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Il dilemma della mortalità in Italia. Il virus colpisce ogni Regione in modo diverso

Il tasso di mortalità non è lo stesso tra i territori. È quanto emerge dall’analisi dell’Università Cattolica. Il numero più alto di vittime in Lombardia e Piemonte. La Regione con la mortalità più bassa è la Campania. Tutti i dati

di Luca Cereda

Il coronavirus non causa ovunque in Italia la stessa mortalità, ma si manifesta con estrema variabilità nelle Regioni italiane. Basta pensare che va da un massimo del 5,4% rispetto al totale dei positivi al Covid in Lombardia a un minimo dell’1,3% in Campania, con una media del 3,5% a livello nazionale. Soffermando l’attenzione sul periodo ottobre-dicembre – per la precisione dal 12 ottobre al 6 dicembre -, scopriamo che i livelli di mortalità per Covid-19 nelle Regioni variano sensibilmente, a parità di prevalenza dei nuovi contagi e indipendentemente dalla struttura per età della popolazione residente.

È quanto emerge dall’analisi sui dati attualmente disponibile relativi agli ultimi due mesi in Italia, in rapporto a quelli registrati dall’inizio della crisi sanitaria, elaborata dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane dell’Università Cattolica.

Le ragioni della mortalità del Covid-19 in Italia
Lo studio conferma che la pandemia ha avuto intensità e letalità diverse. «È difficile stabilirne i motivi che vanno ricercati fra più fattori: carenze organizzative, ritardi iniziali nel comprendere la gravità dell’emergenza, deficit nei sistemi di tracciamento dei contagi, diversi livelli di aggressività del virus, comportamenti individuali e scelte dei governi centrali e locali», spiega Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni dell’Università Cattolica.

Un possibile motivo è che alcuni territori sono interessati da un livello alto di mobilità, «si tratta di luoghi in cui si svolgono la maggior parte delle proprie relazioni sociali ed economiche. Queste aree, con molta probabilità, sono state sottoposte a un rischio maggiore di contagio, la Lombardia, per esempio, dove si registra la più alta intensità degli spostamenti e dove c'è stato un record di contagi».

Record di decessi in Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna
Dall’inizio della pandemia al 14 dicembre nel nostro Paese si sono registrati ufficialmente 65.011 decessi: il 36,7% avvenuti in Lombardia, l’11,0% in Piemonte e il 10,2% in Emilia-Romagna. «Se il rapporto tra mortalità e contagi, si attesta al 3,5% a livello nazionale, secondo i dati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità, l’età media dei pazienti positivi deceduti è 80 anni. L’andamento dell’età media dei pazienti deceduti positivi, a partire dalla 3a settimana di febbraio 2020 è andata sostanzialmente aumentando fino agli 85 anni – 1a settimana di luglio – per poi calare leggermente sotto gli 80 anni a partire da settembre».

Interessante osservare come, la prima fase della pandemia ha interessato sostanzialmente solo una parte del Paese, il Centro-Nord, mentre nel resto dello stivale i contagi sono stati molto limitati. La seconda fase, invece, a causa degli spostamenti legati alle vacanze estive, si è sviluppata su tutto il territorio, continuando però a evidenziare significative differenze tra Regioni, soprattutto rispetto al numero di decessi per Covid-19.


Il podcast dell'inchiesta sulla mortalità del Covid in Italia


Mortalità del Covid: dall’Italia all’Europa…
«L’allentamento dell’attenzione ha favorito i contagi nel periodo estivo, soprattutto tra i giovani e questo ha rinfocolato e, probabilmente, anticipato la seconda fase della pandemia – afferma il direttore scientifico dell’Osservatorio dell’Università Cattolica -. Si è trattato di un errore che ha coinvolto nella pandemia anche le Regioni del Sud Italia, già in difficoltà con i loro Sistemi Sanitari e che nella prima fase erano state solo sfiorate dall’emergenza sanitaria. La riapertura delle scuole, anche se doverosa, e l’allentamento delle restrizioni alla circolazione hanno amplificato la diffusione dei contagi».

