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Con Jacopo, il figlio autistico tra i campi d’ostinato amore

La nuova raccolta poetica di Umberto Piersanti edita da La Nave di Teseo affronta il legame con il figlio affetto da una forma grave di autismo. Insieme il grande racconto della natura e di un mondo contadino mitico che il poeta trasfigura nella sua memoria

di Alessandro Puglia

«Jacopo del riso/ e dello sconforto,/ sei nella vita/ quella svolta improvvisa/ che non t’aspetti,/ la tragica bellezza/ che i tuoi giorni inchioda/ al suo percorso//». Sono versi tratti dalla raccolta poetica Campi d’ostinato amore (La Nave di Teseo, novembre 2020) del poeta e scrittore marchigiano Umberto Piersanti.

Versi dedicati al figlio autistico Jacopo che sintetizzano uno dei temi più affrontati da uno tra i più importanti poeti del nostro tempo. Versi intensi che ritroviamo nella poesia che dà il titolo alla raccolta in cui il padre dopo aver raccontato al figlio di aver conosciuto le ninfe dei boschi, si rivolge a lui con una tenerezza struggente: «siamo scesi un giorno/ nei greppi folti/ abbiamo colto more / tra gli spini/ ora tu stai rinchiuso/ nelle stanze/ e il mio ginocchio che si piega/ e cede/ a quei campi amati/ d’un amore ostinato,/ sbarra l’entrata/»

Una poesia che stupisce, in grado di raccontare anche attraverso il dolore, una natura mitica e ancestrale che il poeta conserva intatta nella sua memoria. Per chi conosce l’opera di Umberto Piersanti in Campi d’ostinato amore appaiono alcuni dei luoghi più cari al poeta. La casa in fondo al fosso, lo stradino, le Cesane che sconfinano nella galassia, Urbino. È qui, in quest’angolo d’Italia, che trasuda di cultura, che Piersanti ha insegnato per anni Letteratura Italiana e Sociologia della letteratura a tanti giovani studenti, portando un’idea di poesia condivisa, una poesia da spezzare nella mensa con il pane e il vino, come sosteneva il poeta marchigiano Franco Scataglini e lo stesso Piersanti. Sono le piazze brulicanti di ragazzi e ragazze a cui il poeta, che nella prima parte della raccolta viaggia tra le testimonianze dirette della Grande guerra, a cui oggi pensa.

La primavera intrisa di ricordi e magia lascia spazio a una nuova primavera. Una sezione della raccolta si intitola infatti Primavera bugiarda (Nei mesi del Covid). Qui nasce una riflessione profonda sulla natura, che se da un punto di vista “ambientale” beneficia dei vari lockdown, dall’altra assume una veste finta, artificiale. «È questo tempo tutto/ fuori stagione/ un tempo che ti rapina/ i giorni e le ore,/ e tu rimpiangi i suoni/ che detesti,/ i trapani nei muri,/ le acque scure/, il cielo polveroso,/ i giovani inconsapevoli/ felici/ d’un'altra primavera che porti dentro, / dentro nel sangue//».

Una primavera bugiarda, assai diversa da quella primavera remota che Piersanti ha raccontato nelle tre raccolte einaudiane I luoghi persi (1994), Nel tempo che precede (2002), L’albero delle nebbie (2008) o fino alla più recente Nel folto dei sentieri (Marcos Y Marcos 2015). La primavera remota trova tuttavia spazio anche in questa raccolta tra i favagelli, il cielo azzurro, i frulli d’ali, i gelsi o “la vegelia” il fiore chiamato così dalla madre del poeta: «dal calice allungato e dal profumo antico».

Fiori, piante e alberi che costellano queste pagine nel recupero di un mondo contadino che il poeta ha vissuto nella sua infanzia e che la memoria trasforma in un quadro mitico. Come nei mesi più freddi dove i contadini delle sue Cesane, la zona collinare che circonda Urbino, appaiono antichi pastori in una scena da presepio, dove il poeta con la sorella va a raccogliere il muschio nei greppi lontani.

Volti e presenze che appartengono a un mondo lontano, ma che la poesia riesce ancora oggi a rendere vivo e presente, come l’andare tra i campi d’un ostinato amore.


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