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Anghelé: «Dopo il Recovery Fund nulla sarà più come prima, soprattutto per la società civile»

Anche se l'accordo raggiunto tra i Paesi della UE ha scongiurato il taglio previsto di quasi il 25% dei fondi destinati al terzo settore europeo, la situazione è tutt'altro che semplice. La società civile deve dotarsi di una nuova strategia. Ne parliamo con Federico Anghelé di The Good Lobby

di Marco Dotti

Il prezzo del Recovery Plan? Rischia di pagarlo la società civile. Soprattutto perché, come hanno notato due dei più attenti osservatori di "cose europee", Federico Anghelé e Alberto Alemanno di The Good Lobby, organizzazione non profit con uffici a Bruxelles e a Milano, impegnata a tempo pieno per dare voce a tanti progetti della società civile. «il bilancio pluriennale europeo appena adottato non prevede alcun incremento di fondi per il non profit».

Nonostante l'accordo raggiunto dai capi di Stato e di governo dei Paesi della UE abbia scongiurato il taglio di quasi il 25% dei fondi destinati al terzo settore europeo inizialmente previsto dalla Commissione, i problemi restano e, ci racconta Anghelé in questa intervista, sono soprattutto di ruolo e di visione.

Gli impatti potenziali del Recovery Fund sulla società civile non sono ancora stati compresi, né affrontati. La questione, spesso declinata sul tema dei fondi a cui attingere, ha bisogno di una visione che tenga conto della complessità del sistema europeo… Ci dà un quadro di quanto sta accadendo?
Già da alcuni anni, la Commissione europea sta lavorando sul suo budget pluriennale. Aveva previsto di allocare 641 milioni di euro al programma “Rights & Values”, una cifra molto ridotta rispetto a quella passata. Nel 2020 c’è stato un aggiornamento della bozza di budget che ha portato quella somma a 761 milioni, che sono comunque tra il 20 e il 25% in meno rispetto al passato, se si considera che è scomparso un ramo di fondi alla voce “Justice”.

Parallelamente, il Parlamento europeo – che sente meglio il polso della situazione – con una sua risoluzione aveva previsto di portare i fondi per la società civile fino a 1 miliardo e 832 milioni di euro…

Una somma triplicata rispetto alla previsione iniziale della Commissione di seicento milioni…
Esattamente. E quando la settimana scorsa è stato raggiunto l'accordo sul Recovery Fund tra i capi di Stato e di governo ci si è accordati anche su questo budget pluriennale. Un budget che dovrebbe durare fino al 2027.

Il Consiglio ha confermato il bilancio attuale e ha quindi scongiurato quel taglio netto previsto dalla Commissione, ma non ha minimamente preso in considerazione di triplicare la cifra come invece richiesto dal Parlamento. Teniamo conto che la proposta di triplicare la cifra è del gennaio 2019, quindi il Parlamento aveva già previsto di aumentare sensibilmente questi fondi prima del Covid-19. Ora lo scenario è completamente cambiato. Prestiamo dunque attenzione a ciò che hanno fatto la Commissione e il Consiglio.

Che cosa hanno fatto, oltre a non seguire le indicazioni del Parlamento?
Da un lato hanno dimostrato di avere una visione della società civile tutt’altro che strategica, come se fosse un “orpello”; dall’altra, non hanno minimamente tenuto in conto quello che è successo in questi ultimi mesi. Se il Parlamento europeo, infatti, prima della pandemia chiedeva di triplicare quella somma, oggi anche triplicata quella somma non basterebbe. Ma Commissione e Consiglio non hanno fatto nemmeno questo.

Quali sono gli elementi che destano maggior preoccupazione?
Il primo è il fatto che la crisi sanitaria che abbiamo vissuto ha compromesso, nei mesi di lockdown le certezze sulla attività della società civile. L’impegno della società civile vive a stretto contatto con la realtà, non ne è avulsa: per cui ci sono molte organizzazioni che hanno già pagato il prezzo della crisi sanitaria.

