Welfare & Lavoro

Programma 2121, quando l’inclusione sociale dei detenuti passa dalle multinazionali

È un’iniziativa pubblico-privata promossa dal Ministero della Giustizia italiano e da Lendlease, operatore globale del real estate, con lo scopo di favorire il reintegro dei detenuti nella società. L’intenzione è stata di valorizzare la presenza del Carcere di Bollate nelle immediate vicinanze del sito MIND Milano Innovation District, il progetto di riqualificazione dell’area che nel 2015 ha ospitato l’Expo

di Redazione

Programma 2121 è un’iniziativa pubblico-privata promossa dal Ministero della Giustizia italiano e da Lendlease, operatore globale del real estate, con lo scopo di favorire il reintegro dei detenuti nella società.

I positivi risultati dell’esperienza sono stati evidenziati dal policy paper di Filippo Giordano, Professore Associato di Economia Aziendale presso l’Università LUMSA di Roma e docente di Business Ethics e Responsabilità Sociale presso l'Università Bocconi che sarà presentato domani nella tavola rotonda digitale con relatori nazionali e internazionali.

La tavola rotonda sarà introdotta da Bernardo Petralia, Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – Ministero della Giustizia; Giovanna Di Rosa, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano – Ministero della Giustizia; Margaret Twomey, Ambasciatore d'Australia in Italia, Andrea Ruckstuhl, Head of Continental Europe, Lendlease. Interverranno tra i relatori Anna Eriksson, Professore di criminologia Monash University; Flavio Mirella, Chief Co-financing and Partnership Section – Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il delitto (UNODC); Paul King, Managing Director Sustainability & Social Impact – Lendlease Europe; Vincenzo Lo Cascio, Responsabile Ufficio Centrale Lavoro detenuti Ministero della Giustizia; Anna Chiara Giorio, Ricercatrice Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro (ANPAL); Filippo Addarii, co-Founder & CEO PlusValue.

Il nome del Programma 2121 deriva dall’articolo dell’ordinamento penitenziario che abilita i detenuti al lavoro extra moenia (art. 21) unito al framework temporale della durata di 3 anni (2018-2021), da cui “Programma 2121”. Il programma prende le mosse nel 2018 dall’intenzione di valorizzare la presenza del Carcere di Bollate nelle immediate vicinanze del sito MIND Milano Innovation District, il progetto di riqualificazione dell’area che nel 2015 ha ospitato l’Expo universale e gestito dalla società Arexpo.

All’interno del masterplan del sito MIND, a sua volta oggetto di un’iniziativa pubblico-privata del valore complessivo di circa 4 miliardi di euro con lo scopo di realizzare un nuovo distretto scientifico e tecnologico sulle scienze della vita, il consorzio guidato da Lendlease ha scelto di promuovere un progetto ad impatto sociale in seguito evoluto in Programma 2121.

Così facendo il programma ha di fatto trasformato quello che normalmente sarebbe considerato un punto di debolezza del mercato real estate – la prossimità di un carcere – in un punto di forza caratterizzante. La duplice motivazione di contribuire da una parte al miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti e delle loro famiglie, e dall’altra di formare competenze tecniche per risorse umane nel settore delle costruzioni ha rappresentato il punto di partenza del progetto.

Programma 2121 si è qualificato sin dall’inizio come tentativo di sperimentare l’inserimento lavorativo nel settore delle costruzioni (settore privato) che offre molte opportunità di impiego ai carcerati – tanto in termini di numeri quanto per le caratteristiche delle mansioni richieste – con un nuovo modello di partnership che coinvolgesse un’ampia platea di attori pubblici ed aziende.

I fattori principali di successo di Programma 2121, individuati dal policy paper di Giordano, sono rappresentati dalla partnership collaborativa multi-attore innanzi tutto per la presenza di Lendlease, realtà multinazionale globale in grado di portare il raccordo con il mondo del lavoro esterno che rappresenta un fattore fondamentale per le esperienze di reintegro lavorativo. Programma 2121 si distingue quindi per unire realtà tra loro istituzionalmente e strutturalmente differenti – dalle istituzioni e società pubbliche, Ministero di Giustizia, DAP, PRAP, ANPA, Regione Lombardia, Arexpo, Città Metropolitana di Milano, ai privati Lendlease, PlusValue Advisory Ltd, Milano Santa Giulia SpA, Fondazione Fits! e Fondazione Triulza – nel perseguimento di un obiettivo comune per il bene della società, e per il suo approccio, basato sul tirocinio di reinserimento finalizzato all’inclusione sociale, in grado di unire formazione ed esperienza lavorativa in vista di un effettivo e sostenibile reinserimento nel mondo del lavoro.

