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Braccianti, gli schiavi delle economie globali

Lavorano fino a 14 ore al giorno per pagare il debito contratto per arrivare in Italia. E non solo al Sud, come dimostra il caso di Strawberry, la startup agricola alle porte di Milano. Intervista a Marzia Gotti, dell'associazione antitratta Lule Onlus. «Le persone che lavorano nei campi», spiega, «prima ancora di essere sfruttate vengono comprate e vendute. Il meccanismo è lo stesso che si applica alle donne che sono costrette a prostituirsi in strada»

di Anna Spena

L’ultima in ordine di tempo è l’accusa a Straberry, la startup delle fragole a Km 0 che vale 7,5 milioni di euro ed è sotto sequestro su richiesta della Procura di Milano con l’accusa di caporalato. I lavoratori soggetti a turni di 9 ore al giorno, ricevevano in cambio 4,50 euro per ogni ora lavorata. La metà rispetto a quello previsto dal contratto collettivo nazionale. Ma quello del capolarato, fenomeno che riguarda indistintamente tutta la penisola, va ben oltre dal solo sfruttamento lavorativo. «Le persone che lavorano nei campi», spiega Marzia Gotti, responsabile della prossimità territoriale di Lule, l’associazione si occupa di lotta al traffico di esseri umani e assistenza alle vittime di tratta, «prima ancora di essere sfruttate vengono comprate e vendute. Il meccanismo è lo stesso che si applica alle donne che sono costrette a prostituirsi in strada».

Qual è la relazione tra caporalato e tratta di essere umani?
La tratta di essere umani a scopo di sfruttamento avviene in diversi ambiti, uno di questi è lo sfruttamento lavorativo che prevede l’impiego di persone che vengono, fin dall’inizio, comprate e vendute. L’obiettivo ultimo è sempre lo stesso: sfruttare il corpo della persona. Che viene poi utilizzato all’interno di un’economia globale a scopi commerciali. Anche in questo caso quindi, così come per le donne costrette a prostituirsi, il corpo diventa uno strumento. Forza lavoro per facilitare le economie globali.

Di che dati parliamo?
Siamo nell’ambito della tratta di essere umani quindi non abbiamo a disposizione dati ufficiali. Ma possiamo stimare che sul totale dei lavoratori sfruttati nelle campagne il 70%, fin dal momento in cui lascia il Paese d’origine, è destinato allo sfruttamento lavorativo.

Quali sono le principali nazionalità?
Lo stato del Punjab, in India. Il Bangladesh, Maghreb, Marocco, Senegal, Nigeria, Gambia e Mali. E poi tutta l’area attinente alla Romania che copre una grande fetta di mercato. Sono impiegate anche le donne, ma in questa forma di sfruttamento agricolo la prevalenza è maschile.

Come avviene il reclutamento?
I percorsi di arrivo in Italia sono diversi tra loro, molto dipende dalla nazione d’origine. Tutto il fenomeno ruota attorno a due figure principali: l’intermediario e il caporale. L’intermediario appartiene ad organizzazioni criminali, più o meno istituzionalizzate, che lavorano nel Paese d’origine. Andiamo dalle “agenzie di lavoro estere” fino alla singola persona che ha una rete di contatti in Italia collegati a realtà locali imprenditoriali nel settore dell’agricoltura. Il reclutamento avviene tramite la proposta di un viaggio, un pacchetto completo che comprende l’arrivo a destinazione, l’inserimento lavorativo e l’alloggio. Ovviamente questo ha un prezzo che può variare dai 5mila fino ai 15mila euro. Più è complesso il viaggio, o lontano il Paese d’origine, più il prezzo sale.
Se un indiano entra in Italia con un volo aereo e un permesso di soggiorno falsificato il viaggio è più oneroso. In linea di massima costa di più viaggiare in maniera sicura, con documentazione falsa e utilizzando finti ricongiungimenti familiari. Le persone che invece arrivano via mare e, ancora di più, attraverso la Rotta Balcanica pagano di meno il viaggio ma a rischio della vita. Di fatto l’intermediario recluta la persona, organizza il viaggio, si assicura che questa arrivi in Italia. Una volta nel nostro Paese tutto passa nelle mani del caporale.

