Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Famiglia & Minori

Due insegnanti su tre vogliono la scuola chiusa fino a fine emergenza

Questo il risultato di una survey realizzata dall'Inapp. L’82,4% degli insegnanti chiede uno standard unico per la Didattica a distanza e il 91,2% una formazione specifica per i docenti sulla DaD perché - scrive il report - «la didattica online è stata utilizzata prevalentemente come un surrogato della didattica in presenza, trasportando la modalità di insegnamento frontale dalle aule al virtuale». Tanto che un docente su tre pensa che gli studenti devono svolgere attività di recupero estive

di Redazione

Due insegnati su tre (70,4%) pensano che sia giusto tenere chiuse le scuole e le università fino a quando l’emergenza sanitaria sarà rientrata ma il 30,2% pensa che gli studenti devono svolgere attività di recupero estive. L’82,4% degli insegnanti chiede uno standard unico per la Didattica a distanza e addirittura il 91,2% una formazione specifica per i docenti sulla DaD. Sono questi alcuni dati che emergono dal policy brief dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche “La scuola in transizione la prospettiva del corpo docente in tempo di Covid-19”, a cura di Monya Ferritti, cui hanno partecipato oltre 800 docenti delle scuole di ogni ordine e grado dagli asili nido all’Università, pubbliche, private e paritarie.

«Dalla nostra indagine emerge che il corpo docente promuove la didattica a distanza come una giusta soluzione per fronteggiare il problema della pandemia», ha spiegato il presidente dell’INAPP, Sebastiano Fadda, «al punto che 2 insegnati su 3 pensano che sia giusto tenere chiuse le scuole fino a quando l’emergenza sanitaria sarà rientrata. In pratica il sistema dell’istruzione, trovandosi nella burrasca del mare aperto dell’emergenza sanitaria, ha utilizzato la “scialuppa” della didattica a distanza per rientrare in un porto sicuro con tutto il proprio carico di lavoratori e studenti. Aver remato nella stessa direzione, docenti e studenti, è servito a salvare il ciclo di studi ma è chiaro che sono emersi allo stesso tempo molteplici problemi come gli organici insufficienti, l’inadeguata dotazione strumentale, la scarsa padronanza dell’utilizzo dell’ICT da parte del nostro corpo docente, un corpo docente con la maggior presenza di over 50 fra i paesi OCSE (il 59% degli insegnanti dalla scuola primaria alla secondaria di II grado ha più di 50 anni) e con la percentuale più bassa di insegnanti con età compresa fra i 25 e i 34 anni (0,5%). Nonostante questo, il corpo docente ha espresso la volontà di continuare ad utilizzare le tecnologie ICT anche quando la pandemia sarà sconfitta».

Un docente su due ha visto effetti positivi della DaD sugli studenti più isolati o taciturni o poco motivati, che con questa modalità didattica si sono rivelati più partecipativi e coinvolti (52,2%), mentre uno su tre (32,1%) dice che i suoi studenti sono stati più solidali e collaborativi fra loro e più responsivi e solleciti con l’insegnante con questa metodologia. L’idea di continuare a usare la tecnologia piace più per la didattica in presenza (73,6%) che per attività come i colloqui con studenti; colloqui con genitori; consigli di classe (46,5%).

«La situazione epidemiologica estremamente variabile lascia il dibattito sempre aperto sul punto di equilibrio fra la salute e l’istruzione, facendo registrare una polarizzazione delle diverse posizioni. Da una parte vi è la richiesta di misure prudenziali che coinvolgano anche il primo ciclo della scuola nella DDI – per il momento esonerato soprattutto in considerazione della minore autonomia degli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado – per sostenere il sistema sanitario nazionale rispetto al numero dei contagi, dall’altro l’invito a ripristinare una situazione di normalizzazione del sistema educativo al netto delle criticità esistenti (piano trasporti, tracciamento dei positivi, sistemi di areazione nelle aule inappropriati ecc.)», si legge nel report. «Il nuovo e improvviso riassetto non è avvenuto senza ripercussioni nonostante i processi di riforma, di digitalizzazione e di innovazione che la scuola aveva già da tempo avviato. Infatti, la precipitazione degli eventi pandemici non ha dato il tempo al corpo docente di adeguarsi tecnologicamente e metodologicamente, per cui la didattica online è stata utilizzata prevalentemente come un surrogato della didattica in presenza, trasportando la modalità di insegnamento frontale dalle aule al virtuale».

L’indagine ha esplorato anche la variazione del carico di lavoro in DAD rispetto alla didattica tradizionale: è diminuito per chi lavora nei nidi, invariato per chi insegna in università e aumentato negli altri ordini di scuola. Gli insegnanti del primo ciclo scolastico – la scuola primaria e la scuola secondaria di I grado – sono coloro che hanno maggiormente risentito dell’aumento del carico di lavoro, per effetto della limitata autonomia dei loro allievi e della necessità di efficacia nella didattica. Gli insegnanti della secondaria di II grado, invece, se hanno sperimentato un incremento del carico di lavoro durante la preparazione delle lezioni, questo si è attenuato nella realizzazione delle lezioni stesse. Il policy brief è pubblicato sul sito www.inapp.org. La survey è stata realizzata on line dal 21 maggio al 21 giugno 2020.

Photo by Belinda Fewings on Unsplash


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA