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Economia & Impresa sociale 

Amministrazione condivisa, la norma da sola non basta per voltare pagina

"Con il disco verde del decreto semplificazioni gli enti del terzo settore, le organizzazioni di rappresentanza, le realtà di ricerca, studio e formazione, i soggetti della filantropia istituzionale sono chiamati ad essere protagonisti di una nuova stagione". L'intervento del presidente di Assifero

di Felice Scalvini

1. UNO SCENARIO CAMBIATO
Lo scenario è decisamente cambiato! Dopo la decisone della Corte costituzionale e la norma introdotta nel decreto semplificazioni, l’art. 55 del Codice del Terzo settore col suo carico di innovatività nel segno del principio di sussidiarietà, appare finalmente sdoganato. Le modalità proprie della “amministrazione condivisa” potranno progressivamente affermarsi. Molto ci si attende dalla PA, e senza dubbio ad essa compete un cambio deciso di registro, ma questa svolta istituzionale impone di voltare pagina anche ad altri soggetti, chiamati ad assumere prospettive di lavoro in larga misura del tutto nuove. Tra i molti chiamati a questa sfida, quattro in particolare mi pare possano essere, se lo vorranno, i protagonisti di una nuova stagione: gli enti del terzo settore; le organizzazioni di rappresentanza; le realtà di ricerca, studio e formazione; i soggetti della filantropia istituzionale. Proviamo a vedere come.

2. ENTI DEL TERZO SETTORE
Tra gli ETS il rafforzamento della nuova prospettiva sancita dall’art. 55 sta provocando una reazione comprensibile, ma, mi pare, ancora inadeguata. Si vanno infatti diffondendo soprattutto richieste e proposte che mirano ad avviare percorsi formativi, tavoli, o altre forme di confronto tutti orientati a sollecitare la PA a cambiare registro e innescare i nuovi auspicati processi. Non mi sembra vi sia notizia di parallele iniziative rivolte all’interno del Terzo settore e dedicate ai suoi soggetti. Quasi che questi risultino già attrezzati per la nuova stagione. Eppure mi pare evidente che la novità dell’art. 55 non riguarda soltanto la PA. Anche il mondo del Terzo Settore deve riflettere attentamente su se stesso e attivare processi e trasformazioni che possano renderlo all’altezza di una nuova fase. Una stagione che dovrà essere segnata da reali capacità programmatorie oltre che progettuali e da un intenso e rinnovato spirito di collaborazione.

Di cosa c’è bisogno? Per essere all’altezza della sfida della coprogrammazione/coprogettazione si tratta innanzitutto di dotarsi di competenze e metodologie per comprendere meglio il contesto entro cui si opera; di disporre di capacità progettuali in grado di uscire dai particolarismi per fare propria e integrare la prospettiva universalistica e plurale di cui è portatrice, indispensabilmente, la PA; significa riformulare in chiave strategica e non solo opportunistica le forme di collaborazione tra le organizzazioni. Come si può infatti immaginare di sedersi al tavolo di collaborazione con le PA se prima non si è attivato un tavolo di collaborazione tra gli ETS? Significa anche riflettere su vocazioni e specificità di ogni realtà e sulle prospettive, dinamiche e ambizioni di sviluppo di ciascuna organizzazione, così da renderle compatibili e sinergiche con quelle delle altre organizzazioni. Per l’universo cooperativo si tratta di porsi il problema di come dare finalmente convinta attuazione al 6°principio cooperativo – quello relativo alla cooperazione tra cooperative –, ora che la PA non ne impone più l’abiura come condizione per rapportarsi con essa nella gestione dei servizi.

A ben vedere un lavoro immane di reale innovazione, che richiede consapevolezza, determinazione e leadership da parte innanzitutto dei gruppi dirigenti, nonchè un adeguato investimento di risorse, soprattutto per collegarsi con centri di studio e ricerca che possano supportare con informazioni, dati e metodologie i processi programmatori. Ma il gioco vale la candela. Quale PA potrà non adeguarsi alla spinta e alle proposte che arriveranno dagli ETS che già abbiano eletto la coprogrammazione e la coprogettazione a modalità strutturale nei rapporti tra di loro?

