la proroga delle missioni con cui l’Italia contribuisce alla propria politica di esternalizzazione delle frontiere e della gestione migratoria, supportando governi che, quotidianamente, danno prova di violare i diritti fondamentali delle persone, in contrasto con le convenzioni internazionali in materia di diritti umani.


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