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Economia & Impresa sociale 

La morsa economica di Joe Biden

La fine della pandemia e la fine di sussidi e interventi emergenziali nell'economia potrebbe generare una crisi senza precedenti? Se lo chiedono in molti e, a oggi, le risposte mancano

di Christian Marazzi

Lo stimolo fiscale della nuova amministrazione democratica, combinato con la politica ultraespansiva della Federal Reserve, rischia di surriscaldare l'economia statunitense? Non c'è forse il pericolo di una ripresa dell'inflazione, con il conseguente aumento dei tassi d'interesse? E se, per evitare gli effetti devastanti di un prematuro aumento dei tassi d'interesse, come sembra volere la Banca centrale americana, l'iniezione mensile di quantità enormi di liquidità monetaria (120 miliardi di dollari al mese d'acquisto di Buoni del Tesoro e obbligazioni private) dovesse surriscaldare i mercati finanziari, aggravando ancor più le disuguaglianze sociali?

Sono domande, certamente pertinenti, che si pongono illustri giornali come il Financial Times o The Economist, o Larry Summers, professore della Harvard University, già Segretario al Tesoro dell'amministrazione Clinton, secondo il quale “se ci liberiamo del Covid, avremo un'economia in fiamme”. L'aritmetica delle misure d'aiuto all'economia americana è abbastanza chiara: nel 2021 gli interventi pubblici di Biden (1.900 miliardi di $), sommati a quelli di dicembre di Trump (935 miliardi di $), saranno equivalenti a quelli versati nel corso del 2020, vale a dire uno stimolo pari al 9% del PIL. Nella manovra ci sono versamenti diretti alle famiglie, aumenti nelle indennità di disoccupazione, finanziamenti cospicui alla sanità e alle finanze locali per accelerare le vaccinazioni.

Si tratta di misure urgenti, a breve termine, che non tengono conto del piano di investimenti infrastrutturali, simile al New Deal rooseveltiano, che la nuova amministrazione ha intenzione di realizzare nel prossimo futuro.

Dato che questa crisi pandemica è molto particolare, nel senso che ad esempio ha colpito alcuni settori molto più di altri, ci si chiede se il volume totale degli stimoli all'economia non sia sovradimensionato rispetto alla reale contrazione della stessa economia nel corso di questi mesi. Ci si chiede, anche, se i risparmi cumulati in questo stesso periodo verranno liberati, cioè spesi, una volta superate le costrizioni del distanziamento. E che ne sarà degli effetti del moltiplicatore keynesiano, tale per cui l'aumento della spesa pubblica ingenera un aumento più che proporzionale della domanda aggregata? Insomma, c'è un rischio reale di ripresa dell'inflazione? A queste domande non si può rispondere in modo univoco, anche perché le manovre di spesa vanno approvate dai due rami del Congresso, e quindi è probabile che, visti gli equilibri politici, verranno non poco ridimensionate. E poi, di fronte a una tale complessità di questioni, vien da citare il Guicciardini: “de' futuri contingenti non v'è scienza”.

Ma due cose si possono forse dire. La prima è che l'aumento dei prezzi, anche quando si dovesse manifestare, andrà comparato con una base molto più bassa. E laddove i prezzi stanno aumentando a causa dei colli di bottiglia nelle catene del valore, in fase postpandemica quegli stessi prezzi dovrebbero tornare a diminuire.

L'altra cosa è che, dopo anni di stagnazione secolare, di aumento delle disuguaglianze, di esuberanza irrazionale sui mercati finanziari, una svolta delle politiche economiche fuori dalle politiche austeritarie è più che necessaria. La storia, quella della depressione degli anni trenta e del New Deal di Roosevelt, lo dimostra.


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