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Alice Giuliodori: «Il Servizio Civile mi ha costretto ad aprirmi all’altro»

Ha 22 anni, vive a Osimo e dopo il servizio prestato presso la Lega del Filo d'Oro ha cambiato i propri piani: «volevo fare la maestra d'asilo. Adesso vorrei invece lavorare con l'associaizone e ho già cominciato ad aiutare come volontaria»

di Sara De Carli

Alice ha sempre voluto fare la maestra di asilo, con i bambini piccoli. La domanda per il servizio civile l’ha presentata perché la mamma ha insistito, le dava punti per non sa neanche più quale graduatoria. Perché adesso Alice non è più così sicura che la sua strada sia quella: «Mi piacerebbe tanto lavorare alla Lega del Filo d’Oro. Quando è finito il servizio civile non le dico i pianti… Due giorni dopo sono tornata e ho chiesto di fare la volontaria. Ci siamo accordati per rimanere con gli stessi ragazzi che ho seguito con il servizio civile, così li conosco già, vado una volta alla settimana al cambio turno del pomeriggio, che è un momento delicato. Con il Covid-19 questo è stato sospeso, mi hanno chiesto di registrare dei brevi file audio in spagnolo per una ragazza che ama la musicalità di questa lingua».

Alice Giuliodori ha 22 anni e vive a Osimo, la culla della Lega del Filo d’Oro. «Qui la “Lega” la conoscono tutti, io abito a tre minuti dalla sede, avevo visto spesso qualche utente sordocieco in città, ma la verità è che non sapevo esattamente a cosa andavo incontro», ammette. E aggiunge: «Alle selezioni eravamo in tanti, ho pensato “figurati se prendono me”». Alla Lega del Filo d’Oro, però, sono esperti nel vedere oltre: oltre le apparenze, oltre la disabilità, oltre ciò che oggi è. Sono esperti di potenzialità, di ciò che ancora oggi non è ma potrebbe essere. «Devono aver fatto così anche con me», ride Alice. «Non lo so, forse hanno capito che sono una alla mano e che riesco ad ambientarmi facilmente ai vari contesti. Le prime settimane però sono state dure. Un giorno sono tornata a casa sopra atta, mia mamma mi incitava e io le urlavo “tu non puoi capire, tu non ci sei mai stata”. Non è che volessi gettare la spugna, sono una che non lascia mai le cose a metà… forse ero più che altro arrabbiata con me stessa, perché improvvisamente mi sono resa conto che un sacco di volte mi ero lamentata perché non avevo questo o quello e che loro invece — a cui manca davvero qualcosa — erano felici».

Alla Lega del Filo d’Oro non puoi fermarti a guardare l’altro per l’apparenza, per i suoi limiti, per come è esternamente; qui devi per forza andare a quello che le persone hanno dentro

Alice ha fatto il suo servizio civile nel 2019. L’hanno destinata, insieme a un collega, ad affiancare gli operatori di uno dei gruppi di utenti che alla Lega del Filo d’Oro hanno ormai trovato la loro casa e sono in trattamento residenziale: adulti sordociechi e pluriminorati psicosensoriali, persone con una disabilità complessa, che non solo non vedono e non sentono, ma che hanno anche problemi motori e/o intellettivi. Ogni gruppo di utenti vive in un appartamento che somiglia molto a una casa, con camere, cucina e soggiorno, pur appoggiandosi poi a tutti gli altri servizi del Centro. «La primissima cosa che mi colpì fu la pavimentazione diversa in cima e in fondo alle scale: chi non vede, con il piede, percepisce la differenza e quel segnale lo avverte che c’è la scala. La Lega del Filo d’Oro è piena di accorgimenti così», racconta Alice.

Inizialmente Alice osserva gli operatori lavorare, «sempre col pensiero “ma io non sono capace”», dice. Poi inizia ad accompagnare qualche utente nelle autonomie quotidiane: lavarsi i denti, vestirsi, mangiare. «Piano piano tutto è diventato normale. Io sono sincera, forse il cambiamento è stato quando ho smesso di guardare la disabilità, che ti porta a dire “oh mio Dio” oppure “poverini!”. Adesso io non vedo delle persone diverse, vedo soltanto delle persone, ognuna con il suo carattere, le sue emozioni, il suo bisogno e il suo modo di esprimerlo, né più né meno di me. Ho imparato qualcosina della Lingua dei segni, un po’ di Malossi, ma la maggior parte degli utenti che seguivo comunicano con dei gesti tutti loro, che bisogna imparare a conoscere. C’è qualcuno che è più riservato e qualcuno che invece è veramente buffo. Io ho legato tanto con Andrea, un ragazzo grande e grosso ma molto affettuoso, con lui siamo riusciti tantissimo a entrare in relazione». Alla Lega del Filo d’Oro, c’è poco o nulla di scontato: «Di certo è un ambiente in cui non puoi rimanere in disparte. Ti devi aprire all’altro ed essere tu a fare dei passi. La prima volta che una persona mi ha riconosciuta e ha detto il mio nome è stato incredibile», racconta Alice. È stato in estate, sei mesi dopo l’inizio del suo servizio civile: sei mesi che lei era lì insieme a loro sei giorni alla settimana. Oppure quando hanno smesso di fare le cose “proibite”, come mangiare fuori orario: «All’inizio era come se ignorassero la mia presenza e anche se io ero lì cercavano di prendere un dolcetto, “tanto questa chi è”. A un certo punto hanno smesso di farlo ed è stato come dirmi che mi avevano riconosciuta fra loro».

«C’è poco da fare, la disabilità psicosensoriale «è un altro mondo», conclude Alice, e questo anno di servizio civile «me lo ha spalancato e io ho scoperto che ci sto bene. Alla ne è facile dire di essere capaci di relazionarsi con “il diverso”, quando si resta con persone che tanto diverse da noi non sono. Qui è un’altra cosa. Qui non puoi fermarti a guardare l’altro per l’apparenza, per i suoi limiti, per come è esternamente; qui devi per forza andare a quello che le persone hanno dentro. E le conosci davvero».


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