Solidarietà & Volontariato

E se gli artisti adesso andassero a scuola?

È la proposta che lancia il maestro e giornalista Alex Corlazzoli. La scuola senza le tante opportunità offerte dal mondo della cultura «è un po’ azzoppata» e il Coronavirus ha bloccato attori, musicisti, artisti: «La scuola ha bisogno di loro e loro hanno bisogno di noi», scrive. L'esperienza straordinaria di "Il Jazz va a scuola" che durante il lockdown in un solo giorno ha regalato a 8mila studenti in dad l'emozione di un concerto. 150 gli artisti coinvolti, per 250 esibizioni

di Sara De Carli

«Con i teatri chiusi, ora gli artisti vengano a scuola»: è la proposta che ha lanciato ieri su Il Fatto Quotidiano il maestro e giornalista Alex Corlazzoli. La scuola senza le tante opportunità offerte dal mondo della cultura «è un po’ azzoppata» e il Coronavirus ha bloccato attori, musicisti, artisti. «La scuola ha bisogno di loro e loro hanno bisogno di noi», scrive. «Invitiamoli tra noi: portateci il teatro in classe, spiegateci come nasce una canzone, venite con i vostri quadri in aula. Se non riusciamo a farlo in presenza, facciamolo grazie alla tecnologia. Sogno una lezione di teatro con Alessandro Bergonzoni, una di musica con i Modena City Ramblers». E lancia la richiesta di un patto fra i ministeri dell’Istruzione e della Cultura, con «un piccolo fondo che possa sostenere il servizio che il mondo dello spettacolo fa alla scuola»

È una buona idea, che ha già esperienze feconde. Casa Testori già durante il lockdown aveva proposto ad alcuni artisti che si erano ritrovati a dover lavorare davanti ai propri figli, di realizzare delle opere insieme a loro, a 4 o 6 mani. Negli stessi mesi di DAD Angelo Bardini – Piacenza Jazz Club – e Claudio Angeleri – CDpM Bergamo, entrambi soci dell’associazione nazionale Il Jazz va a scuola presieduta da Ada Montellanico, hanno ideato e realizzato un’esperienza straordinaria condivisa e apprezzata dall’UNESCO e in particolare da Herbie Hancock che ha scritto una accorata lettera a 8.000 studenti italiani. L’idea consisteva nel portare in un solo giorno, l’International Jazz Day del 30 aprile, 150 musicisti jazz in 250 classi ad altrettante classi virtuali per alcune lezioni-concerto in DAD collegati da un computer. «Avevamo in programma diversi interventi didattici e concerti nelle scuole e con le scuole, in vari ambienti della città: invece di rinunciare, abbiamo mixato, scuola da una parte e musica dall’altra, ed ecco l’idea. “Ingegnerizzare” è una parola di scuola a me piace molto, significa dare risposte a problemi veri», ricorda Bardini. Perché non fare entrare dentro le aule (virtuali) i musicisti con un concerto? «Siamo partiti ipotizzandone 50 e siamo arrivati a 250 concerti, con 150 musicisti, dalle 9 del mattino fino a sera. Abbiamo coinvolto tutto il jazz italiano, tutti hanno suonato gratuitamente, alcuni anche per due o tre classi, condividendo con i ragazzi la loro esperienza concertistica, la loro storia e il loro talento. Petra Mangoni, ad esempio, si è esibita insieme alla figlia Frida Bollani ed è stata un’ora e dieci a dialogare con i ragazzi, Fabrizio Bosso è "entrato" in una classe di Bobbio, Rita Marcotulli in una classe di Modena. È stato un modo straordinario di vedere quanto è bello il digitale se lo sai usare bene».

Al di là dell'emergenza un modello di scuola aperta, un sistema formativo integrato e "ibrido" può far tesoro delle tecnologie per aprire la piccola realtà al mondo e costruire insieme alle maestranze nuovi spazi educativi che favoriscono l’incontro dei ragazzi con la cultura costruendo intorno ad essa percorsi formativi di grande appeal

Angelo Bardini, Il Jazz va a scuola

Il primo concerto è stato con una classe di Bergamo in collegamento dalla California con Rob Sudduth, il penultimo quello con la violinista Eloisa Manera con una piccola scuola di Favignana, l’ultimo alle 21 di sera è stato per Travo, una scuola di 50 alunni in un piccolo paese dell’Appennino piacentino di 2 mila abitanti. «Si sono presentati sui divani, alcuni col farfallino e altri in cravatta; con i nonni e i genitori, eleganti e emozionati. C’era tutta Travo, almeno mille persone». Dall’altra parte c’era Jaques Morelenbaum, un violoncellista che suona anche con Fresu e che si esibisce nei teatri di tutto il mondo, «lui “è” il Brasile. Un artista che nessuno potrebbe mai portare a Travo né in una classe italiana, per la logistica, per quanto ci vuole ad andare a Travo e per i costi. Non ci saremmo arrivati in nessun modo senza il digitale. Invece Jaques era lì, dalla sua casa di Rio, per i bambini di Travo a cui ha regalato un’emozione che non dimenticheranno mai più. Erano come per incanto spariti gli 8.000 chilometri e le 8 ore del fuso orario. Non solo, quando ho scritto a Jaques con whatsapp del nostro progetto, la risposta è stata immediata: "Ci sarò!". Dentro la tecnologia anche in questo senso c’è un tesoro da scoprire e digitale è voce del verbo integrare».

Tutto questo è possibile. C’è già stato. E per l’oggi? «Credo sia stata una esperienza importantissima da ripetere e che ripeteremo già nell'aprile del 2021 al di là dell'emergenza perché ha permesso alle piccole scuole, quelle delle isole, delle montagne e delle aree interne di anticipare un modello di scuola aperta, un sistema formativo integrato e "ibrido" che fa tesoro delle tecnologie per aprire la piccola realtà al mondo e costruire insieme alle maestranze nuovi spazi educativi che favoriscono l’incontro dei ragazzi con la cultura costruendo intorno ad essa percorsi formativi di grande appeal», conclude Bardini.

In foto, Jaques Morelenbaum in un concerto a Cremona nel 2017. Foto di Angelo Bardini


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