3. RICERCA, STUDI E FORMAZIONE
Un apporto fondamentale al cambiamento di rotta potrà sicuramente venire dai poli di studio, ricerca e formazione che già da anni si occupano di terzo settore, nonchè da quelli che potranno decidere di entrare in campo. Anche ad essi però sarà richiesto una attenta rimeditazione circa gli orientamenti e le attività che li hanno caratterizzati sino ad ora. Credo che non potranno sottrarsi all’imperativo di programmare con maggiore consapevolezza e con uno sguardo ampio e il più possibile nuovo, cercando di non farsi troppo condizionare da esigenze di marketing e anch’essi riflettendo su come rinforzare connessioni e collaborazioni. Tre, in particolare, le missioni che dovranno caratterizzare questa nuova stagione.

La prima quella di sviluppare ricerca e proporre una formazione – in tutte le varie forme, ma principalmente per i leader e manager del terzo settore – fortemente alternative a quelle ispirate dal mainstream mercatista, finanziarizzato e concorrenziale. Ai meccanismi cooperativi si dovrà guardare per ispirare, a cominciare dalle relazioni tra gli ETS e tra ETS e PA, nuovi assetti economici e sociali, soprattutto quando si tratta di produrre beni e servizi di interesse generale. Si tratta di modificare in profondità anche approcci consolidati. Proviamo solo pensare, a titolo di esempio, cosa significhi mettere a punto studi, ricerche, metodologie e conseguenti linee formative relative ad attività di marketing o found raising di tipo collaborativo anzichè competitivo. O cosa possa significare considerare gli apporti e le collaborazioni delle altre realtà della comunità a cui si appartiene, come naturali fattori da incorporare nella propria impresa sociale. Mutando la prospettiva d’approccio si aprono straordinarie frontiere di studio, ricerca, formazione.

Una seconda prospettiva, riconducibile alla “terza missione” a cui sono chiamati gli atenei, sarà quella di affiancare e supportare il mondo del Terzo Settore nelle attività soprattutto di coprogrammazione, ma anche di coprogettazione, che sarà chiamato a svolgere. Attività che non possono prescindere dalla disponibilità di informazioni, dati, valutazioni che esulano dalle normali conoscenze e competenze dei singoli enti (e purtroppo, spesso, anche delle PA con le quali interloquire). Si aggiunga che la stella polare della coprogrammazione, credo – e spero –sarà sempre più rappresentata rappresentata dallo sviluppo sostenibile, basato sui diritti e guidato dal riferimento agli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile – SDGs, fissati dalle Nazioni Unite . Un terreno sul quale sarà indispensabile muoversi mobilitando tutte le risorse di intelligenza e competenza di cui dispongono i centri di studio, ricerca e formazione focalizzati sul Terzo Settore e non solo.

Un terzo punto, che in realtà coinvolge anche i media interessati al mondo del Terzo Settore, investe la necessità di sviluppare, oltre alla rappresentazione delle esperienze e dei meriti, anche un’approccio analitico e critico alle realtà del Terzo Settore. Un ambito fatto di successi (molti), ma anche di insuccessi; di innovazione, ma anche (talvolta) di conservazione; di lungimiranza e dedizione, ma anche, in alcune esperienze, di visione corta e di autocentratura. Insomma un mondo dal quale non provengono solo buone notizie, peraltro oggettivamente preponderanti. E quali soggetti più dei centri di ricerca indieme ad una stampa equilibrata possono svolgere questa funzione essenziale di analisi e critica?

4. LE ORGANIZZAZIONI DI RAPPRESENTANZA
La nuova prospettiva di cui stiamo trattando impone una rimeditazione e una rimessa a punto del modo di operare anche delle organizzazioni di rappresentanza, tanto al loro interno, quanto verso l’esterno. È palese infatti che la prospettiva della coprogrammazione richiede di rinforzare, qualificare e diffondere la capacità di rappresentanza collettiva nell’incontro/confronto a tutti i livelli delle istituzioni e in tutti gli ambiti del paese. Una rappresentanza che sappia esprimere non tanto elenchi di rivendicazioni e richieste, ma soprattutto produrre disegni prospettici e trasformativi per la società tutta, nei diversi ambiti di operatività del TS. Elaborazioni e proposte nelle quali dovrà emergere forte la capacità di rappresentare innanzitutto l’interesse complessivo delle comunità alle quali si fa riferimento, più che quelli delle singole organizzazioni che di hanno alle spalle.