Il Programma 2121 si propone anche di creare un meccanismo di leva di risparmio governativo generato dall’applicazione del progetto stesso, che riconosca l’iniziativa privata a beneficio del pubblico. Ciò contribuisce a garantire la sostenibilità economico-finanziaria del progetto, la quale rappresenta uno dei tre elementi in grado di garantire la sostenibilità di un programma trattamentale, assieme alla gestione del partenariato e alla corretta progettazione dell’intervento”.

Andrea Ruckstuhl, head of Italy and Continental Europe di Lendlease spiega che «siamo è un gruppo globale fortemente impegnato nel raggiungere gli obiettivi dell’agenda globale per il 2030 e ha già portato avanti a livello internazionale iniziative simili di inclusione sociale con successo. Programma 2121 nasce come progetto pilota con l’obiettivo di creare una progettualità condivisa per lo sviluppo di MIND Milano Innovation District che coinvolgesse anche il carcere di Bollate. Da questo presupposto abbiamo iniziato a lavorare ad un modello che potesse essere scalabile sul mercato, e abbiamo voluto inserire una clausola di inclusione sociale nei contratti con la filiera degli appalti. Il modello di Programma 2121 si inserisce nella strategia globale di Lendlease di creare 250 milioni di valore sociale entro il 2025». Secondo il manager «i risultati estremamente positivi di Programma 2121 potrebbero essere garantiti su una scala più ampia consentendo ai sistemi carcerari di diventare veicoli più efficaci per la prevenzione della criminalità dando a queste iniziative maggiore priorità e più ampia diffusione, con un incremento nell’ investimento di tempo e di risorse a esse dedicate in una pianificazione di medio termine. Va ricordato che la società nel suo complesso, beneficia del lavoro penitenziario grazie agli effetti dei programmi lavorativi sul reinserimento dei detenuti e sulla diminuzione del tasso di recidiva».

L’ ideale riabilitativo è affermato dalla nostra stessa Costituzione, all’art. 27: “[…] Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Le Nazioni Unite, tra le Regole Mandela, ovvero i criteri minimi per il trattamento dei detenuti, affermano che gli obiettivi della reclusione o di altre misure che privano la persona della propria libertà sono principalmente la protezione della società dalla criminalità e la riduzione della recidiva. E ciò può essere raggiunto solo se il periodo di reclusione è utilizzato per assicurare la reintegrazione degli ex detenuti in società successivamente al rilascio, in modo tale che possano condurre una vita autosufficiente e nel rispetto della legge (UNODC, 2018).

Molteplici ricerche evidenziano, infatti, che il tradizionale modello di carcerazione, caratterizzato da supervisione e sanzioni, comporta modeste riduzioni della recidiva e, in alcuni casi, ha l’effetto contrario, laddove invece gli effetti medi sui tassi di recidiva riportati negli studi che valutano le attività trattamentali sono positivi e relativamente ampi.

Non c’è dubbio che per l’ordinamento italiano e per le principali Istituzioni internazionali (UE e ONU) la riabilitazione dei detenuti e il loro eventuale reinserimento nella società debbano costituire un fondamentale obiettivo dei sistemi penali.

Tuttavia, l’orientamento principale della criminologia si è per lungo tempo rivolto verso la pena detentiva, e nella maggior parte dei Paesi il numero di reclusi è aumentato negli ultimi 20 anni, imponendo un enorme onere finanziario ai governi e un grande costo per la coesione sociale.

Per quanto riguarda l’Italia, secondo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) il numero dei detenuti nelle carceri italiane è in continua crescita: al 31 dicembre 2019 nei penitenziari di tutto il paese risultano 60.769 detenuti, mentre al 31 dicembre del 2018 erano 59.655.

Solo negli Stati Uniti, ad esempio, ci sono ad oggi 2,2 milioni di persone detenute, con un aumento del 500% negli ultimi 40 anni, spiegato per la maggior parte da cambiamenti nelle leggi e nelle politiche, non nei tassi di criminalità.

Ciò ha portato a un sovraffollamento delle carceri e a un aumento degli oneri fiscali per gli stati, nonostante crescenti evidenze che l'incarcerazione su larga scala non sia un mezzo efficace per raggiungere la sicurezza pubblica.

La molteplicità di studi condotti documentano che questa “corsa all’incarcerazione”, mentre ha incrementato considerevolmente il costo sostenuto dalle amministrazioni penitenziarie per ciascun detenuto, non abbia prodotto effetti significativi sulla riduzione o contenimento del crimine e della recidiva.

