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Education & Scuola

Come una mosca sul vetro interno di una finestra

Così i ragazzi di quarta superiore immaginano di guardare il mondo nel 2030, in un esercizio di distopia e utopia sulla scuola che verrà. È la sfida del progetto #Leparolechesiamo, la scuola che vogliamo: dare la parola ai ragazzi per pensare e poi realizzare una scuola diversa. Una call to action che realizzerà i tre migliori progetti, perché «noi adulti abbiamo la responsabilità di non togliere ai ragazzi la possibilità di pensare un futuro in cui le cose non saranno come oggi»

di Sara De Carli

C’è la scuola clandestina, perché nel 2030, nell’epoca del post pandemia, i ragazzi sono ancora chiusi in casa. E c’è la scuola che «sbalordisce»: nuova, grande, attrezzata con laboratori di arte, di musica, di informatica e di architettura, con gli spazi sportivi, i professori giovani e in cui ogni studente è libero di scegliere il proprio percorso formativo, «orientando le scelte secondo le proprie passioni». O quella in cui la “riforma del 2027” ha introdotto un sistema di monitoraggio dell’attitudine all’insegnamento e un team di esperti verifica annualmente l’idoneità al lavoro di ciascun docente.

Sono solo alcune delle “utopie” di scuola immaginate da 190 ragazzi di quarta superiore di tutta Italia, coinvolti nella prima fase del progetto #Leparolechesiamo, la scuola che vogliamo. 13 scuole coinvolte, 15 Future Lab realizzati, 190 partecipanti fra novembre e docembre 2020. Obiettivo immaginare la scuola che vogliamo. «10 marzo 2030. Caro Diario, sono passati dieci anni dal primo lockdown causato dal Covid-19», si legge ad esempio. «Il terrorismo mediatico sul virus aveva lentamente insinuato in quasi tutti gli adulti quella che gli psicologi avevano definito come la “sindrome della capanna”: la graduale rinuncia a ogni attività sociale o comunitaria dovuta al lungo periodo di isolamento e alla paura di ammalarsi rendeva quasi impossibile alle persone riprendere a vivere come un tempo. Nonostante le rassicurazioni dei governi, nessuno aveva più voglia di ricominciare e gli adulti insegnavano ai più piccoli la paura e la diffidenza verso chiunque. […] Sono passati dieci anni. Ora tutto è programmato per una eccellente formazione individuale: nessuno è però capace di interagire con altri individui e ancor meno con una collettività. Le nostre case sono diventate microcosmi, “capanne sicure”, abitazioni domotiche dove davvero non si può immaginare di desiderare altro, anche se oltre questi monitor e oltre quelle porte c’è un mondo. Un mondo al quale mi sembra di appartenere nella stessa misura di una mosca che passeggia sul vetro interno di una finestra».

I Future Lab sono stati coordinati da TraiLab, il Laboratorio di studi di eccellenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Emanuela Confalonieri, Ivana Pais e Giuseppe Scaratti), all’interno di un progetto più ampio, #Leparolechesiamo, la scuola che vogliamo promosso da Mondadori Education, Intesa Sanpaolo e Università Cattolica. Il progetto entra ora nella fase due, con un omonimo concorso rivolto alle scuole di tutta Italia: una call to action che offre agli studenti la possibilità di fare la differenza nel realizzare la scuola del futuro, dando loro parola per avviare il cambiamento. Bambini e ragazzi avranno tempo fino al 16 aprile per scrivere le loro proposte: un board di esperti delle istituzioni coinvolte selezionerà i 10 progetti più interessanti, che verranno sottoposti al giudizio della community di Mondadori Education e Nuovo Devoto-Oli. I tre progetti vincitori, nella terza fase del concorso, verranno presentati alle istituzioni scolastiche – Ministero in testa – e poi, attraverso la ricerca di opportuni finanziamenti, accompagnati alla realizzazione.

