Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Cooperazione & Relazioni internazionali

Insaf, figlia di uno dei pescatori di Mazara del Vallo: “Più che una liberazione, è stata un’umiliazione”

Insaf Jemmali è una delle tre figlie di Farhat Jemmali, uno dei pescatori tunisini che insieme agli altri marittimi italiani, indonesiani e senegalesi, si è trovato per 108 giorni detenuto in carcere a Bengasi. "Non abbiamo mai ricevuto una notizia ufficiale, alla Farnesina durante l'unica chiamata con i pescatori mi hanno detto che era soltanto per gli italiani e di rivolgermi all'ambasciata tunisina. Sono scoppiata in lacrime". Ieri la telefonata di uno dei pescatori all'armatore: "Ci hanno trattato come terroristi, solo l'ultimo giorno abbiamo avuto un pasto decente"

di Alessandro Puglia

Quando alle 13,15 ha cominciato a squillare il telefono di Insaf a Mazara del Vallo la voce di papà Farhat in vivavoce è tornata a scaldare i cuori dei familiari che hanno ringraziato Allah dopo averlo pregato per 108 lunghi e interminabili giorni. Insaf Jemmali ha 21 anni, studia mediazione linguistica interculturale all’università di Siena e a Mazara del Vallo dove è arrivata all’età di due anni ha frequentato l’asilo, elementari, medie e superiori. Nel paese siciliano la sua famiglia è considerata ormai mazarese, amata, rispettata perché il papà Farhat, 53 anni, capo-pesca dell’Antartide è arrivato qui quando di anni ne aveva 18 e ha cominciato a lavorare subito come pescatore. Insaf è la seconda dei suoi quattro figli: Sasa, 23 anni, Ghada, 19 anni e il piccolo Youssef che di anni ne ha tre.

«Papà ci ha chiamato dal telefono di un militare libico, dicendoci che non dobbiamo più preoccuparci e che entro domenica saranno qui con noi. Ci siamo commosse, anche papà», racconta Insaf che insieme alla gioia della liberazione racconta a Vita i momenti difficili che ha attraversato insieme alla sua famiglia nei giorni del sequestro.

«In questo periodo abbiamo sempre ricevuto l’affetto degli armatori, dei cittadini di Mazara, ma da parte del Governo italiano siamo stati trattati in maniera diversa dagli italiani. Mai una telefonata, una e-mail, mai nessuna comunicazione ufficiale».

Insaf insieme alle altre moglie, mamme, figlie dei pescatori di Mazara del Vallo è andata a protestare davanti a Montecitorio per 55 giorni, dal 20 settembre al 13 novembre. Soltanto l’11 novembre i familiari vengono ricevuti dalla Farnesina: «La famosa telefonata dell’11 novembre», racconta Insaf a Vita: «Eravamo con i due armatori Leonardo Gancitano dell’Antartide e Marco Marrone della Medinea e un’altra dei familiari Cristina. Ci sono venuti a prendere con un auto e ci hanno accolto nei loro uffici. Marco ha parlato con il comandante, poi è toccato ad altri familiari italiani. Ho aspettato il mio turno e infine mi è stato detto la chiamata è solo per gli italiani, rivolgetevi all’ambasciata tunisina. Sono scoppiata a piangere, ma sono riuscita a mantenere la mia compostezza». Quanto è accaduto ad Insaf viene oggi confermato dagli armatori: «Hanno mancato di tatto», aggiunge Marco Marrone.

Insaf tornata a Mazara del Vallo ha telefonato poi l’ambasciata tunisina:«Erano desolati per quanto accaduto, mi hanno detto che purtroppo loro non potevano fare nulla perché tutto dipendeva dai rapporti tra l’Italia e la Libia» aggiunge la ragazza.

Ad intervenire sulla vicenda è Sami Ben Abdelaali, deputato del parlamento tunisino, una lunga esperienza politica alle spalle ed è presidente dell’istituto per il credito alla cooperazione con sede a Palermo: «Non si tratta una ragazza di 20 anni in questo modo. Ho saputo di questo episodio quando ho incontrato i familiari dei pescatori a Mazara. Mi dispiace moltissimo per la ragazza, ma voglio anche ricordare al Governo italiano che i pescherecci su cui viaggiavano tutti i pescatori battono bandiera italiana».

Sulla vicenda del rilascio dei pescatori di Mazara del Vallo si conosce ancora ben poco. In una telefonata all’armatore della Medinea, il comandante del peschereccio Pietro Marrone ha riferito via radio che i tunisini erano divisi dagli italiani e si sono ritrovati dopo 70 giorni: «Ha detto che sono stati trattati come dei terroristi, che hanno subito continue violenze psicologiche, altro lo sapremo quando arriveranno. Erano senza vestiti per il ricambio e soltanto l’ultimo giorno hanno ricevuto un pasto decente», aggiunge l’armatore.

Sembra dunque che i pescatori non abbiano mangiato affatto pasta, pesce e verdure come invece riportato da alcune autorevoli testate nazionali.

Insaf, i tunisini di Mazara del Vallo ci tengono comunque a ringraziare «tutti coloro che si sono concretamente interessati della vicenda e la comunità mazarese per l’incessante sostegno». Insaf però non riesce a parlare di vittoria: «Conte e Di Maio non possono di certo esultare come se si trattasse di una vittoria perché si sono umiliati loro stessi. Potevano risolvere il caso prima, non dopo 108 giorni», conclude la ragazza che nel clima natalizio che è tornato a Mazara del Vallo aspetta insieme al resto della famiglia il ritorno a casa di Farhat, pescatore e papà eroe.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA