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I monumenti? Imola insegna che oggi sono opere aperte

Il percorso per la nuova opera pubblica dedicata all'arredamento urbano della piazza centrale della città emiliana, iniziato nel 2008, è un caso di successo che dimostra l'importanza di partecipazione e dialogo. Il racconto della curatrice Anna Detheridge

di Anna Detheridge

Nel 2008 sono stata invitata dal Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Emilia Romagna, Carla di Francesco a curare un’opera pubblica per la piazza centrale di Imola, in occasione della riqualificazione del centro storico già in corso. Il progetto di un nuovo monumento da contestualizzare nel rinnovamento ideale dei luoghi, nel bellissimo invaso quattrocentesco in comunicazione con altre due piazze costituiva, dunque, un’occasione ghiotta per dare il meglio di sé.

Il motivo che mi spinge a ricostruire oggi quegli eventi durati circa 6 anni è la convinzione che non esistano in Italia progetti pubblici semplici che non rischino di incagliarsi nelle controversie tra i poteri (soprintendenze, Ministero, amministrazione locale a vari livelli) e con il pubblico, intendendo tutti coloro dotati di voce in capitolo ma anche no (i media, i comitati, i commercianti, il sindaco… e per buoni ultimi i cittadini).

Già dai primi contatti, in effetti, il progetto si è manifestato in tutta la sua problematicità. La vicenda di Imola, tuttavia, credo meriti un premio allo spleen per l’inerzia burocratica, per l’impossibilità di venir a capo delle sovrapposizioni decisionali (e le loro vistosissime assenze).

Sulla piazza Matteotti, infatti, aleggiava ancora il fantasma ostinato di un vecchio monumento di epoca fascista ai Caduti della Prima Guerra Mondiale, appena rimosso durante la riqualificazione.

I primi tentativi di liberarsi dell’ingombrante manufatto e dal rialzo della pavimentazione suddivisa in quattro aree in suo onore, risalivano al 1981, quando le Soprintendenze ai beni architettonici (arch. Gremmo) e quella ai beni artistici (Prof. Emiliani), hanno autorizzato il trasferimento del monumento al cimitero del Piratello, suscitando dopo un primo consenso un’opposizione degna di miglior causa, da parte del “Comitato dei parenti dei Caduti” e dal “Comitato pro monumento”, prevalentemente condotta sul piano giudiziario, e appoggiata a livello politico da esponenti del partito MSI locale e nazionale.

Una amplissima documentazione testimonia la sequela di autorizzazioni, sospensioni, decreti da parte di soprintendenze, amministrazioni, Ministero, decisioni ambivalenti, ricorsi al TAR fino all’ultimo accordo sibillino di Ministero e Comune del 26 giugno 2008 che prevedeva al punto 3 “il completamento dei lavori di pavimentazione di Piazza Matteotti così come da progetto approvato” e al punto 2 di “mantenere indelebile nell'area della Piazza la memoria dei caduti attraverso la realizzazione di un'opera artistica, previo concorso di idee, da collocare in tempi brevi”. Tuttavia pendeva ancora un ricorso al TAR del dicembre 2007 per l'ottemperanza alle precedenti sentenze, dal quale è scaturita una sentenza (23 aprile 2008) che ha imposto perentoriamente il ripristino del Monumento in Piazza Matteotti entro 60 gg, poi smentita da una ordinanza di sospensiva del Consiglio di Stato…

Il simulacro molesto, aveva inoltre creato una paralisi decisionale anche nei lavori di riqualificazione delle piazze che perdurava dal 2001 con uno stop/go di autorizzazioni concesse e poi sospese. Nel 2008 dopo lunghe diatribe gli organi di tutela permettono la riapertura del cantiere e la piazza viene finalmente terminata nell'aprile 2009, aprendosi così a un ritorno alla vita, al mercato e ai tavolini delle caffetterie, funzioni penalizzate dalla monumentalizzazione dell’intera area.

Dopo molte riunioni si è deciso di inaugurare un percorso il più partecipato possibile con tutti i cittadini, cominciando da lontano, con la proposta di una rosa di cinque artisti invitati ad immaginare un progetto per la piazza con la “finalità di mantenere indelebile la memoria delle vittime delle guerre attraverso un invito alla pace e alla convivenza civile tra i popoli, per la costruzione di una società non violenta e accogliente” (richiesta esplicita del Ministero).

Nell’ottobre del 2010 in occasione dell’inaugurazione della piazza rigenerata si è tenuta una serie di presentazioni pubbliche del lavoro degli artisti invitati: Alfredo Jaar, Studio Azzurro, Grazia Toderi, Luca Vitone, Krzysztof Wodiczko e il 13 maggio dell’anno seguente al Museo di San Domenico è stata inaugurata la mostra con i progetti degli artisti. Una commissione di esperti ha selezionato due progetti tra i cinque presentati, ma l’ultima parola è stata dei cittadini che dopo la visita alla mostra hanno potuto selezionare con il proprio voto il progetto vincente: Il Segno della Memoria di Studio Azzurro.

Lentamente attraverso il paziente dialogo con più soggetti sono state superate molte resistenze. Paolo Rosa (mancato tragicamente prima della conclusione del lavoro) e in seguito Chiara Ligi con la collaborazione della curatrice Claudia Baroncini per il Comune di Imola, hanno condotto il lavoro di mediazione e di costruzione dell’opera coinvolgendo le scuole, le famiglie e l’Archivio comunale. In questo dialogo con i cittadini sono emersi dalla notte dei tempi, tanti racconti, ritratti, vicende intorno alla Grande Guerra, ricordi ancora vivi, custoditi dalle famiglie, vissuti dai bisnonni e parenti vari, testimoniati da cartoline, foto e lettere inviate dal fronte e scambiate tra famigliari, fidanzati, genitori e figli.

Il senso dell’opera, quasi all’insaputa degli stessi cittadini, inizialmente così difensivi, ha cambiato significato. Dalla grandiosità e dalla retorica del monumento di ispirazione fascista che celebra la sacralità della madrepatria, si è passati alla celebrazione delle testimonianze e dei ricordi individuali di tutti, il disagio fisico e morale di chi era in trincea, i timori e le raccomandazioni di chi era rimasto a casa. Un ricco patrimonio di materiali provenienti dall’Archivio ma anche dalle famiglie hanno costituito la materia prima dell’opera, risorsa indispensabile per mantenere viva la memoria, alla base di ogni senso di identità. Le testimonianze sono raccolte in una semplice striscia di luce proiettata la sera sulla piazza, che ricorda quelle persone, quelle storie di oltre 500 imolesi, morti in guerra.

Nelle intenzioni degli artisti, ma anche delle istituzioni, infatti, quella striscia di luce rimane come “opera aperta” da ricomporre e rinnovare con altri ricordi e altre narrazioni che riguardano la vita di cittadini imolesi vecchi e nuovi.


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