Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Welfare & Lavoro

Contagi in aumento, Caritas Ambrosiana porta fuori 30 detenuti

Le persone sono state ospitate in strutture della diocesi di Milano. Si tratta di reclusi che possono scontare gli ultimi 24 mesi all’esterno ma non hanno un domicilio. Così si riduce il sovraffollamento e si rende rieducativa la pena, anche e soprattutto al tempo del Covid-19

di Luca Cereda

Carceri sovraffollate: un problema storico, in Italia. Un problema che il Coronavirus ha reso ancora più drammatico di quanto non fosse prima di marzo 2020. Un problema che rischia di «diventare una tragedia», come ha denunciato lo stesso papa Francesco, chiedendo alle autorità italiane di «prendere le misure necessarie per evitare tragedie umane e sanitarie». Tragedie umane che continuano ininterrottamente da primavera con i parenti e i volontari lasciati fuori dalle carceri, come ha ribadito più volte a gran voce anche Ornella Favero, guida della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. Nel frattempo, nelle carceri lombarde sono almeno 900 i detenuti positivi al virus, mentre sono più di 1000 i casi tra gli operatori del settore penitenziario.
Eppure una speranza, tangibile, qualcuno in carcere l’ha portata.

Nel mare di isolamento che sono oggi le carceri, una goccia di speranza

In carcere gli spazi sono ridotti non solo dall’annoso problema del sovraffollamento, ma anche dalla necessità di creare zone per la cura dei positivi al virus e per la quarantena di chi presenta sintomi. In questo scenario, far uscire in modo controllato e costruttivo – una possibilità data dalla Legge – i detenuti dalle carceri era fondamentale già da marzo non solo per dare sostanza alla rieducazione della pena, ma anche per alleggerire le carceri sovraffollate e a rischio contagio. In Lombardia il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), il Tribunale di sorveglianza, il mondo del volontariato e la curia stavano studiando con la Regione, ancora a marzo, un piano per accompagnare e facilitare le uscite dei detenuti dalle carceri regionali e l’accompagnamento sul territorio in modo controllato. «Tutto è però saltato perché la Regione ha rifiutato 900 mila euro della Cassa delle ammende che può finanziare programmi di reinserimento per i detenuti», spiega Guido Chiaretti, presidente di Sesta Opera San Fedele. E non è finita qui: a frenare in parte alcune scarcerazioni previste c’è, ancora a distanza di mesi, la carenza di braccialetti elettronici.

In questo scenario trenta reclusi, che possono scontare gli ultimi 24 mesi all’esterno ma non hanno un domicilio, hanno trovato un’occasione per farlo grazie all’iniziativa di Caritas Ambrosiana e della diocesi di Milano.

La speranza e la casa come parte della rieducazione del reo

«La nostra è una risposta certo non risolutiva, ma concreta e, nel contempo, di grande valore simbolico al problema del sovraffollamento in questa stagione di emergenza sanitaria», testimonia il direttore di Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti. È un segno di speranza che qualcosa si può fare.
Ebbene trenta persone recluse in istituti di pena lombardi, milanesi ma anche da Lecco, Varese e Busto Arsizio, da marzo stanno scontato il resto della detenzione in strutture della diocesi sparse in tutta la regione. «I beneficiari, indicati dal magistrato di sorveglianza, stanno scontando il residuo di pena nelle strutture individuate e saranno sottoposti alle misure di tutela previste dall’Uepe [l’Ufficio per l’esecuzione penale esterna]. Insomma, continueranno, dunque, a essere a tutti gli effetti dei detenuti, soggetti a restrizioni della loro libertà personale e ai controlli di polizia. Ma godranno della possibilità rieducativa, parte della stessa pena, di tornare a vivere ed occuparsi di uno spazio, di una casa», spiega Ileana Montagnini, responsabile dell’area carcere di Caritas Ambrosiana.

L’esecuzione esterna della pena, abbassa la recidiva

«L'emergenza Coronavirus sta facendo venire al pettine tanti nodi irrisolti del “sistema-carcere” del Belpaese. Tra questi, quello del sovraffollamento che, a causa della pandemia in corso, potrebbe assumere caratteristiche tragiche», insiste Gualzetti. «Con questa nostra iniziativa – della quale Caritas sostiene i costi mentre la diocesi di Milano mette a disposizione le strutture – vogliamo garantire ai detenuti la possibilità di scontare la pena al di fuori dei penitenziari» investendo sul lato rieducativo e non so quello puntivo. Si tratta di una misura già prevista dal nostro ordinamento: «Tuttavia ancora troppo poco praticata nonostante la sua efficacia sulla riduzione della recidiva – ricorda Montagnini –, vale a dire la probabilità che il detenuto commetta nuovamente il reato».

In carcere al tempo della pandemia: dall’isolamento al contagio che accomuna reclusi e agenti

Quale sia la situazione delle carceri al tempo dell'emergenza coronavirus, quali le sofferenze, quali le cause di preoccupazione, lo abbiamo raccontato negli ultimi mesi con analisi sulle implicazioni umane e sociali della pandemia dentro gli istituti di pena. Il contagio del virus che avanza, spazi ancora più stretti e il deserto umano dovuto all’assenza di contatti con i famigliari, con i volontari. E poi il ricorso ai dispositivi tecnologici per i contatti con l’esterno avvenuto con il contagocce.
«Hanno sospeso i colloqui con i familiari, le attività e la presenza dei volontari, le misure alternative come il lavoro esterno. Questa situazione aumenta il senso di isolamento e di solitudine. È come se il carcere tornasse indietro a quando era il luogo dove punire e isolare. Il cronico sovraffollamento degli istituti, l'emergenza sanitaria e l'isolamento dall'esterno imposto per prevenire i contagi, e lo stop a quasi tutte le attività formative promosse in gran parte dal mondo dell’associazionismo stanno creando grandi difficoltà e sofferenze», testimonia inoltre la responsabile dell’area carcere della Caritas Ambrosiana.

La chance che le istituzioni non garantiscono.

«Sarebbe opportuno che progetti come il nostro, che mirano alla rieducazione del reo, non restassero casi isolati ma fossero sistematici e frutto della collaborazione tra il Terzo settore, il volontariato e le istituzioni. Il nostro progetto non mira solo all’autonomia abitativa dei 30 detenuti di cui ci occupiamo, ma lavoriamo con loro anche per costruire un’educazione digitale, quantomai fondamentale in quest’epoca di pandemia», continua Montagnini. È necessario che le autorità trovino modalità che consentano, anche in questo momento molto difficile a livello sanitario, lo svolgimento della attività di risocializzazione dei detenuti, a cominciare dalla scuola dentro e fuori dal carcere, valutando la possibilità di offrire la didattica a distanza.
«Bisogna puntare ad avere sempre più provvedimenti che accelerino l'accesso alle misure alternative dei detenuti, e anticipino le scarcerazioni quando ve ne sono le condizioni, in modo da limitare anche l'aumento della popolazione carceraria», ha auspicato infine il direttore di Caritas Ambrosiana.
Con la speranza che altre realtà del Terzo settore possano offrire soluzioni simili ad altri reclusi. Il Terzo settore e il mondo del volontariato in carcere, perché questa chance le istituzioni sono lontane dal garantirla.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA