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Migranti internazionali, raggiunta quota 272 milioni

Presentato il XXIX Rapporto immigrazione "Conoscere per Comprendere" di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes. Nel 2019 il numero di migranti internazionali è pari al 3,5% della popolazione mondiale. La popolazione di migranti forzati ammonta a 79,5 milioni di persone, di cui 45,7 milioni di sfollati interni, 26 milioni di rifugiati (la Siria rimane al primo posto con 6,6 milioni) e 4,2 milioni di richiedenti asilo. In Italia nel 2018 il contributo dei migranti al PIL è stato di 139 miliardi di euro, pari al 9% del totale e il 10% del totale della popolazione scolastica è rappresentata studenti con cittadinanza straniera, per lo più di seconda generazione. Non c’è stato in questi mesi alcun allarme sanitario ricollegabile alla presenza di cittadini stranieri nel nostro Paese

di Redazione

Presentato il XXIX Rapporto immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes. Un rapporto ricco e dettagliato che parte da un concetto fondamenatle: «Bisogna innanzitutto favorire percorsi di regolarità dei cittadini migranti nel nostro Paese, attraverso un ampio riconoscimento della convertibilità in motivi lavorativi del permesso di soggiorno detenuto ad altro titolo, al fine di invertire la tendenza all’approccio securitario da un lato, o assistenzialistico dall’altro, adottando definitivamente una strategia di potenziamento dei percorsi di integrazione, che contempla la promozione di interventi normativi volti a sostenere la presenza e l’inserimento socio-economico dei cittadini stranieri. Auspichiamo dunque che i decisori politici proseguano in questo percorso di legalità e integrazione, sostenendolo oltre che con l’importante processo di revisione delle norme, anche con politiche attive di supporto».

Stando a una panoramica internazioanale nel 2019 il numero di migranti è aumentato attestandosi a circa 272 milioni, pari al 3,5% della popolazione mondiale. In 50 anni il numero di immigrati nel mondo è quasi quadruplicato (era pari a 84 milioni nel 1970). L’India rimane il paese con il maggior numero di emigrati all’estero (17,5 milioni), seguita da Messico e Cina (rispettivamente 11,8 milioni e 10,7 milioni). Gli Stati Uniti, invece, sono il principale paese di destinazione con 50,7 milioni di immigrati internazionali, seguito dall’Arabia Saudita con 13,1 e dalla Russia con 11,9. Di tutte le persone che si spostano a livello globale (272 mln), i migranti per motivi di lavoro sono stimati in un numero pari a 164 milioni. Secondo il Global Trend Report (UNHCR) la popolazione di migranti forzati, invece, ammonta a 79,5 milioni di persone, di cui 45,7 milioni di sfollati interni, 26 milioni di rifugiati (la Siria rimane al primo posto con 6,6 milioni seguita dal Venezuela con 3,7 milioni), e 4,2 milioni di richiedenti asilo. Il numero di apolidi a livello globale ammonta a 4,2 milioni, ovvero quasi il 10% in più rispetto al 2015 (75 milioni). Oltre il 50% del totale dei migranti internazionali nella regione (42 milioni) è nato in Europa. I migranti non europei, invece, tra il 2015 e il 2019 sono aumentati da poco più di 35 milioni a circa 38 milioni. La Germania, con oltre 13 milioni di migranti, si attesta come il Paese con il maggior numero di cittadini stranieri residenti (+3 milioni negli ultimi 4 anni). Seguono Regno Unito e Francia con, rispettivamente, 9,5 milioni e 8 milioni. Con una popolazione che oscilla intorno ai 5 milioni di migranti, l’Italia e la Spagna sono state la quinta e la sesta destinazione in Europa nel 2019. La migrazione di persone dai Paesi dell’ex Unione Sovietica verso la Russia (Ucraina, Kazakistan e Uzbekistan) ha rappresentato il più grande corridoio europeo per i migranti. L’incidenza più elevata sulla popolazione è invece registrata dalla Svizzera (29,9%), seguita da Svezia (20%), Austria (19,9%) e Belgio (17,2%). Le ragioni familiari hanno rappresentato quasi il 28% dei 3,2 milioni di permessi di soggiorno rilasciati nell’UE, seguiti dai motivi di lavoro il 27%, di studio il 20%; altri motivi, compresa la protezione internazionale, hanno rappresentato il 24%. Polonia (635 mila), Germania (544 mila) e Regno Unito (451 mila) sono i Paesi con il più elevato numero di primi permessi di soggiorno rilasciati nel 2018. Con riferimento alla cittadinanza di chi ha ricevuto più permessi nell’UE nel 2018, i cittadini ucraini sono quelli che hanno beneficiato di permessi di soggiorno principalmente per motivi di lavoro (65% di tutti i primi permessi di soggiorno rilasciati agli ucraini nel 2018), quelli cinesi per l’istruzione (67%), mentre i cittadini marocchini (61%) hanno beneficiato prevalentemente di permessi di soggiorno per motivi familiari.

