Sanità & Ricerca

Rinunciare al Natale di sempre: facciamolo anche per i guaritori

«Facciamo che il grande regalo che ci facciamo è dimostrare rispetto per chi ci sta offrendo la propria energia vitale alla salvaguardia dell’umanità intera. E usiamo questo Natale di intimità e raccoglimento per riscoprire o scoprire come questa esperienza ci ha cambiati» è l’invito della psicologa e autrice de “Il guaritore infetto. La cura ai tempi del Coronavirus”

di Nadia Muscialini

Le discussioni sul prossimo Natale sono da tempo all’ordine del giorno. Come tutto ciò che ha caratterizzato le discussioni sul Covid, anche queste si polarizzano su estremi opposti. “Chiudiamo tutto”, per evitare che a gennaio vi sia la terza ondata con effetti disastrosi sulla tenuta del Sistema Sanitario. Oppure “liberi tutti”, perché non possiamo togliere a nessuno la possibilità di festeggiare questo Natale come meglio crede, soprattutto dopo tanto tempo di restrizioni.

Spesso l’invito alla cautela e il monito di non buttare al vento il lavoro di contenimento conseguente alle restrizioni imposte arrivano dal personale sanitario. Medici, paramedici, personale ospedaliero, incessantemente, ci ripetono che il Covid non è passato. Ed è un nemico subdolo perché invisibile, che non ci permette di abbassare la guardia, pena una nuova ecatombe e altre migliaia di morti.

Il destino dei sanitari, così come è sempre stato per chi con sguardo profetico annunciava calamità e sventure, si è trasformato nel giro di poco tempo. Da eroi a “menagrami funesti”, portatori di sventure e complotti. In realtà – da quello che vedo come psicologa e lavorando al loro sostegno in corsia – credo siano semplicemente diventati il capro espiatorio della nostre frustrazione e dei nostri timori, perché ci mostrano una realtà scomoda e fastidiosa, quella della fragilità umana e dell’impotenza, poiché nonostante la scienza e la tecnologia non siamo ancora riusciti a sconfiggere, ma nemmeno controllare, questo piccolo virus. Un virus che colpisce tutti, senza distinzioni, e che uccide così tante persone insieme da lasciarci attoniti ogni volta che sentiamo il numero dei decessi giornalieri. 60.000 morti in Italia, oltre 1 milione e mezzo nel mondo, dall’inizio della pandemia.

Abbiamo il dovere di ascoltare i moniti che ci vengono fatti dai sanitari circa la prudenza e l’attenzione da porre in atto per Natale. In fondo ci chiedono semplicemente buon senso e parsimonia per non sperperare ciò che a gran fatica abbiamo stipato nelle nostre scorte: la diminuzione del numero di contagi, di ricoveri e di morti. E non solo perché loro sono in prima linea da sempre, ma soprattutto perché i sanitari sono innanzi tutto delle persone che, a differenza di chi ha dovuto più o meno forzatamente rallentare o fermarsi, hanno continuato incessantemente a lavorare pe poter erogare cure. Anche nei momenti in cui il virus aveva allentato un po' la morsa non hanno potuto fermarsi a riposare, perché dovevano recuperare ciò che il Covid li aveva obbligati a trascurare: gli altri ammalati.

Ma medici, infermieri, operatori socio sanitari, biologi, tecnici di laboratorio e di radiologia e psicologi sono soldati di un esercito sempre più sparuto a causa di morti e ammalati anche nelle loro fila. Sì, perché il Covid ha colpito e sta colpendo anche loro. Costretti a turni sempre più stringenti e serrati per la necessità di sostituire colleghi che sono a casa in quarantena o malati, sono sempre e comunque in compagnia del Covid, obbligati a frequentarlo in continuazione.

I sanitari vorrebbero poter dimenticare qualche ora questo nemico invisibile, questo ospite inatteso. Rimanendo a casa a riposare accanto alle persone care, mangiando assieme dopo tante separazioni, scambiando due parole su ciò che ancora esiste oltre il Covid, scartando con i figli i pochi regali recuperati facendo salti acrobatici tra un turno e l’altro, chiedendo loro come sta funzionando la Dad o come stanno vivendo questo secondo periodo di restrizioni. Sanitari che, a causa dell’alto numero di pazienti che devono assistere ad ogni turno, si sentono sconfortati per non poter offrire a tutti loro le attenzioni che vorrebbero. Non solo cure e terapie, ossigeno e pronazioni, ma parole, strette di mano, vicinanza, così come sono abituati a fare da sempre. Vorrebbero avere il tempo di offrire conforto e umanità, prendersi cura, accompagnare.

Non da ultimo, è necessario che i guaritori riposino la loro anima, il cuore infranto, per non ammalarsi non solo di Coronavirus ma di tristezza, impotenza, depressione, disturbo post traumatico.

La scienza ci dice che l’attivazione dei neuroni mirror, chiamati anche neuroni dell’empatia, ci fanno sperimentare esattamente quello che sperimenta o ci racconta la persona che abbiamo vicino. Come pensate che possano stare i guerrieri della sanità che accompagnano da mesi persone con gravi difficoltà respiratorie, nude, infette, lontane dai loro cari? Si sentono esattamente come loro: sole, abbandonate, tristi, spaventate, perseguitate da incubi e dal terrore di non riuscire a tornare come prima, che la vita possa finire senza un abbraccio, una carezza, senza possibilità di dire parole d’amore o di riposarsi accanto a chi si ama, di non riuscire più a sperimentare amore e compassione per chi si trova ad avere bisogno e dipendere dagli altri. Perché possano finalmente dire “non ce la faccio più”, devo riposare il corpo e la mente.

Facciamo allora che il grande regalo che ci facciamo a Natale è dimostrare rispetto per chi ci sta offrendo la propria energia vitale alla salvaguardia dell’umanità intera. E usiamo questo Natale di intimità e raccoglimento per riscoprire o scoprire come questa esperienza ci ha cambiati, ciò di cui abbiamo davvero bisogno o desiderio.

*psicologa SSN Milano – autrice di “Il guaritore infetto. La cura ai tempi del Coronavirus”, edizioni la meridiana

In apertura immagine da Pixabay


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