Welfare & Lavoro

Lavoratori fragili, ci sono ancora figli e figliastri

Le novità introdotte dalla conversione del decreto Agosto lasciano nuovi dubbi sulla effettiva e reale cogenza - in ambito privato (a differenza che nell'impiego pubblico) - delle disposizione che prevedono di norma il lavoro agile. Ecco perché

di Carlo Giacobini

In questi mesi molti lavoratori con disabilità, con esiti da patologie oncologiche, con immunodepressione e altro si sono ansiosamente interrogati su eventuali tutele che consentissero loro di conservare al contempo posto di lavoro, la retribuzione e preservassero il più possibile integro lo stato di salute. E le maggiori aspettative sono state poste sul noto articolo 26 del decreto cura Italia di marzo scorso (per la precisione nell’articolo 26 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27). Esso, in modo pur confuso e con scrittura piuttosto incerta, delineava la possibilità, dietro mal rifinita presentazione della dovuta certificazione, di equipare le assenze di quei lavoratori al ricovero ospedaliero. Ci sono voluti mesi – dopo quel marzo 2020 – per capire con un po’ più di contezza quale fosse l’iter corretto per ottenere quella “agevolazione”. Il beneficio, che è ammesso sia per i lavoratori pubblici che privati, previsto inizialmente fino a fine aprile, è comunque cessato a fine luglio scorso. Rimane, nonostante le decine di richieste espresse, da chi ne ha un minimo di competenza, in tutte le sedi e in tutti i modi, un dubbio di notevole rilevanza: quei periodi di assenza sono computati nel periodo di comporto cioè nel periodo massimo di conservazione del posto di lavoro dopo lunghi periodi di malattia? Nessuno ha formalizzato una risposta lasciando nel dubbio migliaia di lavoratori in un momento già particolarmente difficile. Sin qui la premessa. Ora i fatti nuovi.

In piena estate il Governo emana il decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (decreto agosto) che inizia il suo percorso di conversione in legge dal Senato che ne conclude l’esame il 6 ottobre scorso approvando una serie di modificazioni, passando il testo risultante all’altro ramo del Parlamento, dove – con l’ormai consolidato l’andazzo monocameralista – viene posta la fiducia senza ulteriori spazi di discussione. Il decreto è convertito dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126. Quali sono realmente le novità approvate dal Senato e vidimate alla Camera?

L’articolo 26 viene riscritto correggendo evidenti refusi giuridici ma nella sostanza solo spostando il termine dei benefici da fine luglio al 15 ottobre (ottobre di quest’anno).

Dal 16 ottobre e fino al 31 dicembre 2020 quegli stessi lavoratori “svolgono di norma la prestazione lavorativa in modalità agile, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti, o lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale anche da remoto.” Una “prescrizione” (usiamo volutamente le virgolette) priva della consapevolezza del reale mondo del lavoro, un luogo concreto dove talora non esistono attività remotizzabili, dove possono non esistere competenze specifiche… e così via. Lo spiegheranno alle cassiere immunodepresse del supermercato di come si stacca lo scontrino dal salotto di casa.

Nella sostanza il Senato ha “riapprovato” l’articolo 39 dello stesso decreto “Cura Italia” – che già prevede il lavoro agile (fra l’altro fino a fine emergenza e non fino al 31 dicembre come il decreto appena convertito) – senza peraltro modificare l’inquietante passaggio: “a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione.”

A parte questo, nessuna traccia di precisazioni sul comporto delle assenze equiparate a ricovero ospedaliero da marzo scorso al 15 ottobre. Di certo è che dal 16 ottobre quella equiparazione non sarà più possibile. Non ce n’è più per nessuno. O quasi.

Sì, perché il Senato ha modificato anche l’articolo 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (cura Italia) che però riguarda solo i dipendenti pubblici (e non tutti per essere precisi). Il nuovo testo del primo comma recita “Il periodo trascorso in malattia o in quarantena con sorveglianza attiva, o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva, dai dipendenti delle amministrazioni (…) , dovuta al COVID-19, è equiparato al periodo di ricovero ospedaliero e non è computabile ai fini del periodo di comporto.” (il grassetto nell’ultima frase ché è la novità che fa la differenza fra essere licenziati – a fine emergenza – oppure no).

Nella sostanza in ambito privato si rimane nell’incertezza (comporto sì, comporto no?), in ambito pubblico c’è forse un margine in più. Insomma l’ennesimo pastrocchio frutto anche di pessimi consigli “extra” parlamentari.,

Nella sostanza nulla di fatto e cento nuovi dubbi sulla effettiva e reale cogenza – in ambito privato – delle disposizione che prevedono di norma il lavoro agile.

Ma tant’è: gli intenti futuri del Governo sembrano orientati a rafforzare il ricorso allo smart working. Vedremo se ci saranno ancora figli e figliastri.


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