Il secondo punto è che la crisi economica naturalmente ridurrà sensibilmente le donazioni e l'intervento della filantropia, limitando l’accesso ai fondi. In sintesi: pensare alla società civile servendosi di un’istantanea scattata uno o due anni fa, ben prima del Covid-19, è segno di miopia.

Terzo punto: l’accordo sul Recovery Fund non ha previsto meccanismi che vincolino la concessione di queste risorse al rispetto di alcune regole fondamentali in materia di diritti, tra cui direi il primo diritto è proprio quello di riconoscere il ruolo fondamentale che la società civile ha in Europa… Di conseguenza non subordinando in alcun modo questi fondi a una supervisione su come gli Stati Membri agiscono all'interno dei loro confini nazionali, significherà far svolgere a porterà di fatto alle organizzazioni della società civile quel ruolo di watchdog che dovrebbe svolgere l’Europa stessa.

Ci spiega questo passaggio, che sembra quasi una devolution sociale?
A monitorare e tutelare i diritti a livello locale, a esercitare il controllo dell’operato degli Stati, a difendersi dagli attacchi dei governi saranno le organizzazioni stesse. Non ci sarà più l’Europa ad aiutarle.
Aggiungerei un altro punto: questo Recovery Fund rappresenterà un'incredibile iniezione di capitale negli Stati. Di per sé è una cosa buona, ma allo stesso tempo come verranno spesi questi soldi? In maniera spesso opaca, come accaduto fino ad oggi? ma non sarebbe invece necessario spenderli in modo più trasparente e partecipativo, legittimando di fatto l'operato stesso dei governi nazionali?

Se non capisco male, da un lato questa surrogazione da parte della società civile di compiti che sarebbero spettati all’Europa è un rischio, dall’altro spinge verso una rivoluzione di mentalità proprio nel terzo settore
Il ruolo della società civile dovrebbe essere quello di pretendere di avere una voce in capitolo su come questi fondi andranno spesi e poi di monitorare affinché vengano impiegati in maniera corretta. La società civile deve far sì che queste risorse non vengano destinati a politiche contrarie ai valori dell'Europa (negazione dei diritti e delle prassi democratiche, mancato aiuto a migranti e minoranze, incentivi a settori inquinanti e in contrasto con il Green Deal).

Quindi il ruolo che la società civile è chiamata a svolgere è ben più rilevante e sfidante di quello anche solo di un anno fa.

Per questo bisogna alzare il livello dell’attenzione e della consapevolezza tra le organizzazioni della società civile….
Il problema è che a Bruxelles ci sono molte organizzazioni ombrello che si stanno battendo per dare le giuste risorse alla società civile europea. Ma a Bruxelles si è spesso lontani dalla base, dal lavoro sul campo e manca una vera interconnessione e un coordinamento tra chi opera nella capitale dell’Europa e quelle organizzazioni della società civile che lavorano all’interno dei confini nazionali.

Ognuno gioca per conto proprio, esattamente come tra gli Stati…
Ma giocando per conto proprio si va al massacro, perché le conseguenze saranno negative per tutti.

La mobilitazione della società civile è necessaria, ma direi che la società civile a livello nazionale ha tantissimo da fare: è lì che la nostra società civile deve rendersi conto e fare lo scatto, altrimenti continueremo solo a lamentarci ma a Bruxelles non arriverà mai la nostra voce. Non arriverà finché manca un ponte tra Stato nazionale, società civile territoriale e chi si occupa di questioni europee. Questa crisi ha reso più che mai necessario questo ponte.

C’è una luce di speranza?
Possiamo fare molte cose, anche appoggiandoci al budget pluriennale sul quale, sicuramente, si aprirà una discussione tra Parlamento, Consiglio e Commissione. Quello che il Consiglio può fare, quindi che gli Stati membri possano fare, è chiedere una revisione di quei fondi.

Ma soprattutto che la revisione di questi fondi non sia basata solo su ragionamenti pecuniari, ma abbia semmai una visione strategica. Se crediamo che questi fondi possano contribuire a salvaguardare la democrazia in Europa e se consideriamo la società civile un pilastro fondamentale della difesa di questa democrazia allora non possiamo che investire – strategicamente, ripetiamolo – sul rafforzamento di una civil society autenticamente europea.


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