Cosa succede in Italia?
Se scendiamo nel dettaglio italino gli ultimi dati sulla situazione demografica italiana diffusi dall’Istat confermano le tendenze in atto da alcuni anni: progressiva diminuzione della popolazione residente (-189 mila unità), in particolare nelle regioni del Mezzogiorno; aumento del divario tra nascite e decessi; stagnazione della fecondità a livelli molto bassi; aumento dell’incidenza della popolazione anziana e diminuzione di quella giovane, con il relativo ulteriore innalzamento dell’età media; saldo migratorio con l’estero positivo, anche se in diminuzione; aumento della popolazione residente straniera, sia in termini assoluti che relativi.

Se fino a un decennio fa l’aumento della popolazione straniera seguiva un ritmo significativo, da qualche anno il trend è in diminuzione (dal 2018 al 2019 appena 47 mila residenti e 2.500 titolari di permesso di soggiorno in più), accompagnato da altri segnali “negativi”, come la diminuzione delle nascite (da 67.933 nel 2017 a 62.944 nel 2019) e le minori acquisizioni di cittadinanza (passate da 146 mila nel 2017 a 127 mila del 2019). Stando ai dati forniti dal Ministero dell’Interno, i permessi di soggiorno validi al 1° gennaio 2020 sono 3.438.707, il 61,2% dei quali è stato rilasciato nel Nord Italia, il 24,2% nel Centro, il 10,8% nel Sud e il 3,9% nelle Isole. I cinque Paesi di provenienza prevalenti fra i titolari di permesso di soggiorno sono, nell’ordine, Marocco (circa 400 mila cittadini), Albania (390 mila), Cina (289 mila), Ucraina (227 mila) e India, che con poco meno di 160mila soggiornanti ha superato una nazionalità storica come le Filippine. Considerando, invece, il dato complessivo sui cittadini stranieri residenti in Italia (compresi, dunque, i cittadini comunitari), che in base alle elaborazioni Istat al 1° gennaio 2020 ammontano a 5.306.548 (con un’incidenza media sulla popolazione italiana dell’8,8%), la maggior quota è rappresentata dai rumeni (1.207.919).

La strada da preferire è dunque certamente quella della regolarizzazione, che consente di restituire i diritti sociali ed economici alle persone, sottraendole alle pratiche di sfruttamento, tanto dannose anche per le casse dello Stato, in termini di evasione fiscale e contributiva.

Nell’approfondimento dedicato all’apporto economico dell’immigrazione si evidenzia che in Italia nel 2018 il contributo dei migranti al PIL è stato di 139 miliardi di euro, pari al 9% del totale. I circa 2,3 milioni di contribuenti stranieri hanno dichiarato 27,4 miliardi di redditi, versando 13,9 miliardi di contributi e 3,5 miliardi di IRPEF. L’IVA pagata dai cittadini stranieri è stimata in 2,5 miliardi. Si tratta di dati che confermano il potenziale economico dell’immigrazione che, pur richiedendo notevoli sforzi nella gestione, produce senza dubbio benefici molto superiori nel medio-lungo periodo. Anche i costi per la gestione delle emergenze, che sono aumentati dagli 840 milioni nel 2011 ai 4,4 miliardi nel 2017, possono essere ammortizzati nel tempo, soprattutto se sostenuti da politiche capaci di ridurre l’irregolarità, che oggi è stimata in 670 mila persone. Pertanto, una regolarizzazione di tutti i lavoratori stranieri avrebbe garantito entrate superiori ai 3 miliardi di euro.

