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La società civile e il Digital Age: vecchie domande, nuove sfide nell’epoca della platform society

A causa del potere della tecnologia sta cambiando tutto: è un’evidenza, quasi una banalità. Meno evidenti, come sempre, sono le priorità che ci dobbiamo dare. Le generazioni e il cambio d’epoca: nell’ultimo libro di Paolo Benanti una sfida per la società civile organizzata nell’epoca delle piattaforme.

di Marco Dotti

Il digitale, con tutti i suoi artefatti, non genera solo strumenti. Produce salti di paradigma, nuove visioni della società, diversi sguardi sul mondo. Pc, tablet, smartphone, piattaforme e interfacce. Soprattutto: le reti attraverso cui interagiamo, studiamo, lavoriamo permettono di guardare al nostro come al tempo di una complessità infinita. Un tempo da cui emergono correlazioni tra esseri e cose talvolta impreviste, talvolta imprevedibili, certamente inedite nella vita quotidiana di miliardi di persone.

Siamo nel corso di un cambiamento d'epoca, spiega Paolo Benanti, teologo, francescano, oggi tra i massimi esperti di nuove tecnologie. Quella che stiamo vivendo, intensificata dalla pandemia, è infatti un’epoca radicale. Un Digital Age.

A causa del potere della tecnologia sta cambiando tutto: è un’evidenza, quasi una banalità. Meno evidenti, come sempre, sono le priorità. La priorità, in questo cambiamento, non è denunciare il “male” o esaltare il “bene” delle tecnologie. Il compito primario è comprendere. Un tema, questo, particolarmente importante se lo guardiamo con le lenti – le poche, persino tempi di pandemia, a non essersi appannate – del Terzo settore.

Chi guiderà il cambiamento

Al Terzo settore e alla società civile, ci spiega infatti Benanti, che al tema ha dedicato il recente e consigliatissimo libro (Digital age. Teoria del cambio d’epoca. Persona, famiglia e società, San Paolo, pagine 202, euro 18), «spetta il compito di porsi le domande fondamentali sul cambiamento. Il Terzo settore deve farsi mediatore di questa esperienza del digitale su temi etici, culturali, generazionali. Temi, in senso forte, culturali».

Cultura materiale e cultura digitale vanno di pari passo, perché «guardare alla cultura è guardare all’umano» e se «in ultima istanza la cultura ci interessa è perché è sempre espressione dell’uomo e del suo atteggiamento nell’affrontare la finitudine e la radicalità dell’esistenza umana».

Per padre Benanti «viviamo in un'epoca in cui il digitale sta toccando tutti gli aspetti della nostra esistenza. Immersi nel digitale siamo portati a chiederci: ci troviamo di fronte a un semplice strumento oppure questo strumento sta cambiando noi e il mondo?».

Per rispondere a questa domanda, Benanti invita a fare un po’ di passi indietro. I problemi, insegnava il filosofo Franco Volpi, anche se apparentemente non hanno soluzioni certamente hanno una storia. Ed è lì che bisogna tornare, perché è lì che, spesso, si annidano risposte (e, forse, soluzioni). Benanti invita a tornare con la mente al quindicesimo secolo, quando un artefatto tecnologico come la lente convessa produsse due utensili: il telescopio, con cui guardare l’infinitamente grande, e il microscopio con cui guardare l’infinitamente piccolo.

Da quel momento la concezione di ciò che eravamo e che cos’erano l'uomo e il cosmo è mutata. «Sta accadendo lo stesso, sotto i nostri occhi, con il digitale». I sistemi digitali, oggi, ci mettono davanti alle medesime, grandi domande che seguirono alla scoperta del telescopio e del microscopio: che cos'è il cosmo, che cos’è la vita stanno, come mutano di conseguenza i sistemi sociali?

Platform society: vecchie domande, nuove risposte

Domande tutt’altro che astratte, anzi immerse nella complessità che i sistemi digitali in parte svelano, in parte generano, in parte intensificano. La loro concretezza è l’impatto, verificabile da tutti, del digitale sulla vita quotidiana. Scuola, famiglia, sanità, dignità umana, relazioni primarie, lavoro. Valori. Sì, valori: perché il digitale svela che, se non abbiamo bisogno di risposte tarate su un moralismo passatista, abbiamo un incredibile bisogno di domande all’altezza della sfida etica che si prefigura.

La nostra società, oramai, si definisce nei termini di quella José van Dijk, studiosa di media studies, docente all’Università di Utrecht, ha chiamato «platform society». La pandemia ci ha esposti come non mai alle piattaforme, mostrando l’interdipendenza dei sistemi sociali e morali – ma talvolta anche della nostra stessa sopravvivenza fisica, pensiamo alle app di tracciamento dei contagi – dal digitale. La posta in gioco è al tempo stesso più concreta e più alta che non questioni di privacy e di tracciamento.

Anche la questione dei dati (il cosiddetto dataism) è valoriale. «Sono i valori pubblici a rappresentare la vera posta in gioco nella lotta per la piattaformizzazione della società», spiega van Dijk. Quali valori siamo disposti a sacrificare? Quali a portare con noi nel Digital Age? Ma, soprattutto, e qui entra il scena il Terzo settore, per l’affermazione, lo sviluppo, la diffusione di quali valori pubblici siamo disposti a impegnarci?

Benanti delinea, fra gli altri, uno scenario sfidante per la società civile organizzata: la sfida educativa nella trasmissione tra generazioni di valori e senso della vita.

Nei prossimi vent’anni, infatti, la prima generazione di bambini nati nel Terzo millennio, si troverà ad affrontare domande inedite generate dal digitale, dalle piattaforme e dalla realtà sintetica che si sta affermando. «La risoluzione di queste domande descriverà, nel bene e nel male, un mondo profondamente diverso da quello che abbiamo sperimentato». Prepararsi ora, per renderlo umanamente “abitabile”, è la sfida che attende la società civile nel Digital Age.


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