Come cambia la sua figura?
Se l’intermediario ha una competenza transnazionale, il caporale è una figura territoriale e locale. In genere è una persona che risiede in Italia da molti anni, ha un permesso di soggiorno regolare, ha svolto il lavoro nei campi e ha sviluppato una forte connessione con uno o più datori di lavoro nel territorio. É lui che concretamente mette in pratica lo sfruttamento lavorativo.

Quindi al pari dellosfruttamneto della prostituzione anche per lo sfruttamento lavorativo si arriva in Italia già con un debito che deve essere ripagato con tassi di interesse molto alti?
Le persone in questo caso pagano la somma prima di partire. Quindi non si trovano nelle condizioni di un debito diretto né con l’intermediario, né con il caporale. Contraggono comunque un debito elevato perché o chiedono i soldi in prestito ad altre persone legate al gruppo dell’intermediario, oppure la comunità mette insieme tutti i risparmi e investe su una sola persona che poi, una volta arrivata in Italia, si farà carico non solo della sua famiglia ma di tutti quelli che hanno reso possibile il viaggio. In questo caso c’è un mandato di responsabilità fortissimo di chi parte.

Una parte della somma pagata serve per il viaggio, e l’altra?
Per avere un primo alloggio, e il contatto del datore di lavoro. Di solito si viene accompagni a casa di un altro migrante: le condizioni igieniche sono scarse e l’affollamento abitativo all’ordine del giorno.

Come guadagna il caporale?
Lui il grosso del guadagno non ce l’ha nella tratta come l’intermediario ma proprio nello sfruttamento. E lo sfruttamento inizia nella gestione della quotidianità: le persone vengono affidate al caporale e dipendono da lui per tutto. Il caporale trova un contatto per lavorare e poi il bracciante dovrà riconoscere a lui una somma di quello che guadagna. In generale su ogni ora lavorata delle persone che sfrutta trattiene una somma variabile che va da un euro a due euro e cinquanta. Poi trattiene una somma per il cibo, circa 100 euro alla settimana. Una somma per l’alloggio e una per lo spostamento dall’alloggio al “luogo di lavoro”. A conti fatti alla persona che lavora, dalle otto alle 14 ore al giorno, sette giorni su sette, al mese restano sì e no cento euro. Quindi non sono rari i casi di persone che una volta arrivati in Italia continuano ad indebitarsi. Il caporale è sempre presente sul luogo di lavoro e gestisce ritmo e velocità delle attività. Le persone sono sempre e completamente in stato di ansia, hanno paura di perdere il “lavoro”.

E il datore di lavoro?
Il suo riferimento è il caporale, è lui il loro unico interfaccia: gestisce i problemi, gli vengono consegnati i salari che poi – trattenuta la sua parte – distribusice, sostituisce la manodopera. Il caporale ha un giro d’affari che può arrivare fino agli 8mila euro al mese. Questo varia in base al numero di persone che ha assoldato per lavorare. Gli imprenditori a volte fanno finta di non sapere, altri forse davvero non comprendo le dinamiche che si innescano.

Anche per le persone vittime di sfruttamento lavorativo c’è la possibilità di entrare in percorsi di comunità e accoglienza. Ma in pochi intraprendono questa strada. Perché?
Perchè sono coinvolte in uno sfruttamento a bassa conflittualità. Il paradosso è che loro provano gratitudine per questi caporali che gli permettono di lavorare. Non si verificano situazioni di violenza fisica ma di minaccia psicologica: “Se non fai questo non puoi mandare i soldi a casa”, “se non lavori più veloce, c’è già qualcuno che può lavorare al posto tuo”. L’articolo 18 decreto legge 286/98 prevede che queste persone possano entrare nei percorsi di protezione sociale senza necessariamnete l’obbligo di denuncia. Con l’associazione stiamo lavorando, in rete con altri partner, al progetto “Mettiamo le ali – Dall’emersione all’integrazione”, per la realizzazione di programmi di emersione, assistenza e integrazione sociale a favore di vittime di tratta e grave sfruttamento che intendano sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti di soggetti dediti al traffico di persone. Ovviamente tutto il nostro lavoro di informazione e diffusione avviene con i sindacati dai quali non possiamo prescindere per questa tipologia di lavoro. Noi come ente antitratta, loro per contrastare il lavoro in nero. Stiamo provando anche a lavorare con le associaizone datoriali per entarre in contatto con le aziende virtuose che vogliono assumere personale in modo regolare, con l'obiettivo di inserire i braccianti sfuggiti all'incubo dello sfruttamento.


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