Prioritario appare quindi la costruzione di forma di rappresentanza diffusa e articolata nei diversi territori. Strutture organizzative che possano diventare palestre di collaborazione, innanzitutto a livello locale, tra i diversi ETS, rendendoli capaci di partecipare insieme alle interlocuzioni con la PA su un piano di effettiva parità, formulando elaborazioni e proposte organiche, anche grazie ai supporti di cui si è parlato al paragrafo precedente. È evidente che una simile prospettiva pone un problema di risorse, di cui credo dovranno farsi carico le principali organizzazioni, nella consapevolezza che soltanto una reale solidarietà interna alle strutture di rappresentanza potrà dare prestigio, forza e influenza nel dialogo con la PA a tutti i livelli

5. I SOGGETTI DELLA FILANTROPIA ISTITUZIONALE
Perchè l’insieme dei soggetti della filantropia istituzionale riveste un profilo e un’importanza specifica? Perchè si tratta di quelle organizzazioni che all’interno del TS sono in grado di distribuire risorse per il sostegno delle altre organizzazioni, spesso contribuendo ad orientare scelte e comportamenti. Occupano dunque una posizione strategica, perchè con le loro opzioni, sia di ambito che di metodo, riguardo alla allocazione delle misure di sostegno, possono determinare scelte e comportamenti degli altri soggetti che popolano l’universo del TS. Si tratta di dinamiche ormai note agli studiosi e ben analizzate soprattutto da chi si occupa delle relazioni tra incentivi e scelte, sia riguardo alle persone che alle organizzazioni. Se come è noto, in misura rilevante è il sistema degli incentivi a orientare i comportamenti degli ETS, grande è la responsabilità di chi, proprio nella loro distribuzione concretizza la propria missione. Gli enti filantropici, appunto.

In una fase in cui la PA amministrazione è chiamata ad abbandonare forme di allocazione competitiva, riorientandosi verso modalità di relazione fondate su processi collaborativi, è abbastanza evidente che per il mondo della filantropia istituzionale si pone il problema di come porsi anch’esso su questa lunghezza d’onda. I tradizionali bandi per la selezione di progetti andranno ripensati, ed il dialogo coi destinatari delle risorse andrà costruito su nuove basi, improntate a visioni e strategie di lungo periodo. Per fare ciò sarà opportuno individuare, tra gli altri, anche nuovi oggetti di finanziamento. Ne indico alcuni che credo, protranno aiutare il processo di crescita ed evoluzione qui auspicato.

In primo luogo il finanziamento delle attività di studio, ricerca, formazione e assistenza di cui ho parlato sopra. Un nuovo mainstream collaborativo avrà maggiori probabilità di affermarsi se vi saranno investitori consapevoli che destineranno risorse ad approfondirne le ragioni, i temi e i problemi, le modalità. In secondo luogo sarà utile intervenire a sostenere l’evoluzione delle orgaizzazioni ed i costi che dovranno affrontare per “cambiare rotta”. Si tratterà di operazioni non indolori, che assorbiranno risorse in misura non indifferente. Da qui l’importanza di incentivi destinati a coprire specificamente i costi generali derivanti da simili processi, sostenendo la messa a punto di stabili pratiche collaborative e la distribuzione armonica di diverse attività in capo a diversi soggetti. Particolarmente efficaci potranno risultare incentivi destinati a favorire la diffusione delle esperienze migliori. Processo di cui vi è particolarmente bisogno in un paese molto diseguale e che va realizzato incentivando la riproduzione, possibilmente epidemica, delle pratiche di successo, abbandonando la eccessiva e fuorviante retorica della innovazione a tutti i costi.

6. CONCLUSIONI
Come noto il cambiamento degli scenari normativi non basta di per sè a garantire tempi nuovi e reali e profonde trasformazioni. Ma è fuor di dubbio che nulla più della forza della legge può risultare abilitante oggi per i soggetti davvero interessati a che l’ampio campo di attività indicato dall’art. 5 del Codice del Terzo Settore possa andare incontro ad una stagione di grande sviluppo grazie alla collaborazione tra PA e ETS nel segno del principio di sussidiarietà. Sta a questi soggetti riflettere, decidere e operare di conseguenza, impegnandosi a voltare pagina per agire con determinazione secondo nuove idee, pratiche e relazioni. Una scelta che se attuata può oggi dare uno dei contributi più rilevanti ad affrontare il difficile, incerto e insicuro percorso che il futuro riserva al nostro paese dopo la grande crisi determinata dalla pandemia che, ad oggi, ancora non ci siamo messi alle spalle.


In foto la Scuola di Quartiere di Bologna


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