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Corsi universitari, in Sardegna li frequenta il 5,4% dei detenuti contro la media nazionale dell’1,4%

I dati del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria mostrano una progettualità che può essere imitata nel resto d'Italia. Il lavoro dell'Università di Cagliari conferma che l'istruzione è una delle migliori ricette per abbattere il tasso di recidiva. Ora serve una maggiore attenzione per chi vuole ottenere la licenza media o un diploma di scuola superiore

di Luigi Alfonso

In Sardegna il 5,4% dei detenuti frequenta corsi universitari, contro l’1,4% registrato a livello nazionale. A rivelare i numeri è il Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Maurizio Veneziano, che definisce il fenomeno «fortemente significativo di un’azione condotta in questa regione con il supporto dell’amministrazione penitenziaria nazionale, che ha saputo creare una rete interistituzionale in grado di far salire questo dato a livelli così importanti. In Sardegna siamo capofila di una progettualità che sarà certamente seguita e avallata nel resto d’Italia».

Dallo scorso anno l’Università di Cagliari ha attivato un Polo universitario penitenziario che garantisce la frequenza a corsi e seminari a detenuti e detenute negli istituti di Uta (Cagliari) e Massama (Oristano) che ne facciano richiesta. Un’attività che genera anche un indiretto risparmio di risorse: «Normalmente – aggiunge Veneziano – un detenuto costa allo Stato in media 300 euro al giorno. Tutto quello che spendiamo in cultura, istruzione, lavoro – elementi premianti del trattamento penitenziario che riducono la recidiva una volta terminata la pena – va a formare un grande valore economico».

Il riferimento è all’attività svolta dai Poli Universitari Penitenziari, istituiti dal 2018 in tutta Italia e operativi anche in Sardegna: «Abbiamo iniziato in una ventina di atenei», è il parere di Franco Prina, presidente della Conferenza nazionale dei Poli Universitari Penitenziari della Conferenza dei Rettori italiani. «Oggi siamo 37 e copriamo regioni nuove, come Puglia e Sicilia, in cui stiamo attivando nuove convenzioni con i provveditorati. In totale l’anno scorso erano 920 i detenuti iscritti in università italiane che offrono questo servizio».

«L’unico ascensore sociale che funziona, l’unica realtà che può far cambiare di stato una persona è la cultura, la conoscenza», commenta Maria Del Zompo, rettore dell’Università di Cagliari. «Questo accade nella scuola e negli studi universitari: è con orgoglio che il nostro ateneo, grazie alla professoressa Cristina Cabras (vera anima del progetto, ndr) e alle altre istituzioni coinvolte, porta avanti un percorso difficile di recupero di persone che hanno sbagliato e che hanno voglia di riscattarsi».

Nel 2020 l’Università di Cagliari ha garantito lezioni e seminari ai detenuti che ne hanno fatto richiesta, grazie all’impegno di decine tra ricercatori e unità di personale tecnico-amministrativo. «Negli anni scorsi gli studi scientifici dello staff della professoressa Cabras – precisa Gianfranco De Gesu, direttore generale dei Detenuti e del Trattamento, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia – hanno dimostrato che, quando i detenuti delle colonie penali sarde avevano la possibilità di acquisire competenze attraverso lo studio, il tasso di recidiva crollava. Il Covid ha poi fatto sì che anche l’amministrazione penitenziaria adottasse collegamenti multimediali che hanno consentito in questo periodo la partecipazione dei detenuti ai corsi universitari».

Per don Ettore Cannavera, fondatore della Comunità La Collina e per tanti anni cappellano nel carcere minorile di Quartucciu, «devianti non si nasce, ma si diventa. Soprattutto quando non si ha avuto la possibilità di crescere culturalmente. Per questo l’impegno dell’università nelle carceri è fondamentale: la maggior parte dei ragazzi però non ha accesso a questa opportunità, molti perché vivono ancora nell’analfabetismo. È importante che l’università ci aiuti a far crescere i nostri ragazzi nella cultura e nella stima di sé».

C’è però un altro aspetto su cui bisogna lavorare a fondo, come spiega Maria Grazia Caligaris dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme": «Quello registrato tra i detenuti della Sardegna è un risultato straordinario. Tuttavia, un centinaio di studenti della Casa di reclusione di Oristano-Massama, iscritti alle superiori e ai corsi CPIA, attende inutilmente da mesi di poter studiare. Un problema irrisolto che impedisce a persone che esprimono la volontà di cambiare se stessi di fruire di un diritto costituzionale. Gli apprezzabili risultati universitari sono quasi sicuramente da mettere in relazione all’incremento dei detenuti in alta sicurezza e in 41bis presenti nell’Isola (la più alta percentuale in Italia rispetto al numero di ristretti). Lo studio ad alto livello soddisfa e impegna particolarmente le persone private della libertà con pene lunghe. Ecco perché, a parte Alghero, la presenza di studenti universitari si registra nelle sezioni AS e tra gli ergastolani. Il problema è rendere la scuola e la formazione strumenti per tutti specialmente per tossicodipendenti e analfabeti di ritorno, spesso dietro le sbarre per pochi mesi in attesa di essere trasferiti in Comunità di recupero e/o in centri sanitari».