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Whatsapp, email e social: le parrocchie ai tempi del Covid

Una ricerca dell'Università Cattolica di Milano racconta di comunità parrocchiali e oratori sempre più 2.0. L'indagine indaga come questi luoghi di relazione e comunità all'ombra del campanile lo siano anche sui social e al tempo della pandemia. L'indagine coordinata dalla docente Lucia Boccin durerà tre anni

di Luca Cereda

Le parrocchie e gli oratori italiani si scoprono più social. O meglio il mondo digitale – il web e i social in primis – non vengono più guardati come «l’oggetto misterioso e pericoloso di un tempo. Complice di questo risultato è l’attuale pandemia da Covid-19», spiega Lucia Boccin, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università Cattolica che ha coordinato un team multidisciplinare di docenti.

«La ricerca, a dire il vero, intendeva “indagare” sul fenomeno della cosiddetta “società liquida” – ammette -, cioè incapace di creare relazioni e comunità, individuando luoghi dove al contrario la cura della relazione e della comunità è presente. La scelta quasi naturale è stata la parrocchia, osservando nel contempo anche il rapporto di quest’ultima con l’uso dei social». L’indagine partita all’inizio del 2019 e che nel corso del suo svolgimento si è imbattuta nella pandemia, evento che ha dato una svolta alla ricerca.


420 comunità parrocchiali sono “andate online”, prima – ma sopratutto a causa – della pandemia

L’indagine della Cattolica di Milano, che avrà una durata triennale, nella sua prima parte è stata condotta tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, attraverso la somministrazione online di un questionario che ha raccolto i dati relativi a 420 parrocchie italiane – per il 68% concentrate nelle regioni del Nord, il 15,2% nel Centro e il 16,7 nel Sud e Isole -.
«Con la pandemia, relazionarsi con gli altri, partecipare alla vita comunitaria, alle attività pastorali e anche diffondere informazioni relative a esse: tutto giocoforza si è dovuto fare sempre di più attraverso chat, post sui social ed email. Oppure sulle piattaforme di incontro come Zoom o Meet». Il Covid ha cambiato gli spazi, le “piazze sociali” delle comunità e delle parrocchie: non più le piazze davanti alle chiese e i cortili dei chiostri o degli oratori, «ora infatti una parrocchia su due usa Facebook e il 70% dei parroci che ha risposto ai nostri questionari usa tecnologie digitali per entrare in rapporto con gli altri. Un processo accelerato da lockdown e distanziamento», spiega la professoressa Boccacin.

Una ricerca “anticipatrice”, cambiata in corsa

Nei giorni più drammatici della pandemia tutti ci siamo resi conto di quanto fossero importanti le relazioni sociali e di quanto mancassero, al nostro vivere quotidiano, gli ambiti che rendevano possibili e accessibili tali relazioni, a volte coincidenti con luoghi e spazi fisici, a volte identificati a livello simbolico.
«Con questa ricerca volevamo verificare, con un approccio controcorrente, che l’idea di una società liquida con rapporti evanescenti non fosse l’unica realtà esistente, ma che al contrario esistono luoghi in cui la cura dei rapporti e le relazioni sono fondanti, come, per esempio, le parrocchie. Poi ci siamo ritrovati a studiare una situazione nuova e impensabile». Non nasconde la stupore e il cambio di scenario in cui ha operato la coordinatrice della équipe multidisciplinare composta da diversi docenti dell’Università Cattolica, che ha condotto la ricerca. La funzione principale della parrocchia è infatti quella di offrire senso di appartenenza alla comunità, dando una prima risposta al quesito di base, di certo la pandemia ha spostato l’attenzione sul ruolo dei social all’interno delle parrocchie.

Quali sono i cambiamenti della pandemia sulle parrocchie studiate

Mai come nella e dalla scorsa primavera le parrocchie hanno messo in campo una pastorale nuova e innovativa che ha avuto nei social network soprattuto lo strumento per poter continuare a sentirsi comunità, soprattutto nelle settimane in cui le Messe sono state celebrate senza la presenza dei fedeli e gli italiani erano bloccati in casa.

È allora che il team di docenti e ricercatori della Cattolica hanno proposto un secondo questionario – «questa volta rivolto solo alle parrocchie che avevano risposto al primo questionario, per leggere i cambiamenti che la situazione della pandemia ha provocato», continua la Boccaccin. La seconda istantanea ha fatto emergere così che oltre una parrocchia su due utilizza con regolarità WhatsApp e Telegram (il 56%), la mail (il 54%) e una pagina Facebook (il 50%) per mantenere i contatti e creare relazione nella comunità parrocchiale. Decisamente minoritario l’uso di Twitter (il 15%) e di Instagram (il 26%).

Le parrocchie sono definitivamente 2.0?

Un altro dato interessante è la suddivisione delle parrocchie rispetto alle finalità con cui si usano i social. Ecco così la “parrocchia 1.0”, cioè quella che usa i social solo per comunicare informazioni – gli orari delle Messe o i giorni di catechismo, per esempio -, che forma il 24% del campione censito.
«C’è è poi la “parrocchia 2.0”, nella quale l’uso dei social serve proprio per entrare in relazione e per creare interazione tra i vari soggetti. A questa tipologia appartiene ben il 70% del campione», un dato davvero sorprendente analizza la professoressa Boccaccin, sopratutto rispetto a quanto presentava il panorama pre-Covid.
Infine vi sono le “parrocchie 3.0”, dove attraverso l’uso dei social si collabora e si partecipa alla vita parrocchiale. Anche se nel campione è solo il 6%, di certo rappresenta una realtà avanzata e interessante per gli obiettivi della ricerca che ha a disposizione ancora un anno e mezzo per concludere il suo studio.

Parrocchie costruttrici di comunità anche online
«Già da questi primi dati emerge un contributo distintivo delle parrocchie in favore della costruzione sia della comunità locale, sia di quella simbolica in cui le relazioni interpersonali e digitali svolgono un ruolo cruciale. Tale apporto, che da sempre innerva capillarmente il tessuto del nostro paese, oggi potrebbe costituire un tesoro nascosto che merita di essere meglio disvelato, soprattutto a fronte degli effetti prodotti dall’emergenza sanitaria in termini di isolamento sociale», conclude la professoressa Boccacin, curatrice della ricerca.
 L’obiettivo dei ricercatori dell’ateneo punta adesso allo studio delle cosiddette “buone pratiche”, cioè quelle realtà parrocchiali nelle quali l’uso dei social è uno strumento per fare pastorale senza abbandonare l’attività in presenza. Insomma «buone pratiche» che evidenzino esempi di “uso composito” di strumenti nella pastorale.


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