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Le ong e il Covid: il 68% nel 2020 avrà un bilancio in perdita

L’81% delle ong riscontra un calo della raccolta fondi nel 2020 e il 68% avrà un bilancio in perdita. Il Covid-19 fa segnare una battuta d’arresto dopo un triennio in crescita per la cooperazione internazionale. «Non ci siamo mai fermati, ma dovremo rilanciare ancora perché il 2021 non si annuncia meno carico di sfida dell’anno scorso»

di Redazione

Le ong hanno pagato l’effetto Covid-19 più di altre organizzazioni. Secondo i primi dati di una survey realizzata da Open Cooperazione su 84 organizzazioni, il 68% delle ong prevede un bilancio in perdita nel 2020. In particolare, il 28% delle ong prevede che il risultato d’esercizio nel 2020 registrerà un calo entro il 10%, mentre il 20% avrà un calo compreso fra il 10 e il 20% e infine il 20% perderebbe più del 20%.

A soffrire è stata in particolare la raccolta fondi, che la pandemia ha spostato in maniera importante verso la sanità, con la Protezione Civile e gli ospedali con le loro fondazioni in prima linea (vedi il 6° Italy Giving Report di Vita). Le ong, nonostante siano sempre più impegnate anche in Italia, restano conosciute principalmente per il loro lavoro all’estero e in questo cointesto sono state penalizzate, pur avendo il 61% di esse messo in campo progetti specifici legati all’emergenza Covid-19. Le campagne di raccolta fondi straordinarie non sono riuscite a compensare l’emorragia di donazioni: l’81% delle organizzazioni riscontra un calo della raccolta fondi e addirittura per il 40% è diminuita più del 20%. Solo il 7% delle ong è riuscita ad aumentare la raccolta oltre il 10% rispetto ai livelli pre-Covid.

Il 57% delle organizzazioni ha cambiato o rinnovato la sua strategia e le priorità a seguito della pandemia. Nella maggioranza dei casi lo hanno fatto identificando nuove aree tematiche di intervento (51%) e mettendo in campo specifici progetti legati all'emergenza Covid-19 (61%). Il 60% delle organizzazioni ha iniziato a operare sul fronte pandemia riconvertendo risorse già esistenti, il 58% ha invece mobilitato nuove risorse da privati e solo il 37% è riuscita ad ottenere finanziamenti istituzionali per i progetti dedicati alla pandemia. Per superare le perdite registrate, un’organizzazione su tre ha attivato la cassa integrazione straordinaria (FIS), il 40% è riuscito a ottenere bonus e incentivi dai decreti Covid, il 33% ha rinunciato a consulenze esterne già programmate e il 12% ha dovuto dilazionare o ritardare il pagamento degli stipendi.

«Non ci siamo mai fermati nel 2020», commenta Giampaolo Silvestri, segretario generale di AVSI. «Abbiamo voluto essere anticiclici: abbiamo promosso la ricerca di nuove soluzioni e attività innovative che permettessero di non sospendere i progetti; abbiamo promosso una comunicazione proattiva, insieme a campagne di raccolta fondi che hanno raggiunto nuovi soggetti; abbiamo aumentato la cura della qualità dei progetti, promuovendo un modo di lavorare sempre più integrato tra quartier generale e management regionale. E dovremo rilanciare ancora, sia un approccio multistakholder, sia nuove partnership, perché il 2021 non si annuncia meno carico di sfida dell’anno scorso».

Tutto questo a fronte di una situazione pre-Covid del tutto positiva per le organizzazioni della società civile italiana impegnate nella cooperazione internazionale e nell’aiuto umanitario.

