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Economia & Impresa sociale 

Nell’intervento di Profumo (Acri) le priorità per l’Italia

Dedicata a "Risparmio: futuro presente" la 96esima edizione si è celebrata in streaming. Il presidente dell'associazione delle Fondazioni di origine bancaria e delle Casse di Risparmio Spa, ha parlato di giovani, innovazione sostenibile e lotta alle disuguaglianze «il Paese che vogliamo consegnare ai nostri figli lo iniziamo a costruire oggi, tutti insieme»

di Redazione

È stata celebrata per la prima volta in video collegamento la 96ª edizione della Giornata Mondiale del Risparmio. La celebrazione – istituita nell’ottobre del 1924 in occasione del 1° Congresso Internazionale del Risparmio, e da allora organizzata annualmente da Acri, l’associazione delle Fondazioni di origine bancaria e delle Casse di Risparmio Spa – si è svolta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Tema della Giornata di quest’anno “Risparmio: Futuro Presente”. A intervenire in collegamento video, con il presidente di Acri, Francesco Profumo il ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri, il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, il presidente dell’Abi Antonio Patuelli. Il pubblico ha seguito l’evento in streaming.

Nel suo intervento il presidente di Acri, Francesco Profumo, ha sottolineato: «Risparmio: futuro presente è il tema che all’inizio dell’anno abbiamo scelto per questa Giornata, ben prima che la pandemia sconvolgesse le vite di tutti noi. Sono passati otto mesi, il mondo è completamente cambiato, ma questo tema oggi mi sembra ancora attualissimo.

Al principio può sembrare difficile ragionare sul futuro in una fase come quella che stiamo vivendo, caratterizzata da grande incertezza sul domani. Ma è proprio per via di questa incertezza che dobbiamo guardare più avanti, progettare il mondo che verrà, non domani, ma tra trent’anni. Dobbiamo decidere quali sono gli obiettivi condivisi dalla nostra comunità nazionale. Dove vogliamo andare tutti insieme? Quali sono i valori a cui vogliamo ispirarci per costruire l’Italia del 2050? Solo in base a questo sforzo collettivo sapremo quale strada intraprendere».

Ha proseguito: «Perché è l’idea di futuro che abbiamo che dà forma al nostro presente. Non si tratta di una responsabilità che possiamo delegare esclusivamente alla Politica o al Governo. È un onere a cui siamo chiamati tutti in prima persona: le imprese, le università, le organizzazioni della società civile, i singoli cittadini. Non ci sono più alibi: il Paese che vogliamo consegnare ai nostri figli lo iniziamo a costruire oggi, tutti insieme.
Disegnare il futuro presuppone, però, anche risorse adeguate. Queste risorse provengono da diverse fonti. Prima tra tutti il risparmio privato, che ha supportato molti italiani nel corso di questi mesi di pandemia, e che, se ben indirizzato può ancora rappresentare un potente volano per la ripresa. […]

«Dall’annuncio delle misure straordinarie messe in campo dall’Unione Europea con il Next Generation Eu, si sono moltiplicati gli interventi di esperti di ogni settore per stilare priorità e indicare progettualità verso cui indirizzare queste risorse. Non mi aggiungerò a questa nutrita schiera di opinionisti. Quello su cui vorrei soffermarmi è sul perché utilizzare questi fondi straordinari. Dovremmo discutere maggiormente su quale idea di Italia e di Europa vogliamo realizzare. Perché Next Generation Eu è un programma che ci investe di una grande responsabilità. Da un lato, perché si tratta, in parte, di un debito che stiamo contraendo come Paese e che ricadrà sulle future generazioni. Dall’altro, perché sono convinto che daremo un futuro all’Europa solo riempiendola di visione. Il vento del populismo anti-europeista si sgonfia se l’Europa torna a essere il sogno di una generazione. E di questo dobbiamo sentirci tutti responsabili. […]
La visione dell’Italia del 2050 delle Fondazioni di origine bancaria e delle Casse di Risparmio Spa riunite in Acri da trent’anni dà forma al nostro lavoro quotidiano sui territori. Vogliamo un Paese che metta i giovani al centro, che punti sull’innovazione sostenibile, che favorisca la coesione sociale, contrastando le disuguaglianze, e che abbia l’Europa come prospettiva.

Tutto questo non è una mera rivendicazione o un elenco di richieste per chi selezionerà i progetti per il Recovery Plan. Questa è la nostra esperienza, il nostro contributo alla fattibilità del piano. Le Fondazioni di origine bancaria, infatti, sono ormai un attore riconosciuto dello sviluppo sostenibile sui territori. Da trent’anni sperimentano progettualità che possono essere replicate altrove, promuovono il welfare comunitario, sostengono l’innovazione, alimentano il pluralismo e l’autorganizzazione della società civile. E lo fanno tessendo alleanze con tutti i soggetti del Paese impegnati su questi fronti: dal pubblico al privato, dalla scuola all’università, dalla ricerca al mondo delle imprese. […]

La raccomandazione della Banca Centrale Europea agli istituti di credito e assicurativi del continente di non distribuire dividendi per tutto il 2020, alla quale le banche italiane si sono prontamente adeguate, rischia di mettere seriamente in difficoltà molte Fondazioni nel portare avanti la loro attività erogativa e nel programmare la loro attività pluriennale. Proprio in una fase in cui ci sarebbe ancora più bisogno di loro.

