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Perché la scienza ha bisogno del terzo settore

Il Covid ha reso impellente uno sforzo in più per contribuire a ricostruire la fiducia verso la scienza e verso l’impatto positivo che questa ha sulla vita di tutti. Il Terzo settore ha un ruolo cruciale in questo per via della sua funzione connettiva tra i diversi attori della società. Abbiamo infatti bisogno di un dialogo orizzontale tra pari, in cui nessuno si metta in cattedra, ma tutti possano contribuire per ricostruire quel senso di comunità ed impegno che è alla base della coesione sociale

di Marco Simoni

La crisi pandemica in cui siamo ha messo in evidenza con grande drammaticità quanto conoscenze e competenze scientifiche siano cruciali per orientare scelte ed azioni quotidiane di ognuno di noi. Ogni giorno viviamo infatti situazioni in cui ci è richiesto di compiere scelte che riguardano non solo la nostra salute, ad esempio adottare un certo stile di vita oppure acquistare un determinato farmaco, ma anche il benessere generale della collettività. In questo quadro, è importante pensare al ruolo del cittadino come soggetto attivo al quale non solo deve essere garantito il diritto di scelta, ma si deve offrire una migliore comprensione e un migliore utilizzo delle informazioni per prendere decisioni informate.

Purtroppo, l’informazione da sola non basta. Un’alfabetizzazione scientifica di base che ci permette ad esempio di sapere che il sole è una stella e non un pianeta, non ci garantisce la comprensione di meccanismi complessi che sono spesso dietro a scelte quotidiane cruciali. Pensate al concetto di immunità di gruppo, o di gregge, di cui si è cominciato a parlare più frequentemente solo di recente: ormai è chiaro ai più che se una percentuale sufficiente della popolazione non è più suscettibile a un virus, quest’ultimo non può diffondersi, proteggendo de facto anche gli individui potenzialmente vulnerabili. Ma si tratta di un concetto ben più complesso da padroneggiare: la soglia minima dell’immunità di gruppo varia a seconda del virus, a causa dei diversi indici di contagiosità; la durata e gli effetti della risposta immunitaria influenzano l’immunità stessa e possono comprometterla; il concetto di immunità di gregge non risulta valido per malattie infettive non trasmissibili da uomo a uomo. Questa complessità rischia di non esser colta nella sua interezza dai “non addetti ai lavori”, con un potenziale impatto sulle scelte quotidiane dei cittadini: dal vaccinare i propri figli al rispettare le indicazioni per contenere la diffusione del Coronavirus. È un tema delicato e complesso da trattare, perché anche i cittadini più interessati e desiderosi di comprensione possono far fatica a districarsi fra dati dimostrati e dati falsati, oppure a identificare fonti attendibili e a mantenere uno sguardo critico nei confronti di ciò che leggono. Quindi, con un paradosso inaspettato, l’enorme mole di informazioni che la tecnologia moderna ci mette a disposizione tende ad ampliare la forbice della conoscenza scientifica. La natura della conoscenza umana sembra infatti comportarsi esattamente come il flusso monetario in economia: tende a seguire sentieri già battuti, arricchendo – per così dire – chi è già ricco. Per chi ha strumenti, consultare motori di ricerca come Pubmed oppure accedere al catalogo della British Library, il web è una ricchezza enorme. Al contrario, diventa un ginepraio per tutti gli altri: è un ginepraio per tutti noi quando ci imbattiamo in temi che padroneggiamo poco.

Su questo aspetto gli esperti hanno enormi responsabilità: in un’epoca nella quale è scomparsa la funzione connettiva dei corpi intermedi io credo che il mondo della ricerca, le istituzioni della scienza e della cultura, debbano farsi direttamente carico del dialogo orizzontale con le persone. Altrimenti l’effetto “torre d’avorio” genera scetticismo e produce fenomeni anche di rigetto e caratterizzati da irrazionalità, di cui quello dei no-vax è purtroppo solo la punta dell’iceberg.

Senza quelle “cinghie di trasmissione” dell’informazione che trent’anni fa rappresentavano ancora le associazioni, le sezioni di partito, le parrocchie e via dicendo, luoghi dove ci si mischiava e ci si contaminava reciprocamente portando il proprio vissuto e le proprie esperienze, ci troviamo oggi davanti ad un mondo pieno di informazione, ma più povero di conoscenza e soprattutto di fiducia. In questo quadro, e mi rendo conto di dire qualcosa che può sembrare una provocazione, il compito di un ricercatore di oggi non può limitarsi ad essere quello di far bene il proprio lavoro, ma deve farsi carico di dialogo e comunicazione costante. In una società post-Covid, che deve risollevarsi rapidamente sia economicamente sia emotivamente, c’è bisogno di uno sforzo in più per contribuire a ricostruire la fiducia verso la scienza e verso l’impatto positivo che questa ha sulla vita di tutti.

Il Terzo settore ha un ruolo cruciale in questo per via della sua funzione connettiva tra i diversi attori della società. Abbiamo infatti bisogno di un dialogo orizzontale tra pari, in cui nessuno si metta in cattedra, ma tutti possano contribuire per ricostruire quel senso di comunità ed impegno che è alla base della coesione sociale.

Senza questo sforzo non può esserci quella ripresa economica sostenibile che tutti auspichiamo dopo la lunga pandemia che ci ha afflitti in questi mesi. È uno sforzo collettivo che dobbiamo portare avanti insieme puntando sulle persone e sulle associazioni, imprese, esperienze civiche, per mettere a servizio della collettività un patrimonio di conoscenza, idee e potenziali soluzioni oggi frammentato e incapace di generare – come invece dovrebbe – lezioni per tutti. Human Technopole, l’Istituto di ricerca italiano per le scienze della vita che ho l’onore di presiedere da due anni, ha l’ambizione di essere un hub della ricerca a servizio del miglioramento della qualità della vita delle persone, ma anche di incentivare sistemi di relazioni, connessione tra saperi e una collaborazione costante tra pubblico e privato per promuovere quella cultura della condivisione che è alla base della conoscenza. Lo faremo anche attraverso un costante confronto con il territorio ed i suoi interlocutori rilevanti, tra cui il Terzo settore che ha e continuerà ad avere un ruolo centrale: Fondazione Triulza è stata, ad esempio, uno dei nostri partner più determinati in questa direzione sin dalla nascita di Human Technopole e sono sicuro che nei prossimi mesi avremo modo di lavorare insieme ad importanti iniziative di disseminazione scientifica a partire da quelle per le giovani generazioni.


*Marco Simoni presidente Fondazione Human Technopole


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