Nel 2019 il valore economico delle ONG italiane superava il miliardo di euro, con un ulteriore incremento del 3% rispetto al 2018, che consolidava la crescita del 19% sull’ultimo triennio. Stesso trend anche per le risorse umane impiegate nel settore, più 11% dal 2018 e più 21% sul triennio. Arrivava infatti a 1.022.838.429 di euro la sommatoria delle entrate registrate dalle principali ONG italiane nel 2019, con il 62% delle risorse arrivate da donatori istituzionali e il restante 38% da donatori privati. Stabile la fetta di risorse derivanti dall’Agenzia italiana per la Cooperazione AICS e dal MAECI (35%), così come quella dall’Unione Europea (35% – UE+Echo), il 17% arriva dagli enti territoriali attraverso la cooperazione decentrata e il restante 12% da agenzie delle Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali. I fondi privati, oltre a quelli derivanti dalle donazioni liberali individuali, arrivano attraverso il 5 per mille (35%), da donazioni o partnership con le aziende (26,7% in calo di 4 punti), dalle Fondazioni (29,7% in aumento di quasi 5%) e dalle chiese (8,7%).


La carta geografica della cooperazione internazionale delle ONG italiane vede in vetta i paesi africani: Kenya, Mozambico, Senegal, Burkina, Etiopia e Congo restano i paesi più frequentati e aiutati dalle ong. Gli unici paesi non africani nella top 10 sono Brasile, Palestina, Bolivia, India e Perù. Educazione e istruzione restano i temi predominanti nei progetti delle ong (85%), il 73% si occupa di capacity building e formazione e il 72% di salute. A seguire l’aiuto umanitario (69%) e il supporto allo sviluppo rurale (65%).

Nel 2019 i bilanci economici delle 10 più grandi ONG italiane crescono di 28 milioni di euro (+4,5%). Torna a crescere Emergency (più 28%) e continuano a correre anche Medici con L’Africa CUAMM (più 19,7%) e Fondazione AVSI (più 18%), mentre si arresta la crescita esponenziale di Save the Children (attestata sui 113 milioni). Dal punto di vista del numero di dipendenti e/o collaboratori (inclusi operatori in Italia e all'estero), le prime ong sono Medici con l’Africa CUAMM, Intersos, Emergency, Avsi e Terre des Hommes.

Ma come pensano le organizzazioni di superare la crisi e quali azioni stanno mettendo in campo per ripartire? Le ong italiane stanno cogliendo l’occasione per cambiare il modo di realizzare le loro attività tradizionali (63%) e in molti casi hanno scelto di cambiare le tipologie di attività (23%) cimentandosi su fronti nuovi e/o offrendo nuovi servizi (44%). A cambiare non è solo il “come”, ma anche il “con chi”: oltre un terzo delle organizzazioni dichiara di investire nell’intensificazione o creazione di nuovi partenariati a livello nazionali e internazionale. Smart working e digitale sono le prime scelte delle organizzazioni per superare la crisi, il 72% dei rispondenti si sta cimentando nella riorganizzazione degli spazi e delle modalità di lavoro, premendo sull’acceleratore della trasformazione digitale. Il 58% delle organizzazioni renderà strutturale il lavoro agile oltre il Covid-19 e il 41% ha messo in campo l’utilizzo strutturale di strumenti di condivisione del lavoro (Planner/Slack/Teams, ecc…). Molti avvertano la necessità di rinnovare la pianificazione strategica per i prossimi anni (30%) mantenendo però la propria identità: l’ipotesi di fusioni/incorporazioni tra enti è presa in considerazione solo dal 9 % delle organizzazioni.

Per Christian Elevati, fondatore di Mapping Change, che ha collaborato alla realizzazione dell’indagine di Open Cooperazione, «sono sempre più numerose le organizzazioni che ci contattano per strutturare un percorso di pianificazione strategica o per accompagnarle nell’elaborazione di un Bilancio Sociale. La spinta arriva per ragioni legate alla Riforma del Terzo Settore e agli effetti della pandemia, che in alcuni casi hanno portato ad accelerare processi di innovazione già in corso». Per Silvia Stilli, portavoce di AOI (Associazione delle organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionale), tuttavia «è necessario disegnare interventi specifici che investano sul nostro settore e coinvolgano le organizzazioni della società civile mettendo alla prova la loro capacità di reinventarsi e di superare la crisi indotta dal Covid-19. In sinergia con quanto stiamo elaborando con il Forum del Terzo Settore, le OSC chiedono di essere prese in considerazione a tutti gli effetti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per l’utilizzo strategico delle risorse del Next Generation EU».

Photo by Ninno JackJr on Unsplash


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