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SanPa: il confine tra autorità e libertà

Questa serie è una occasione perduta: non tiene conto della evoluzione dei fenomeni interni ed esterni alle comunità. Ma credo che “SanPa” intenda mettere a fuoco una grande domanda, una delle domande più laceranti e aperte della storia di sempre: fin dove si può spingere l’esercizio della autorità sugli altri a fin di bene e qual è la misura della libertà? È una domanda che abita nel cuore di tutte le persone pensanti e in particolar modo di educatori e genitori

di Franco Taverna

Alla fine ho visto anch’io la serie SanPa prodotta da Netflix. Un docufilm che non lascia indifferenti, che divide. Forse è proprio questo il suo obiettivo, e perciò, provocato, entro nel dibattito e mi espongo anch’io con un giudizio, sul film, intendo.

Dal punto di vista del racconto storico, il film è decisamente parziale, ma non credo che il suo scopo fosse quello della documentazione dei fatti e nemmeno di sollevare nuovamente il tema delle dipendenze e di come sono (state) trattate a Sanpatrignano o più in generale in Italia. Da questo punto di vista, come molti hanno già sottolineato, questa serie è una occasione perduta: non tiene conto della evoluzione dei fenomeni interni ed esterni alle comunità e purtroppo tutte le grandi questioni relative alle dipendenze che sono riesplose in mille altre forme in questi anni restano lì, irrisolte. Il sistema pubblico/privato arranca e non sembra esserci una volontà seria per adeguarlo, renderlo efficace, sostenerlo…

Invece, attraverso la vicenda di un uomo, Vincenzo Muccioli, e della realizzazione del suo progetto, credo che “SanPa” intenda mettere a fuoco una grande domanda, una delle domande più laceranti e aperte della storia di sempre: fin dove si può spingere l’esercizio della autorità sugli altri a fin di bene e qual è la misura della libertà? È una domanda che abita nel cuore di tutte le persone pensanti e in particolar modo di educatori e genitori. Tutto il racconto gira in crescendo intorno a questa questione, contraddittoria, ambigua, drammatica al punto che, immedesimandoti nei volti dei genitori intervistati ti pare in alcuni frangenti di essere portato quasi dalla parte che giustifica anche le “catene per la salvezza”, ma la scena successiva il tuo stomaco si rivolta e senti che certi limiti non possono essere valicati, da nessuno (?). E come in tutti i drammi veri che si rispettino questa altalena di opinioni, di sentimenti contrastanti, ti conduce fino alla fine della serie rimanendo senza soluzione anche nell’ultima scena quando uno dei protagonisti, ex ospite, dice “sono quello che sono grazie a Muccioli, ma nonostante Muccioli”.

Ora dal mio punto di vista, per ciò che riguarda la messa in scena e lo sviluppo di questa questione cruciale, mi sembra che la serie “SanPa” sia ben riuscita perché mette lo spettatore davanti ad un interrogativo decisivo davanti al quale è da vigliacchi fuggire. A modo suo è paragonabile a una tragedia classica e letta così è generatrice di pensiero, apre la mente, semina dubbi.

Venendo perciò al cuore della questione e cercando di dare una risposta alla domanda su quale sia il limite nell’esercizio del potere, mettiamo pure terapeutico, educativo, religioso, politico… sempre a fin di bene (ma non c’è nessuno che dica di esercitarlo a fin di male!) credo che il punto sia di valutare quale sia il metro con il quale si misura tanto l’autorità (“da dove viene la tua autorità?”) quanto il bene, chi stabilisce che cosa sia il bene. Ora io credo che una persona travalica il limite consentito quando pone se stesso come misura, quando pensa che l’autorità che esercita se la conferisca da sé e che sia lui stesso a possedere e stabilire che cosa sia bene. Parafrasando Pirandello; così è se “mi” pare.

Non so se questa sia la tesi di fondo del film ma potrebbe esserne una chiave di lettura: la trama suggerisce che Muccioli si è spinto oltre, a tratti con arroganza. Da qui l’epilogo della tragedia. In ogni organizzazione di uomini e di donne, associazioni, governi, religioni, ma perché no anche famiglie l’insieme, la comunità degenera quando una persona con la forza o col carisma, in maniera palese o subdola, con il pugno o con la carezza, si illude di essere lui stesso il metro, l’origine e il fine che giustifica le sue azioni.

*Franco Taverna, coordinatore generale dell'area povertà educativa della Fondazione Exodus di don Mazzi


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