Viviamo un mondo rovesciato, che schiaccia il presente sui fardelli del passato, negandosi una qualsiasi apertura di senso verso un futuro possibile. Come quello di questo strano secondo lockdown, che a tutti ha concesso aperture e flessibilità, tranne a loro: ai nostri bambini e adolescenti, di cui celebriamo ipocritamente le “Giornate” e i “diritti”, clamorosamente negati. E se ripartissimo dal "diritto alla filosofia"?
Se provassimo infatti a rileggere e interpretare in un’unica chiave i Diritti proclamati nella carta dell’ONU per l’Infanzia e l’Adolescenza, sarebbe facile trovare questa chiave in una sola parola, non detta, ma da noi osata: il “Diritto alla Filosofia”.
Oggetto di uno straordinario convegno internazionale tenutosi anni fa a Venezia e di un altrettanto straordinario forum seguito per noi e per il Sole 24 Ore da Dorella Cianci, in cui ebbero ad esprimersi tra gli altri Remo Bodei e Umberto Eco, diritto alla filosofia è una felice provocazione lanciata dal nostro fondatore Livio Rossetti. Significa diritto al pensiero libero, non al pensiero “critico” di cui si discute nel mondo degli adulti. No, la filosofia dei bambini, quella alla quale i bambini e i ragazzi hanno diritto, è fatta piuttosto della materia soffice e colorata dell’immaginazione. È pensiero “visuale”, divergente: pensiero che apre mondi possibili, infiniti, per noi troppo distanti e inimmaginabili, forse perduti. Eppure, i bambini, i ragazzi, avrebbero diritto a questa “filosofia” precisamente per questo motivo: perché il mondo che verrà non è e non può essere più il nostro, ed è loro diritto immaginarlo, pensarlo e costruirlo, al di là dei confini consunti e stanchi delle nostre paure e delle nostre “criticità”. Ripensando in maniera libera e incondizionata il loro stesso modo di stare al mondo, provando magari ad immaginare insieme a noi una società più degna di essere definita “civile”: dove nelle emergenze si mettano in primo piano i loro diritti, a partire dalla scuola, prima di affannarsi a “ristorare” le imprese e i commerci.
L’altra sera, in TV, il direttore De Bortoli, con la sua consueta e ammirevole pacatezza e precisione, faceva notare una cosa molto semplice: ci siamo accorti che in Italia si parla di “Recovery Fund” senza mai chiamare questo programma di rilancio economico dell’Europa con il suo vero nome? E sì, perché il suo nome è questo: “Next Generation EU”. E anche qui, siamo ancora noi adulti a programmare quello che dovrebbe essere il loro futuro. E come? Accumulando alle loro spalle debiti e crisi, delle quali siamo incapaci assumerci il peso. Si parla di Recovery Fund, e intanto pensiamo ad allargare quel debito che non saremo certo noi a pagare. Un mondo rovesciato, che schiaccia il presente sui fardelli del passato, negandosi una qualsiasi apertura di senso verso un futuro possibile. Come quello di questo strano secondo lockdown, che a tutti ha concesso aperture e flessibilità, tranne a loro: ai nostri bambini e adolescenti, di cui celebriamo ipocritamente le “Giornate” e i “diritti”, clamorosamente negati.