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Zamagni: Renzi sbaglia, ma il Governo Conte non sa ascoltare il Paese

"Tempistiche e modalità incomprensibili da parte del leader di Italia Viva, ma l'esecutivo sconta un gravissimo ritardo culturale e rifiuta la sussidiarietà come principio fondante della società. Lo spettacolo che abbiamo sotto gli occhi oggi e l'incapacità di essere credibile rispetto ai cittadini nascono da qui". Dialogo con l'economista teorico dell'economia civile

di Redazione

La mossa di Matteo Renzi è stata un azzardo poco comprensibile, ma era la matrice culturale del Governo a non essere credibile, non tanto nei Palazzi della politica, quanto nel Paese e nelle comunità. Il quadro che oggi abbiamo davanti agli occhi nasce dentro questa contraddizione. A poche ore dall’avvio della crisi di governo si può così sintetizzare l’analisi del professor Stefano Zamagni teorico dell’economia civile e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali.

Professore, il ritiro degli esponenti di Italia Viva dal Governo è una buona o una cattiva notizia per il Paese?
Non può essere una buona notizia, perché i tempi di questa crisi sono profondamente sbagliati e incomprensibili. Come dice papa Bergoglio io lo spazio lo posso comprimere e ridurre. Il tempo no. E se io dedico tempo alla soluzione della crisi, sottraggo tempo all’implementazione dei progetti e delle azioni che ci dovrebbero portare fuori da questa crisi. Negativo è anche il modo con cui si è realizzata questa operazione. Di fronte a questo teatrino tattico i giovani saranno sempre più disamorati verso la politica. L’irresponsabilità sta proprio nel non tenere conto delle conseguenze indirette che derivano da questo modo di comportarsi. La gente rimane schifata da questo modo di agire. E questo indipendentemente dal fatto che una parte abbia ragione e l’altra torto o viceversa.

Tutta colpa di chi ha gettato in sasso nello stagno nel momento più sbagliato o c’è altro?
Che si siano commessi e si stiano commettendo errori è sotto gli occhi di tutti e lo ammette lo il Governo stesso. Bisogna allora chiedersi perché si continua su questa strada.

Già. Perché?
Cattiva fede? Interessi di parte? No, non credo, non è vero. La risposta nella carenza culturale di questo Governo. Anche se uno è in buona fede, ma ha una cultura distorta, produce effetti nefasti. Quello che vediamo oggi è il tipico esempio di questa distorsione che entrerà nei libri di testo delle prossime generazioni. Questo è un Governo tecnicamente “ignorante”. Primo perché non si è voluto tenere conto della differenza che c’è fra governance e government. Sono due cose diverse. Il secondo termine descrive il soggetto che deve prendere le decisioni, la governance ha a che vedere con le regole di gestione dei provvedimenti. Non sta scritto da nessuna parte che chi esercita la funzione di government debba decidere anche la governance dei processi. Anzi nelle vere democrazie questi due concetti sono tenuti separati. E perché questo avviene? Perché in Italia non si vuole dare spazio alla cultura sussidiaria. Se uno odia la sussidiarietà come principio fondativo della società, è ovvio che vuole sovrapporre government e governance. Così succede che nel Paese che ha il Terzo settore più sviluppato d’Europa in rapporto alla popolazione, questo settore è stato escluso da ogni processo decisionale. Un errore gravissimo, che perpetuiamo non solo a livello centrale, ma anche a livello regionale. Il paradosso è che gli altri Paesi invece si comportano in modo molto diverso, pensiamo solo che la Francia ha scelto di destinare il 25% delle risorse dell’Eu Next Generation al Terzo settore. Poi c’è un altro errore.

Quale?
Quello di non applicare il modello della democrazia deliberativa. In casi di questo tipo bisognava istituire del forum deliberativi, i quali avrebbero fornito orientamenti, informazioni e suggerimenti alle autorità di governo in modo da evitare le reazioni a volte scomposte che abbiamo visto. Se io coinvolgo i cittadini prima che le decisioni vengano assunte a livello formale, è evidente che poi questi non si ribelleranno. Se i cittadini fossero stati coinvolti nelle scelte e nelle responsabilità, poi difficilmente avrebbero assunto comportamenti come quelli che abbiamo visto nelle feste di fine anno. Il problema è che in Italia non c’è nemmeno uno straccio di legge che regolamenti i forum deliberativi, che invece ci sono in Francia e in Germania. Infine il terzo errore.

Ovvero?
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza nella sua prima versione si era completamente dimenticato del Terzo settore. Poi, dopo la protesta di tanti, la versione approvata i Cdm destina una manciata, non più di una manciata, di risorse per irrobustire la struttura e la capacità di intervento del Terzo settore. Mantenendo però, ancora una volta, il Terzo settore in un meccanismo ancillare rispetto alla pubblica amministrazione. E questo conferma l’arretratezza culturale di un governo e di una burocrazia che rinuncia al dialogo e all’ascolto di chi stando tutti i giorni sui territori a contatto con i bisogni potrebbe dare un formidabile contributo nella costruzione di politiche davvero efficaci.

Cambierebbe qualcosa con un governo diverso?
Non è questione di destra o di sinistra; è questione di ignoranza, di chi sa che il Terzo settore è nato in Italia nel 1200. E lì stanno le radici della nostra cultura e della nostra società.


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