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Sanità & Ricerca

Si sfrutti il Covid per lavorare sulla salute mentale con percorsi personalizzati

Per l’ex senatrice Nerina Dirindin, docente di Economia pubblica del Welfare e di Scienza delle finanze all’Università di Torino che il 17 ottobre interverrà alla Settimana della Salute di Modena, «c'è bisogno di un cambio di paradigma, di una trasformazione culturale» che porti a «evitare quando è possibile il ricovero nelle strutture residenziali e ospedaliere, seguendo le persone a domicilio con un budget di salute»

di Laura Solieri

Il Coronavirus ha reso tutti consapevoli della necessità di avere una sanità pubblica forte e qualificata, presente diffusamente sul territorio, di prossimità. Le persone vanno curate nella comunità in cui vivono, lasciandole nel loro contesto di vita. C'è bisogno di adottare una nuova filosofia dove sanità non equivale solo a erogazione di prestazioni ma è tutela della salute nel senso più ampio, è coinvolgimento di tutta la comunità.

Tante le questioni ancora aperte, in modo particolare in tema di Salute Mentale, evidenziate da questo periodo storico, a partire dal buon uso dei fondi europei per la ripresa, da destinare al rafforzamento dei servizi territoriali di comunità, a superare tutte le forme di contenzione, segregazione e interdizione che pure in questo periodo di pandemia sono aumentate (se ne parlerà il 17 ottobre a Modena nell’ambito dell’appuntamento Salute Mentale: le questioni aperte. Coordinamento Nazionale Conferenza della Salute Mentale).

«C'è bisogno di un cambio di paradigma, di una trasformazione culturale e di una grande formazione degli operatori oltre che di una puntuale informazione ai pazienti, ai famigliari, alla cittadinanza – sostiene l’ex senatrice Nerina Dirindin, docente di Economia pubblica del Welfare e di Scienza delle finanze all’Università di Torino che il 17 ottobre interverrà a Màt – Questa è l'occasione per investire nei primi anni delle risorse del tutto straordinarie, per dei percorsi personalizzati, integrati, di terapia e riabilitazione, cercando di evitare quando è possibile il ricovero nelle strutture residenziali e ospedaliere, seguendo le persone a domicilio con un budget di salute, cioè mettendo insieme tutte le risorse che una comunità ha, che una famiglia ha a disposizione per una persona che ha problemi di sofferenza mentale».

Fare percorsi personalizzati e mettere insieme le risorse in un budget di salute è un’alternativa fondamentale rispetto a quello che di solito invece si fa, alternativa che va potenziata. In alcune realtà è già stata sviluppata ma si tratta di esperienze isolate e a macchia di leopardo.

«Quante volte, rispetto a un paziente anche con gravi problemi, ricorre la domanda Dove lo metto? – afferma Dirindin – Il problema non è dove mettere le persone ma dare alle persone un progetto personalizzato, legato all'intensità dei bisogni, alla complessità della situazione e alla condizione socioeconomico, lavorativa e abitativa. Questa condizione dovrà poi essere sorretta da un budget determinato cioè da una quantità di risorse economiche di tempo e professionalità che aiutino ad affrontare le difficoltà. Per fare questo, occorre avere la forza di metterci delle risorse affinché nei primi anni queste iniziative non siano particolarmente difficili da affrontare perché lavorare a domicilio vuol dire risparmiare risorse: curare a domicilio le persone costa meno della metà rispetto al seguirle nelle strutture residenziali ma nella fase iniziale bisogna investire nella formazione, nell'informazione, nel personale che deve essere adeguato numericamente e quantitativamente».

Poi c'è un altro tema: le strutture della salute mentale sono spesso degradate, con arredi non qualificati, non pensate per garantire distanziamento né accoglienza e ospitalità in maniera dignitosa e rispettosa delle persone. Occorre un grande investimento sui centri di salute mentale, sui dipartimenti e strutture semiresidenziali per renderle accoglienti e sicure.

Il Coronavirus ha messo in luce tutte le esigenze a lungo sottolineate nel decalogo per il rilancio della sanità pubblica proposto da Dirindin insieme a molte altre personalità a luglio 2019, spesso considerate quasi come delle utopie o comunque ambizioni che cozzavano contro la decisione di risparmiare risorse sulla sanità. «Il vero problema dell'epidemia è che rende ancora più ampi i divari e le disuguaglianze – ribadisce l’ex senatrice – Colpisce tutti ma lascia cicatrici più forti sui più deboli. Sono sempre del parere che occorre investire nelle cose non solo in senso finanziario bensì investire nella crescita culturale, nella formazione, in campagne di promozione della salute, informazione ai cittadini, nelle capacità delle persone malate di fare valere i loro diritti.

C'è bisogno di una grande leadership dal basso e quindi bisogna creare una cultura importante, anche nei decisori e nei professionisti. Questa emergenza ci ha insegnato che abbiamo sbagliato a puntare molto sull'assistenza ospedaliera e meno su quella territoriale, che la prevenzione è molto più importante di quanto in questi anni siamo riusciti a sviluppare, che gli anziani e le persone fragili non vanno ricoverati in strutture anche di grandi dimensioni dove gli spazi sono comunque contenuti e ristretti, perché basta una cosa anche piccola per mettere in difficoltà l’intera struttura: in questo senso, ancora una volta, c’è bisogno di una grande svolta strutturale».


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