Il Consiglio d’Europa ha inserito riferimenti a questo nuovo modo di pensare il carcere già nelle European Prison Rules del 2006, affermando l’importanza di una concezione del carcere fondata sull’engagement dei detenuti, da declinarsi attraverso alcuni filoni: quello del trattamento, attraverso attività di vario genere la cui adesione da parte dei detenuti è sempre volontaria, e quello della partecipazione dei reclusi alla vita dell’istituto.

Le persone che entrano in contatto con il sistema di giustizia penale provengono infatti, spesso, da contesti poveri ed

emarginati, e lo stigma sociale della criminalizzazione crea spesso un ciclo intergenerazionale di privazione da cui le persone non riescono a uscire. La possibilità di apprendere ed esercitare una professione, offerta ai detenuti da progetti come il Programma 2121, permette potenzialmente di rompere questa catena di povertà e marginalizzazione, contribuendo all’Obiettivo di povertà zero espresso dagli SDGs.

La mancanza di opportunità di istruzione e formazione, che causa disoccupazione e povertà, costituisce spesso un fattore di reato. Lo sviluppo dell'autostima e la possibilità di guadagnarsi da vivere dopo il rilascio sono requisiti essenziali per una riabilitazione di successo. L'accesso all'istruzione, al lavoro e alla formazione mentre si è in carcere – o mentre si scontano sanzioni non detentive – contribuisce non solo all' Obiettivo 1 (Povertà Zero) ma anche all’Obiettivo 4 degli SDGs, ovvero fornire istruzione di qualità e opportunità di apprendimento per tutti, e all’Obiettivo 8, ossia la promozione di una crescita economica inclusiva caratterizzata da piena e produttiva occupazione e da un lavoro dignitoso per tutti.

Fornire opportunità di lavoro e formazione ai detenuti è infatti importante per combattere, attraverso attività significative, l’ozio forzato e il senso di apatia e noia tipicamente indotti dalla condizione detentiva, e migliorare al contempo le loro prospettive di lavoro post rilascio, spesso purtroppo scarse.

Tuttavia, nonostante il lavoro penitenziario sia riconosciuto quale leva strategica per l’inclusione sociale, al 31 dicembre 2019 su un totale di 60.769 detenuti presenti nelle carceri italiane soltanto il 30% circa era impiegato in attività lavorative, e di questi solo il 13%, 2381 detenuti, per datori terzi rispetto all’amministrazione penitenziaria (Fonte: Ministero della Giustizia).

L'obiettivo di riabilitazione è estremamente complesso, a causa di molteplici fattori (di contesto, legati alla persona, relativi all’esperienza detentiva).

In primis, la riabilitazione dei detenuti e il reinserimento coinvolgono diverse aree di intervento: devono infatti essere affrontate problematiche di diverso genere, di carattere educativo, psicologico e sanitario. Il reinserimento, d’altro canto, richiede la rimozione di ostacoli di carattere sociale ed economico, spesso legati al contesto familiare delle persone detenute, ma anche al contesto sociale in cui avviene il reinserimento e queste problematiche vanno affrontate in una prospettiva di lungo periodo. I comportamenti recidivanti, infatti, si manifestano maggiormente nel lungo periodo, e non nei primi mesi successivi al rilascio.

Nella configurazione di un programma di reinserimento, è necessario tenere in considerazione almeno tre elementi, che contribuiscono alla complessità nel progettare interventi in grado di dare una risposta efficace al tema della rieducazione e del reinserimento: la molteplicità di problematiche da affrontare, che richiedono un impegno a 360 gradi sulle necessità post rilascio delle persone detenute; l’esigenza di una progettazione non solo ex ante, ma anche in itinere, in grado di portare a un reinserimento stabile di lungo periodo e di adattarsi alle mutate condizioni ed esigenze del panorama detentivo; la complessità della gestione dei partenariati, che necessita di un presidio costante perché la collaborazione possa portare al massimo livello di sinergie e creazione di valore.

I soggetti firmatari del protocollo di intesa che ha dato origine a Programma 2121, testimoniano il grande interesse manifestato dalle istituzioni pubbliche verso un’iniziativa fortemente supportata dal settore privato, con l’obiettivo di raggiungere una scala di impatto superiore in termini sia di numeri di beneficiari coinvolti, sia di settori industriali interessati, sia di valore generato.

La forte partecipazione pubblica testimonia la determinazione delle istituzioni di allargare il modello dal carcere di Bollate, dove è stato concepito, a tutto il sistema carcerario lombardo, in vista di un’ulteriore estensione all’intero sistema carcerario nazionale sotto il coordinamento del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria anche grazie alla creazione di un nuovo ufficio dedicato all’inserimento lavorativo.


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