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Paul Celan e la prof di francese

Nel 1964 Paul Celan, di cui oggi ricorre il centenario della nascita, dopo molte insistenze di Vittorio Sereni, allora direttore editoriale della Mondadori, stilò un elenco di sue poesie in vista di un’antologia italiana. Una vicenda ricostruita nel libro di Dario Borso "Celan in Italia", edito da Prospero editore: un'inchiesta letteraria di cui anticipiamo un pezzo

di Dario Borso

Il 31 marzo 1962 Paul Celan scrive a Roman Vlad (1919-2003), compositore e musicologo emigrato da Czernovitz a Roma appena prima dell’occupazione sovietica di fine giugno 1940. Dice di averlo sentito suonare il piano più di una volta da amici comuni e di aver trovato l’indirizzo sull’elenco telefonico:

«Lei sa che popolo siamo noi della Bucovina – disperso sopra questa terra così rotonda, a ciascuno di noi a suo modo rimane questa – non sempre attribuitaci come merito – affinità. Lei è via già da molto, ma penso che i sentimenti da cui nasce una lettera come questa Le siano familiari a Lei come a me.

E ora una piccola richiesta. Cerco, ricerco da anni la mia professoressa di francese di Czernowitz (alla quale devo molto, davvero molto quanto a dimistichezza con le poesie). È la figlia di un medico di Czernovitz, il Dott. Solomonowicz, di nome fa Stephanie e all’inizio degli anni trenta ha sposato uno slavista italiano, il professor Gasparini, col quale andò allora a Vicenza. – La conosce?».

Stephanie Solomonowicz (1907-1986), figlia di Julian, primario dell’ospedale psichiatrico di Czernovitz, aveva studiato romanistica all’Università di Varsavia, dove Evel Gasparini (1900-1982) era dal 1926 lettore d’italiano. Laureatasi con una tesi su Stendhal, si fidanzarono, ma nella primavera del 1933 Gasparini fu richiamato in patria per motivi politici, sicché, dopo una sosta nella natia Altivole (TV), si rassegnò a insegnare all’istituto magistrale di Vicenza. Qui lo raggiunse Stephanie nell’estate del 1935; sposatisi, nel 1937 traslocarono a Venezia, dove lui aveva ottenuto l’incarico di letteratura russa presso l’Istituto Superiore di Economia e Commercio. Partigiano nel Partito d’Azione, dopo la guerra diventò ordinario di letteratura russa a Ca’ Foscari, e lì stava nel 1962, con moglie e tre figli.

La lettera rimane senza risposta da parte di Vlad, sicché due mesi dopo Celan consiglia Gerda Niedieck, redattrice della casa editrice Fischer Niedeck che sa in partenza per Milano, di spronare il direttore letteraio della Mondadori Vittorio Sereni a mettersi in contatto con lo slavista.

Appena tornata, il 13 giugno Niedieck gli comunica:

«Il Dr. Sereni ed io ci siamo detti se non sarebbe giusto che Lei stesso, caro Celan, scegliesse le poesie che desidererebbe veder tradotte in italiano. Per quanto riguarda l’esattezza puramente lessicale, Zanzotto non conosce il tedesco corrente. Ho rafforzato ancora una volta Sereni nella sua intenzione di coinvolgere qualcun altro, e l’ho pregato di sottoporre in ogni caso prima a Lei le traduzioni e di mandare un esemplare a me, e gli ho accennato che Lei è amico del professor Gasparini, il quale è certamente disposto a dare il suo giudizio sulla traduzione. Sereni mi ha aiutato anche a recuperare l’indirizzo del professor Gasparini. Attualmente ha una cattedra all’Università veneziana di Ca’ Foscar»i.

Il 16 giugno, per parte sua Sereni scrive allo slavista una lunga lettera, da cui traspare quanto gli stesse a cuore la questione: Celan “avrebbe voluto essere sicuro che il traduttore fosse una persona realmente interessata a tradurre le sue poesie”, perciò

«Mi ero rivolto ad Andrea Zanzotto, che probabilmente Lei conosce e che un po’ legge il tedesco, ma non si è sentito di accingersi a questo lavoro. Mi ha fatto il nome del prof. Bevilacqua, lettore all’Università di Tübingen. Mi ha fatto avere qualche prova di traduzione dello stesso Bevilacqua, riservandosi di rivedere egli stesso il testo sotto l’aspetto strettamente poetico. Ero arrivato a questo punto quando ho saputo di una certa insoddisfazione di Celan nei miei confronti: pare cioè che la lettera che gli scrissi a suo tempo gli sia parsa non sufficientemente calorosa. Forse bisognerebbe spiegare a Celan che l’interesse per la sua opera è davvero disinteressato»..

E solo alla fine arriva al dunque: “mi permetto di chiedere a lei un appoggio, sia per quanto riguarda la rimozione di eventuali difficoltà e sospetti da parte di Celan, sia per quanto infine riguarda la scelta e il lavoro di traduzione. Chiedo troppo?”.

Gasparini, come spiega il 27 giugno, non c’entra nulla: “la lettera acclusa deve essermi stata indirizzata per un equivoco o un disguido postale. Sebbene conosca il tedesco, io sono professore di letteratura russa e non conosco il Celan, né mi sono mai occupato di poesia tedesca contemporanea”.

Sereni il 3 luglio comunica lo sconcerto a Niedeck, la quale il 17 gli risponde che Celan

«aveva pregato di cercare il Professor Evel Gasparini, senza spiegarci esattamente il perché. Adesso ci informa che è la moglie del professore, la quale non ha visto per venti anni [leggi 30], che lui veramente cercava. Essa è stata la sua professoressa di francese, e evidentemente non sa che Paul Celan è uno pseudonimo – il vero nome è Paul Antschel».

Si scusa perciò anche a nome di Celan e conclude che con lui “ci vogliono premure ed anche precauzioni. Direi di far approvare tutte le traduzioni prima di stampare dal Sig. Celan, che ha studiato filologia italiana e francese, come d’altronde egli chiede che le traduzioni di Zanzotto vengano inviate anche a me”.

Lo slavista Gasparini, dopo la laurea aveva vissuto un paio d’anni a Vienna e la moglie, di madrelingua tedesca, dopo decenni di permanenza in Italia sapeva benissimo l’italiano, oltreché il francese: se l’intenzione era di ricorrere alla coppia per risolvere il problema del traduttore, Celan avrebbe vinto un terno al lotto – ma la storia non si fa con i se, né con il lotto.

* Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo qui una sintesi del cap. X di Dario Borso, Celan in Italia, Prospero Editore, Milano 2020, in occasione del centenario della nascita del poeta.


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