Welfare & Lavoro

Il bosco di Rogoredo, il confine esistenziale che dobbiamo attraversare

Psicologo e scrittore, Feder ogni mercoledì visita il popolo del bosco: “Il nostro esserci in questo bosco, ha portato delle certezze, il problema non è solo sanitario, è soprattutto esistenziale, per chi vive questa situazione e per chi la incontra. Questo nuovo approccio che permette di accorgersi dell'altro deve portare a nuovi interrogativi, solo da queste basi può finalmente nascere un nuovo modello d'intervento costruito sui bisogni visibili e su un'attenzione nuova”.

di Simone Feder

In questo periodo, parlando e raccontando un po’ con alcune persone degli incontri e i vissuti al bosco di Rogoredo, mi sono venute alla mente molte riflessioni e alcuni interrogativi. Uno fra tutti riguarda il nostro “senso di colpa”, la nostra capacità di “chiedere scusa”.

Ci stiamo abituando a vivere una vita piatta ed insignificante, all'interno della quale tutte le remore morali sono saltate, gli interrogativi che dovrebbero bussare al nostro cuore sono messi a tacere, le situazioni che dovrebbero farci indignare nel profondo vengono automaticamente “lasciate fuori”; dalle nostre priorità … siamo persone che vanno avanti relazionandosi con il mondo in modo dissociato. Riflettevo in questi giorni sull’importanza della nostra presenza come operatori alla stazione di Rogoredo, immersi in quella zona di confine tra il via vai acritico delle persone comuni e i disperati pellegrini del bosco.


Fino a poco fa sembrava di vivere in un film, queste due realtà coabitavano lo stesso spazio come due esistenze parallele che non si incrociavano. Da una parte gli umani affaccendati nelle loro alienanti routine e dall’altra i fantasmi. Queste due fazioni si incrociavano in continuazione senza interferire, senza vedersi, senza mai alzare lo sguardo, quasi collocati su due binari spazio temporali diversi e paralleli.
Che cosa ha portato ad un cambiamento di prospettiva?

I giovani, davanti a questa indifferenza relazionale, si sono rimboccati le maniche, hanno risvegliato la vitalità della gente comune, hanno scosso il nostro quieto vivacchiare. Sono stati loro che ci hanno spinto ad “esserci” e a “stare” in questo non luogo come presenza diversa, come “generatori di altro”. Ed è stato proprio questo inserirci in questo piatto paesaggio, con il fermo proposito di “esserci tra”, che ha innescato il cambiamento e ha portato a far sviluppare un nuovo modo di osservare. È bastato creare, in questo spazio della perdizione, un’attenzione diversa tra gli sguardi, offrendo un nuovo paradigma di osservazione le persone hanno cominciato ad interrogarsi e a guardare in modo diverso, a guardare oltre.

Era davvero naturale ciò che dovevamo fare, non abbiamo fatto cose eccezionali, siamo solo diventati strumenti di collegamento, generatori di nuovi punti di interesse. Scombinando le cose è sbocciata un'attenzione differente tra gli sguardi. Siamo ritornati a guardare le persone, a chiamarle per nome, ad essere attenti ai loro bisogni, alle loro esigenze primarie, siamo tornati ad accorgerci di loro. Il tutto è stato davvero vincente! Per molti di loro, il riappropriarsi della propria dignità, del diritto di essere visti, ha permesso di tornare a vivere.


Oggi, il nostro esserci in questo bosco, ha portato delle certezze, il problema non è solo sanitario, è soprattutto esistenziale, per chi vive questa situazione e per chi la incontra. Questo nuovo approccio che permette di accorgersi dell'altro deve portare a nuovi interrogativi, solo da queste basi può finalmente nascere un nuovo modello d'intervento costruito sui bisogni visibili e su un'attenzione nuova.

*Autore di Alice e le regole del bosco, Mondadori 2020


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