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Sanità & Ricerca

L’odissea di un’anziana in ospedale in tempi di Covid

Al Brotzu di Cagliari una donna viene ricoverata per una frattura al femore. Inizia così un lungo percorso tra mille difficoltà, ostacoli e rinvii. L'impegno di medici, infermieri e Oss non basta: le sue condizioni di salute stanno peggiorando. Il figlio chiede umanità e rispetto verso i più fragili

di Luigi Alfonso

Può una banale caduta in casa far piombare una persona in un girone infernale? Di questi tempi, sì. La situazione originata dalla pandemia Covid ha complicato le cose, ma ciò non basta a giustificare tutto. Il caso di Francesca (nome di fantasia, su richiesta dei familiari), cagliaritana di 87 anni, è emblematico. Sino a poche settimane fa era una anziana abbastanza autosufficiente ma con una neuropatia di origine vascolare. Lo scorso 29 novembre è scivolata in bagno. La prima Rx non ha rilevato fratture ma il dolore non cessava e la donna non riusciva più a camminare. Il 16 dicembre una seconda lastra ha rilevato una frattura scomposta al femore, che richiedeva un intervento di routine in genere eseguito entro le 24 ore successive, consentendo un recupero veloce. L’anziana era ancora lucida. Dopo il triage al Pronto soccorso dell’ospedale Brotzu di Cagliari è iniziata la lunga trafila: tampone, visite, esami di accertamento. Alle 02:30 del 17 dicembre è stata ricoverata. Incertezza sui tempi dell’intervento chirurgico, anche perché da mesi la situazione negli ospedali sardi è profondamente mutata a causa della trasformazione di alcuni di essi in Covid Center. Il Brotzu, infatti, è l’unica struttura nel capoluogo isolano che tratta i pazienti ortopedici: arrivano persino da altre province vicine.

Con le attuali difficoltà di comunicazione con i reparti, passano le giornate e i familiari non riescono ad avere certezze. Il figlio, Mario (altro nome di fantasia), non riesce ad ottenere il trasferimento a casa in ADI sino al giorno dell’intervento, in modo da evitare alla paziente un’inutile e solitaria permanenza in corsia. Inizialmente madre e figlio comunicano in videochiamata, grazie alla disponibilità di infermieri e OSS in servizio. I giorni passano, parlare con i medici è impresa ardua: sono pochissimi e super impegnati, tutti i giorni. E i pazienti dell’Ortopedia sono sparpagliati in vari reparti. L’unica sala operatoria disponibile è insufficiente a smaltirli in tempi accettabili.

Il 29 dicembre Mario viene contattato dagli anestesisti per il consenso all’operazione: viene avviata la procedura che lo renderà tutore legale della paziente. Sua madre ormai dorme per periodi sempre più a lunghi e mangia pochissimo. Finalmente il 4 gennaio viene operata. I medici gli dicono che la donna potrebbe essere dimessa tra il 9 e l’11 gennaio con un nuovo piano fisiatrico. Ma la situazione precipita: i valori ematici si sballano, deve essere trasfusa più volte, arriva pure una polmonite causata dal prolungato allettamento e dal decubito. La donna nel frattempo è entrata in uno stato soporoso dal quale viene ripresa per i capelli da tre anestesisti. Dopo quasi un mese Mario riesce ad avere l’autorizzazione per vedere sua madre, anche se per poco. Appare molto disidratata, continua a dormire con il viso contratto, la maschera ad ossigeno assicurata alla testa. La situazione resta critica, le sue condizioni potrebbero dipendere dall’ulteriore aggravamento della patologia neurologica che il prolungarsi del ricovero ha aggravato. Ieri, 12 gennaio, a metà mattina un’altra visita all’anziana madre: finalmente appare con gli occhi aperti, anche se un po’ assente. Ha sempre la maschera dell’ossigeno. Le condizioni sono stazionarie, in serata ritorna in uno stato di incoscienza. I medici dicono che le probabilità che si risvegli sono sempre meno. L’organismo sta cedendo, polmoni cuore e reni sono in sofferenza. Se riusciranno almeno a staccare l’ossigeno, forse potrà essere dimessa.

“Al di là di tutte le considerazioni”, commenta Mario, “avverto una grave carenza organizzativa. Non vorrei che l’emergenza sanitaria, cui va prestata la massima attenzione, vada a discapito dell’assistenza e dell’umanità che si dovrebbe avere soprattutto nei confronti dei ricoverati più anziani e fragili. Mi sorprende il silenzio della dirigenza ospedaliera: come si può accettare in silenzio che il principale ospedale di un’area metropolitana operi in condizioni da scenario di guerra? Non cadrò nella tentazione di fare polemiche strumentalizzabili politicamente: a me interessa riportare mia mamma a casa, sana e salva, il più presto possibile. La piena efficienza del sistema sanitario riguarda tutti, ed è tanto più importante adesso che stiamo affrontando un’emergenza di portata storica”.

“La signora – spiega l’Azienda Ospedaliera Brotzu attraverso il suo ufficio stampa, da noi sollecitato – è stata trattata dal nostro reparto di ortopedia in totale sicurezza, ricevendo durante tutta la degenza le migliori cure da parte dei nostri operatori, a garanzia della sua salute. Le attuali norme legate all’emergenza Covid non ci hanno permesso di aprire le porte ai familiari, così come accade per gli altri pazienti, tuttavia dietro specifica richiesta del figlio, vista la condizione di particolare fragilità della signora, abbiamo autorizzato l’ingresso del familiare, che ogni giorno ha la possibilità di vedere la madre”.


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