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Servizio civile per tutti, cronaca di un diritto negato

L'ex sottosegretario al Welfare e padre della riforma del Terzo settore ripercorre le tappe che hanno portato all'universalità del servizio civile. Una promessa che ancora oggi è rimasta sulla carta

di Luigi Bobba

Nell’anno nero del Servizio civile nazionale – il 2012 – Vita buttava il cuore oltre l’ostacolo e lanciava il Servizio civile universale. I ragazzi in servizio erano ormai ridotti al lumicino, ma, con un’intuizione rivelatasi poi feconda, il magazine del non profit italiano raccoglieva attorno alla proposta un numero elevato di adesioni e il sostegno di diverse parti politiche. Che significato veniva dato alla parola universale? Non veniva certo messa in discussione la volontarietà della scelta, ma come spiegava bene il direttore Riccardo Bonacina, non deve più accadere che lo Stato italiano “dica ad un giovane che vuole impegnarsi per la sua comunità: no, tu no”! E continuava: “certo ci vuole un po’ di coraggio per immaginarsi un po’ di futuro …Ma l’alternativa è la morte per irresponsabilità”. La proposta del servizio civile universale veniva poi inserita nella legge delega di riforma del Terzo settore, varata dal governo Renzi nell’agosto del 2014. Il Servizio civile nazionale viene così trasformato in Servizio civile universale, ovvero reso – almeno sulla carta – un diritto esigibile per tutti i giovani. Pur mantenendo il carattere di volontarietà, la Repubblica si impegna a dire SI’ a tutti quei giovani, ragazzi e ragazze che decidono – come scrisse Sergio Mattarella nel 2001, allora vicepresidente del Consiglio dei Ministri, – “di concorrere alla difesa non armata della Patria con mezzi e attività non militari”. Nel frattempo, il Servizio civile nazionale veniva rifinanziato e, poco per volta, i numeri tornavano a crescere: dalle poche centinaia del 2012 si arriva a circa 58.000 posti disponibili all’inizio del 2018. Alla legge delega di riforma del Terzo settore, approvata nel maggio del 2016, seguì il decreto legislativo n.40/2017, recante il titolo “Istituzione e disciplina del Servizio civile universale”. Sono ormai trascorsi più di tre anni dall’emanazione di quel provvedimento e serve ora domandarsi se l’appello visionario di Vita- diventato legge dello Stato – abbia un effettivo riscontro nella realtà. L’appello, lanciato sempre da Vita, ci dice che così non è in quanto – proprio in questi tre anni – i volontari impegnati nel servizio civile sono andati diminuendo anziché crescere come era accaduto nel quinquennio precedente. E le prospettive per il 2021/2022 sono ancora peggiori.

Le norme attuative hanno appesantito l’iter di accreditamento degli enti e reso ancora più lunghi i tempi di ingaggio dei giovani in servizio. E allora che fare per gli anni a venire?

La riforma poi, aveva altresì introdotto innovazioni rilevanti: l’apertura completa ai giovani stranieri purchè regolarmente residenti in Italia; la flessibilità nella durata del servizio, fissata in un periodo da 8 a 12 mesi; l’incentivo agli enti accreditati ad ingaggiare i ragazzi più sfavoriti, che difficilmente fanno la scelta del servizio civile; l’attestazione delle competenze acquisite nell’anno di servizio in modo da poterle far valere nei successivi percorsi professionali; la possibilità di svolgere per almeno tre mesi il servizio civile in un altro paese della Unione Europea. Insieme al cambiamento normativo, tra il 2016 e il 2018, venne fatto anche un forte investimento simbolico e comunicativo. Ne sono una testimonianza l’incontro in Aula Nervi di 7000 volontari con Papa Francesco; l’udienza – nel 2017 – al Quirinale di una delegazione dei rappresentanti dei giovani in servizio con il Presidente Sergio Mattarella; e infine, l’incontro, all’inizio del 2018, con il capo del governo Paolo Gentiloni.

Che bilancio fare della riforma? Certamente dal lato dei numeri prevale il segno meno. In questi ultimi tre anni, circa 100.000 giovani hanno visto la loro domanda respinta. Lo Stato non ha mantenuto la promessa. E in questo 2020 – pur con le molte risorse dispiegate per affrontare la pandemia da Covid, Parlamento e Governo non sono riusciti a trovare almeno 100 milioni di euro per rifinanziare adeguatamente il servizio civile. Un vero atto di sfiducia nei confronti di un’Italia giovane, in cerca del proprio futuro e desiderosa di fare qualcosa di positivo per la propria comunità. Anche le innovazioni più importanti, seppur in parte attuate, faticano a diventare elemento caratterizzante del nuovo Servizio civile. Ciò anche perché le norme attuative hanno appesantito l’iter di accreditamento degli enti e reso ancora più lunghi i tempi di ingaggio dei giovani in servizio. E allora che fare per gli anni a venire?

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