La variabilità osservata nel nostro Paese si riscontra anche tra i Paesi europei, stando ai dati dell’Osservatorio: «Questo deve avviare delle riflessioni attente sull’esperienza che si sta maturando in tutto il mondo, così da evitare errori e prevenire altre eventuali emergenze sanitarie future», commenta Alessandro Solipaca. Si dovrà stabilire quali dei seguenti fattori hanno condizionato gli effetti e la dinamica della pandemia sulla popolazione: «Aggressività del virus, performance dei Sistemi Sanitari o dati incompleti a causa del sistema di tracciamento. Per far questo è necessario implementare sistemi di sorveglianza più efficaci di quello attualmente presente in Italia e nel resto dei Paesi europei, una parte della variabilità osservata nei dati è sicuramente dovuta all’imprecisione con cui vengono registrati i casi di contagio e il loro tracciamento».

Nei singoli Paesi europei, la letalità varia da 1,3 della Lettonia a 3,1 per 100 contagiati della Bulgaria. Nei Paesi con la più bassa percentuale di anziani, varia da 0,5 registrata a Cipro a 3,5 per 100 contagiati rilevata in Gran Bretagna.

…e ritorno
L’Italia ha una elevata letalità, a fronte di un tasso di contagi che ci colloca nella fascia centrale della graduatoria europea. «Dai dati sappiamo che i decessi sono avvenuti soprattutto tra gli anziani e il nostro Paese, a livello europeo, è primo per quota di anziani, ma questo spiega solo in parte tale mortalità.

Resta però il “nodo dei dati”. I casi di coronavirus notificati, infatti, «sono soltanto la punta dell’iceberg e i morti crescono in una maniera impressionante», precisa il direttore scientifico dell’Osservatorio. «Abbiamo avuto 36.000 decessi nella prima fase e nelle seconda fase se continua questo trend – mette in guardia il professor Solipaca – arriveremo a 40.000 entro febbraio-marzo». Uno degli aspetti interessanti di questa ricerca è quello di spingerci a guardare al di là dei dati. «Bisogna, e lo faremo nei prossimi mesi, capire se la disomogeneità del contagio sul territorio nazionale dipende dai dati forniti dai sistemi sanitari regionali, oppure se è legato alla natura stessa dei dati trasmessi. Un esempio sono proprio i decessi che sono registrati come “morti con covid” e non clinicamente “a causa del covid”».

Un monito e un insegnamento di questa pandemia
Uno degli aspetti sottovalutati della prima ondata, e purtroppo anche della seconda, è stato il tracciamento dei casi di positività al virus. «Circoscrivere i contatti del positivo e risalire, testando, agli eventuali contagiati in modo da limitare la diffusione del contagio, sarebbe stato il procedimento migliore per contenere la pandemia», sottolinea Solipaca che aggiunge: «Questa poteva essere un’arma sia per il contenimento, che per la prevenzione. Anche qui c’è stata una grande variabilità nei numeri dei tracciamenti effettuati che impongono un ragionamento sul sistema sanitario andato troppo spesso, anche nella seconda ondata, in sofferenza»

Tutto questo ha condotto ad una frammentazione di dati e dei sistemi informativi regionali, e una mancanza di linee guida generali, per cui ogni regione raccoglie i dati in modo disomogeneo e che rende complicato e burocratico non solo capire cosa è successo con la pandemia ma anche gestire la pandemia stessa, i malati e i contagiati.

E non è finita qui, il vaccino, la sua distribuzione, saranno uno stress test per tutto il sistema sanitario nazionale ed europeo. «Questa vaccinazione di massa presuppone una logistica epocale in campo medico e sanitario. Mi auguro – conclude il professor Alessandro Solipaca – che si stia pianificando la campagna nel dettaglio perché abbiamo visto con i tamponi cosa significa fare code di ore, non dare risposte per giorni e non saper gestire le necessità di migliaia di persone. Ora si tratta di vaccinarne milioni».


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