Prudenzialmente, per prevenire l’erraticità dei mercati, le Fondazioni hanno già da tempo costituito degli appositi fondi di stabilizzazione, che attualmente ammontano in media al doppio delle erogazioni annuali. Il prevedibile peggioramento complessivo dei mercati finanziari, però, non aiuterà a migliorare la dotazione destinata alle erogazioni.

Quindi, l’obiettivo della raccomandazione della Bce è comprensibile perché intende “preservare la capacità delle banche di assorbire le perdite e sostenere l’economia in questo contesto di eccezionale incertezza”, ma potrebbe danneggiare ulteriormente le comunità a causa della probabile contrazione dei flussi erogativi che ne conseguirà.
Sarebbe, dunque, auspicabile un ripensamento della Banca Centrale Europa, che contemplasse una maggiore proporzionalità. Ovvero prevedere alcuni parametri per fare in modo che questa misura diventi maggiormente selettiva, in funzione dei diversi livelli di capitalizzazione degli istituti di credito del continente. […]

Da tempo abbiamo avviato con il Governo un’interlocuzione per provare a rivedere complessivamente la tassazione a cui sono sottoposte le Fondazioni di origine bancaria. L’imposizione fiscale a cui sono soggette è quintuplicata negli ultimi dieci anni, arrivando alla cifra record di 510 milioni di euro nel 2019. Tanto che si potrebbe configurare come il “primo settore” di intervento delle Fondazioni, ben più di quanto esse destinano al Welfare (335 milioni) o ad Arte e cultura (240 milioni).

Le risorse che le Fondazioni versano al fisco sono sottratte alle loro erogazioni, ovvero alle organizzazioni di volontariato, alle cooperative sociali, alle associazioni culturali, ai giovani ricercatori, a tutti quei soggetti che contribuiscono a fare dell’Italia un Paese più inclusivo e vivibile per tutti.

Anche su questo fronte, per progettare il futuro, si può far ricorso a una ricetta antica. Un approccio innovativo, ma sedimentato nei secoli. Un modo di operare riconosciuto anche nella nostra Costituzione. Si chiama sussidiarietà. Prevede un’ottica per cui lo Stato riconosce il concorso di altri soggetti privati nella cura del bene comune. Soggetti delle libertà sociali che partecipano alla promozione del benessere pubblico. Credo che sia arrivato il momento che questo approccio sussidiario, che le Fondazioni stanno sperimentando sui territori da quasi un trentennio, venga esteso anche alla materia fiscale. Ridurre la tassazione alle Fondazioni di origine bancaria non vuol dire sottrarre risorse alla collettività, anzi, significa aumentare il potenziale che esse possono dispiegare per il bene di tutti.

Nel loro operare, le Fondazioni già realizzano il principio di sussidiarietà con la loro attività erogativa, attivando partenariati e forme di co-progettazione con diversi attori, pubblici, privati e organizzazioni del Terzo settore. È giunto il tempo in cui questo principio venga riconosciuto anche “a monte”, ovvero a livello della fiscalità. Con le loro erogazioni, infatti, le Fondazioni innescano una leva moltiplicativa in grado di triplicare l’impatto delle risorse erogate. La “sussidiarietà fiscale” potrebbe attivare un circuito positivo in grado di portare ancora maggiori benefici sui territori, dove c’è più bisogno, grazie alla prossimità delle Fondazioni alle comunità di riferimento, alla loro efficienza, efficacia e tempestività d’intervento. […]
Nello scenario di grande incertezza che stiamo vivendo, con la prospettiva di costi sociali altissimi provocati dalla pandemia, con l’aumentare di precarietà e povertà, con il crescere di risentimento e rabbia, ci sono seri rischi per la tenuta della coesione sociale del nostro Paese. E, se salta la coesione sociale, è a rischio la tenuta della democrazia. Lo dico con molta chiarezza, senza allarmismo, ma con lucidità. Dobbiamo avere cura di quello che è il bene più prezioso della nostra società: i corpi intermedi e il loro ruolo insostituibile di coesione sui territori, che devono essere adeguatamente tutelati e promossi. Dobbiamo sostenere chi si attiva per il bene comune e si organizza con altri cittadini per aiutare chi rischia di restare indietro, come è stato dimostrato anche durante questa crisi sanitaria. Dobbiamo avere a cuore valori come inclusione e solidarietà: sono questi che ci aiuteranno nei mesi e negli anni a venire. Solo così restituiremo alle nostre comunità la speranza per immaginare il futuro e la voglia di costruirlo insieme. Ne abbiamo davvero bisogno».

Il discorso integrale si può scaricare al link dedicato su acri.it


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