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Rsa in crisi, tra Commissione, covid e mancanza di fondi e rappresentanza

La Commissione appena istituita dal Ministro Speranza per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana ha lasciato fuori dalla composizione il mondo sociale (che rappresenta il 75% delle strutture italiane), il mondo delle Rsa e Rsd lombarde lancia l'allarme economico spiegando che «se da Governo e Regione non avremo risposte finiremo in ginocchio» e intanto salgono i contagi in tutta Europa. L'intervista con Franco Massi, presidente nazionale Uneba

di Lorenzo Maria Alvaro

All'indomani della istituzione della commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana da parte del Ministro della Salute Roberto Speranza la Portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore Claudia Fiaschi ha commentato duramente l'esclusione dei rappresentanti del Terzo settore dalla Commissione definendola «una grave mancanza e una scelta incomprensibile». Nelle stesse ore le associazioni del comparto sociosanitario lombardo hanno lanciato un grido d’allarme: «se da Governo e Regione non avremo risposte finiremo in ginocchio». Dopo i drammatici mesi in prima linea contro la pandemia infatti si preannuncia un autunno caldo per le Rsa, e non solo, che per questo risorse per continuare a garantire i servizi: se queste risorse non arriveranno le strutture saranno dolorosamente costrette a scegliere se cessare o limitare le proprie prestazioni con ricadute sugli anziani, le persone con disabilità e le loro famiglie. Proprio alla vigilia di una possibile seconda ondata di Covid19. Ne abbiamo parlato con Franco Massi, presidente nazionale Uneba (L'Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale, che è anche firmataria dell'appello al Governo).


Cosa vi ha portato a firmare l'appello per chiedere risorse aggiuntive in Lombardia?
La matematica. Un’analisi effettuata nel territorio dell’Ats di Brescia su un campione di 42 Rsa, per un totale di 3.655 posti letto, ha evidenziato che nel periodo marzo-maggio dell’occupazione media si è assestata all’80% con un minimo del 58% e un massimo del 100%. Le strutture medio grandi sono quelle che maggiormente hanno subito un decremento dei posti letto quantificabile in 22,63 euro al giorno per posto letto nei tre mesi del lockdown. Il deficit per le Rsa lombarde nei mesi del lockdown è stato di circa 180 milioni ed è destinato a crescere nel secondo semestre a seguito dell'incremento dei costi dei dispositivi di protezione individuale (dpi) e dei minori ricavi generati dal contingentamento degli ingressi e dalle doverose procedure di isolamento precauzionale preventivo.

Quindi in conti non tornano?
Per nulla. Facendo un esempio concreto il costo dei guanti che rappresentano per il settore socio sanitario un dispositivo che prescinde dall’emergenza. Il costo di una scatola di 100 guanti è passato da una media di 1,80 euro a circa 8 euro: un aumento di quasi il 450%. Per un utilizzo di 16 guanti al giorno a posto letto, significa, solo per i guanti, un aumento di 1 euro a posto letto al giorno. Quindi, per il solo secondo semestre del 2020, 12 milioni di euro di spesa in più per il settore delle Rsa in Lombardia. Le strutture durante la pandemia hanno sostenuto spese enormi, superiori alle preventivate, tra cui quelle per l’assistenza farmacologica a persone non prese in carico dagli ospedali, il maggior costo dei dpi e il rafforzamento del personale. Da maggio le associazioni del settore sociosanitario chiedono alla Regione che siano riconosciuti a loro favore i budget già deliberati e messi a bilancio, nonostante il calo degli utenti. Altro nodo poi è il riconoscimento economico alle RSA e alle strutture socio-sanitarie da parte del Governo. Le significative risorse stanziate dal DL Rilancio sono orientate pressoché esclusivamente a sostegno di servizi erogati direttamente dal settore pubblico; ciò significa tagliare fuori di fatto tutto quell’ecosistema di privato sociale che in regioni come la Lombardia rappresenta il 90% delle strutture socio-sanitarie.

Una notizia positiva c'è però: è stata istituita la Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana…
Si è una buona notizia perché pone l'attenzione sui problemi. Però abbiamo qualche perplessità sulla composizione.

Si riferisce alla scelta come presidente di Mons. Vincenzo Paglia, Gran cancelliere del Pontificio Istituto Teologico per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia?
Ormai è fatta, ognuno fa le sua valutazione. Su questo non voglio dire nulla. L'importante è che questa Commissione non nasca con intenti puntivi per le Rsa. A quel punto ci ribelleremmo.

Allora si riferisce all'esclusione delle realtà del privato sociale?
Sì, non c'è nessuno. Trovo abbastanza curioso che venga tenuto fuori chi rappresenta più del 75% di tutte le strutture. Detto questo l'9mportante è che si venga ascoltati e consultati. Cosa che in queste settimane non sta accadendo

In cosa non vi stanno ascoltando?
Sto sentendo a più riprese discutere di superamento delle Rsa, come modello sbagliato. Chi dice queste cose non ha la cognizione dei darti reali

Quali sono i dati reali?
Oggi in Italia abbiamo 215 mila posti letti negli ospedali pubblici e privati per acuti. I posti letto nelle Rsa socio sanitarie son o più di 250 mila cui si aggiungono i 40' mila posti per le strutture residenziali per disabili. Ora, certamente, una percentuale del 10/12% di persone attualmente in Rsa o Rda potrebbero usufruire di qualche forma di assistenza domiciliare. Ma è una quota minima. Non si può fare riferimento al modello delle case di risposo degli anni 60. Oggi chi entra in Rsa lo fa perché ha pluripatologie che non possono trovare adeguata ed efficace cura a domicilio. A meno che una famiglia non si possa permettere uno staff di cinque persone che comprendano medici e infermieri. É prima di distruggere quello che c'è pensiamoci bene.

Detto questo ci sono molto sperimentazioni di domiciliarità che sembrano funzionare…
Certo, come in Lombardia, con l'assistenza domiciliare integrata. Ma sono tutte misure provvisorie che non si sono consolidate. Bisogna renderle definitive e permanenti in modo che gli enti possano organizzarsi. Se bisogna aspettare ogni anno il finanziamento è evidente che la cosa non possa funzionare.

Tornando al discorso sull'approccio punitivo nei confronti delle Rsa. Come spiega questa demonizzazione delle vostre strutture rispetto a un virus che ha messo in ginocchio ogni ambito sanitario e non solo?
È demagogico. Anche se non ne conosco i motivi. Lo dicono i dati dell'ISS. Basta pensare che nel mese di marzo 2020 l'incremento dei decessi sul territorio rispetto all'anno precedente è stato maggiore rispetto alle Rsa. Al contrario nel mese di aprile è successo il contrario. Questi significa che nelle Rsa il virus è stato portato dai parenti e dai dipendenti. Se poi si scopre che nelle Rsa gli anziani sono morti un mese più tardi di quelli che erano fuori significa che qui sono state curati.

Quale la strada che la Commissione dovrebbe percorrere nel suo lavoro?
Da un lato rafforzare e mantenere la vigilanza sulle Rsa e contemporaneamente portare avanti nuovi forme di assistenza domiciliare e telemedicina. Parliamo di realtà che hanno radici nella storia sull'assistenza, sulla cura degli anziani. Buttare a mare secoli di tradizione e attenzione tra gli ultimi per il Covid mi sembra una follia. Senza dimenticare l'oggi.

In che senso?
Il virus non è debellato è sta tornando. Bisogna tenere alta la guardia e impegnarsi perché non ricapiti quello che è successo in primavera.


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