L’occupazione dei cittadini stranieri continua a dare segnali di crescita, ma al contempo non registra significativi avanzamenti nella qualità del lavoro. Permangono le criticità che studi e Rapporti sul tema sottolineano da anni: ovvero la tendenziale concentrazione in alcuni specifici settori, in cui le qualifiche e le mansioni ricoperte sono per lo più a un basso livello professionale o contrattualizzate a tempo (o con modalità precarie); le conseguenti differenze retributive con i lavoratori italiani, la ancora scarsa partecipazione delle donne (soprattutto di alcune nazionalità) al mercato del lavoro, l’adibizione a lavori manuali, con scarsa preparazione anche rispetto ai rischi per la sicurezza e, ancora, le scarse prospettive di crescita professionale dei più giovani, anche essi avviati, almeno stando alle attuali tendenze, a riprodurre le modalità occupazionali della generazione precedente.

La presenza degli alunni stranieri si attesta come una componente sempre più fondamentale e consistente: nell’anno scolastico 2018-2019 la perdita di 100 mila studenti italiani (-1,3%) dovuta al calo della natalità è stata compensata da un aumento di studenti con cittadinanza straniera, per lo più di seconda generazione, di quasi 16 mila presenze rispetto all’anno precedente (+1,9%) raggiungendo un totale di circa 860 mila unità ossia il 10% del totale della popolazione scolastica.

In più la circostanza che ormai il 64,4% degli alunni stranieri è nato il Italia ma non ha la cittadinanza, rafforza sempre più la necessità di intervenire a modificare una vecchia legge, superando gli ostruzionismi politici, che legano i minori ad un fenomeno a sua volta ostaggio della politica; ovvero utilizzato per provocare o, al contrario, evitare, conflitto politico.

Secondo l’Istat nel 2019 gli individui di nazionalità non italiana in povertà assoluta sono quasi 1 milione e 400 mila, con una incidenza pari al 26,9%, contro il 5,9% dei cittadini italiani. I dati ufficiali sono diffusi annualmente dall’Istat nel mese di giugno, e fanno riferimento alla situazione del Paese nell’anno precedente (in questo caso, il 2019); non tengono quindi conto dell’impatto socio-economico determinato dalla pandemia di Covid-19, che sta ancora esercitando un influsso negativo sulle condizioni sociali ed economiche del nostro Paese. L’ipotesi che possiamo avanzare è che le restrizioni imposte dal lockdown su vari aspetti della vita sociale (il divieto di spostamento sul territorio, la necessità di rimanere a casa, l’interruzione della frequenza scolastica, ecc.) abbiano penalizzato fortemente le famiglie immigrate, anche a causa di una situazione lavorativa e logistica che già in partenza si presenta notoriamente più debole di quella degli italiani.

Salute e Covid
I dati disaggregati dicono che al 22 aprile 2020 in Italia su 179.200 diagnosticati, tra quelli con nazionalità conosciuta (69,3%), solo il 5,1% è attribuibile a individui di nazionalità straniera. Uno stesso monitoraggio condotto dall'INMP sui casi di positività al Covid fra gli stranieri presenti nel sistema di accoglienza per richiedenti asilo in un periodo che va dall’11 maggio 2020 al 12 giugno 2020 ha evidenziato che su 59.648 immigrati accolti, sono stati confermati 239 positivi al Covid-19, lo 0,4%, distribuiti in 68 strutture.

Non c’è stato dunque in questi mesi alcun allarme sanitario ricollegabile alla presenza di cittadini stranieri nel nostro Paese. La prevalenza di casi positivi è analoga a quella della popolazione generale e con una distribuzione geografica dei casi che mostra un gradiente Nord-Sud conforme a quello osservato nel Paese. Rimane però fondamentale per tutti l’attenta sorveglianza sanitaria di situazioni di potenziale maggior rischio, come quelle che hanno a che fare con i contesti informali, ad es. i ghetti o gli stabili cittadini occupati; l’attenzione verso le fasce più vulnerabili e a rischio (es: vittime di tratta, senza dimora); percorsi, procedure e processi per la gestione di casi sospetti o conclamati di positività al virus di ospiti di strutture di accoglienza e, non ultima, è fondamentale la messa in atto di misure di supporto economico, coesione sociale e mitigazione della pandemia.


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