Il futuro è diverso dall’oggi

«Quando si chiede agli adolescenti di riflettere e di pensare, a volte ci stupiscono, riuscendo a ideare progetti davvero interessanti, testimonianza della forza creativa di questa generazione di giovani a cui spesso poca voce viene data, poca possibilità di partecipazione viene proposta, col rischio di renderli più spettatori che non protagonisti del futuro che più cha a noi adulti, a loro appartiene», scrivono Emanuela Confalonieri, Ivana Pais e Giuseppe Scaratti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore nell’introduzione dell’ebook #Leparolechesiamo, la scuola che volgiamo, che raccoglie i racconti distopici e utopici che gli studenti hanno prodotto durante i Futur Lab. Perché spesso abbiamo sentito dire “diamo la parola ai ragazzi”, meno abbiamo visto farlo. E più raramente ancora farlo con una metodologia scientifica. I Future Lab invece sono un metodo ideato da Robert Jungk e Norbert Mullert (1987), proposto in Italia da Vincenza Pellegrino (2018). Si immagina la distopia e la si trasforma in utopia. La distopia parte dal problema più grave della scuola di oggi e ci si immagina “dove finiremo” continuando così. Ecco le storie distopiche, ambientate in un 2030 in cui i problemi del presente non sono stati risolti, ma al contrario, si sono aggravati. La seconda fase è quella dell’utopia: partendo da una storia distopica i ragazzi hanno provato a costruire una storia speculare, in uno scenario in cui il problema è stato risolto.

Un’utopia che è il rovesciamento della distopia ma che accoglie desideri, fantasie, visioni alternative di un mondo in cui le criticità siano state risolte. La terza fase ha consentito di muovere un primo passo per avvicinare il presente alla visione della storia utopica, invitando i ragazzi a identificare progettualità – anche embrionali – che muovano nella direzione dei futuri da loro desiderati e poi di provare a immaginare un progetto che li veda come protagonisti. È la fase dei possibili emergenti, in cui si cerca di rafforzare la capacità di aspirare. «A fronte di distopie anche molto forti, ci ha colpito che le utopie raccontate dai ragazzi non erano neanche tanto utopie, immaginano una scuola che forse esiste già, almeno in parte. Ci dicono “attenzione, non chiediamo nulla di così irrealistico, non mettiamo in discussione la scuola, chiediamo una scuola che funziona e che forse non ci vuole poi così tanto a raggiungere», ha sottolineato la professoressa Confalonieri. «Noi come adulti abbiamo il dovere di garantire ai ragazzi lo spazio di una progettazione futura, perché questo dal punto di psicologico ed evolutivo è necessario per crescere. Il rischio altrimenti è di avere adolescenti e giovani che non rischiano, che non avranno quel senso di imprenditività, del mettersi in gioco che nasce proprio dallo sperimentarsi nel pensare un futuro diverso che è proprio del periodo adolescenziale, difficile se non lo provi a fare in quel periodo riuscire a farlo dopo. Famiglie e scuola hanno questa responsabilità, pur nelle fatiche del quotidiano, di non togliere ai ragazzi la dimensione di poter pensare il futuro come futuro di cambiamento, in cui le cose non saranno come sono oggi».

La scuola del futuro

Ma com’è la scuola che i ragazzi del 2020 immaginano? Tre gli elementi di fondo evidenziati dai docenti della Cattolica come ricorrenti e caratterizzanti. Primo, gli studenti pensano che i programmi siano anacronistici e sognano una scuola che li accompagni nell’individuare e valorizzare i propri interessi e trasformarli in competenze. Negli scenari utopici gli studenti disegnano le proprie uniformi, le campanelle suonano ogni giorno una canzone diversa scelta dai ragazzi, e soprattutto sono i ragazzi a comporre il loro piano di studi.

Secondo, gli studenti sentono il bisogno di spazi di approfondimento di tematiche legate alla loro crescita da trattare in gruppo con esperti che li aiutino a conoscersi meglio sia come persone (affettività, sessualità, insicurezze, scarsa autostima), che come gruppo (imparare a stare insieme e a rispettarsi, a riconoscere le differenze e a rispettarle). Inclusione è una delle parole più ricorrenti nella scuola del futuro: nelle storie inventate dai ragazzi sulla scuola del 2030, i protagonisti sono ragazzi stranieri, sovrappeso, dislessici, con disabilità fisiche, con difficoltà familiari… Terzo, gli studenti soffrono oggi la lontananza relazionale con i professori: negli scenari della scuola utopica del 2030 i professori sono giovani, appassionati della propria materia e soddisfatti del proprio lavoro, capaci di entrare in relazione con il singolo studente e non solo con il gruppo classe. Una nota: la scuola del futuro sognata dai ragazzi è poco tecnologica. Ci sono dispositivi già oggi disponibili, come i tablet, ma nessuna soluzione tecnologica avveniristica. Come dire che la rivoluzione per i ragazzi non passa dalla tecnica ma dalle relazioni tra gli studenti, con i professori e con l’esterno. Quello sì, tanto che la scuola è quasi sempre una scuola aperta, che va nella società, con lezioni di storia nei musei, quelle di scienze al parco e lezioni di biologia negli ospedali.


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