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Abruzzo-Campania, spazi di socialità per uscire dalla povertà educativa

Panthaku in città Campania e Pane Radio e Fantasia a L’Aquila stanno lavorando su quell’assenza di relazione che genera sfiducia nel futuro. Anche nella pandemia si stanno battendo strade inedite, realizzando ad esempio momenti formativi per studenti di pari livello ma di scuole diverse o momenti intergenerazionali che coinvolgono studenti e la loro comunità. L’impegno di AiBi

di Marzia Masiello e Antonella Spadafora

Due territori, diversi all’apparenza. Quello campano, secondo in Italia per numero di ragazzi che hanno lasciato precocemente la scuola (18,1% contro il tasso nazionale del 13,8%) e con il 27,5% di minori in povertà relativa (contro il 22,3% della media nazionale) e quello abruzzese, segnato in profondità dal terremoto del 2009 . Due territori importanti dell’antico regno delle due Sicilie con esigenze, risorse e potenzialità diverse ma accomunati da un antico senso di comunità: la porta del vicino di casa sempre aperta, lo zucchero e l’olio che si prestano tra comari, il parentado allargato di cugini di secondo, terzo grado o chissà…

Comunità educante ora si chiama, quella degli anziani che vigilano sulle strade e se ti incontrano ti chiedono “di chi sei figlio?” – e comunque lo sanno – quella della scuola, quella della parrocchia, del circolo, dell’associazione di quartiere. Presidii, sentinelle che assicuravano se non una vita facile una possibilità di relazione, di incontro ma anche scontro generazionale di crescita, di vicinato e prossimità. Quando è arrivata l’industrializzazione molti paesini pieni sono diventati vuoti, o comunque luoghi-dormitori, silenziosi. In Campania c’è il mare, in Abruzzo il Gran Sasso. Eppure le due aree sono connesse. Le pecore e la transumanza sono un tratto distintivo storico che unisce le due regioni: il tratturo regio andava da L’Aquila a Foggia e a Foggia si pagava la dogana che arricchiva il re di Napoli. Accompagnava i viaggi dei pastori i balli, tarantella, salterello e lo strumento del piffero o zampogna.

Due progetti importanti, “Panthaku – Educare Dappertutto”, selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile e realizzato in tre città campane (Salerno, Caserta e Napoli) e “La scuola di e per la comunità – Pane Radio e Fantasia 2.0” realizzato a L’Aquila in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione hanno saputo coniugare progettualità apparentemente distinte per rispondere a uno stesso bisogno: la povertà educativa che dà luogo a isolamento, marginalità, assenza di relazione e sfiducia nel futuro.

Con l’emergenza sanitaria nasce la necessità di una maggiore co-progettazione dal basso. Urge ridisegnare lo spazio e il tempo, creare nuovi paradigmi e codici di relazione. Lo spazio diventa digitale. Alla distanza fisica si contrappone la vicinanza digitale. Non uno spazio virtuale dove “sembrare” senza “essere” ma uno spazio di socializzazione con ricadute fisiche, psicologiche, di comportamento. E così anche i luoghi dormitori tornano ad essere animati e in campagna trovi non più solo gli agricoltori sopravvissuti ma famiglie che fanno il falò domenicale. Nella tragedia si scopre che per progettare il futuro si può partire dai territori, dalle identità e dalle tradizioni e utilizzare tutte le potenzialità del digitale per sviluppare un’educazione permanente, reciproca e una città smart capace di interagire e di rendere tutti i servizi accessibili ovunque e a ogni età.

In Italia sappiamo di essere in spaventoso ritardo su tanti fronti, primo fra tutti il digitale; con molte disuguaglianze tra il Nord e il Sud, tra le città e le aree interne. La pandemia ha implicato una “positiva” accelerazione, finanche una alfabetizzazione nell’utilizzo di alcuni strumenti digitali, con la consapevolezza di dover apprendere nuovi approcci cognitivi. Il mondo della scuola, come tanti altri, è stato una grande frontiera: si è parlato molto della DAD con i suoi vantaggi e svantaggi, ma con la chiusura della scuola i ragazzi più fragili si sono persi. Alcuni professori testimoniano che, con questo strumento, solo i bravi trovano la motivazione per seguire e fare nuovi straordinari progressi e che il digital divide aumenta.

Se la DAD non offre le stesse opportunità ai bambini, alle bambine agli adolescenti alle adolescenti e ai giovani, non significa necessariamente che essa sia uno strumento fallimentare, ma che bisogna rivedere e migliorare l’uso che se ne fa. Un approccio “onlife” potrebbe consentire alla scuola di evolvere le metodologie e le didattiche sin qui utilizzate, prendendo da ognuna di esse qualcosa di buono, generando qualcosa di nuovo, integrando presenza a scuola, homeschooling e DAD. Tale approccio consentirebbe anche l’apprendimento in e con la famiglia. Attraverso la Dad potrebbero essere veicolati momenti formativi dedicati a studenti di pari livello, ma di scuole e comunità diverse, ad esempio. O momenti intergenerazionali rivolti a studenti e alla loro comunità educante di riferimento. È un ottimo strumento per l’educazione informale complementare alla didattica formale. Essa consentirebbe di raggiungere anche gli adulti, di fortificare quel patto di corresponsabilità in cui anche gli studenti potrebbero diventare protagonisti attivi non solo nel ricevere e fare formazione, ma nei processi di progettazione e programmazione.

In tale ripensamento va messo in gioco il movimento del corpo e tutti i suoi sensi – coinvolgendo anche gli spazi cittadini, municipali, dei borghi, capaci di offrire possibilità di apprendimento permanente durante tutto l’arco della vita.

Si tratterebbe di rivedere anche le politiche del lavoro in questa ottica di urgente riconnessione tra le generazioni, considerando in modo nuovo il tempo di cura e di vita nella famiglia. Certamente si tratterebbe di affrontare con coraggio e fiducia reciproca una gestione del tempo e degli spazi dove ognuno può contribuire alla crescita altrui.

Una DAD così concepita, all’interno di un cambiamento sistemico complessivo, in cui tutti sono chiamati non solo ad apprendere ma a praticare l’educazione civica – ora reintrodotta nelle scuole per legge – potrebbe essere di grande aiuto, come strumento multiforme che può facilmente adattarsi a diversi contesti ed esigenze. I professori potrebbero così contare sui genitori, i nonni e sulla comunità allargata, come grandi alleati. Potrà esserci il professore che invita l’esperto dall’altra parte del mondo a beneficio di gruppi di studenti o di famiglie; ci potrebbero essere studenti di Nairobi che condividono esperienze con studenti di L’Aquila… e tutto sarebbe un fatto normale, in una nuova quotidianità.

Certo le complessità sono molte e una visione di prospettiva è utopistica. Ma il ruolo dell’associazionismo ora più che mai deve esercitare la sua funzione profetica, per riportare al centro non tanto del dibattito del fare e dell’essere, il cambiamento epocale cui tutti siamo chiamati a contribuire. Concretamente, in maniera etica e senza indugio.

*Marzia Masiello e Antonella Spadafora, coordinatrici dei due progetti


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