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Sostenibilità sociale e ambientale

Giraud: non sarà la finanza a sostenere la transizione ecologica

Rileggiamo un passaggio cruciale del pensiero dell'economista e gesuita autore di "Transizione ecologica": "la crescita verde trainata da investimenti privati in ricerca e sviluppo è per buona parte un mito: senza un impulso politico che vada al di là della logica finanziaria di breve termine questi investimenti non si faranno mai". Lunedì alle 20,30 Giraud in un evento pubblico online dialogherà con Stefano Arduini, direttore di Vita; Massimo Ramundo, redattore di Nigrizia; Cinzia Vecchi, direttrice organizzativa del Festival Francescano e Lorenzo Fazzini, direttore di Editrice missionaria italiana

di Gaël Giraud

La transizione ecologica è la possibilità di creare concretamente una società sostenibile nel terzo millennio. Rinnovamento termico degli edifici, moneta considerata come bene comune, mobilità verde, stop all’energia prodotta da sorgenti fossili: questi i punti qualificanti della proposta, che può trovare uno sbocco concreto con l’annuncio di un ministero ad esso dedicato nel nascente nuovo governo italiano.

Gaël Giraud, economista, gesuita, direttore Georgetown Environmental Justice Program, Washington, negli anni scorsi ha scritto un libro dal titolo Transizione ecologica, edito da Emi, in cui affronta nel dettaglio questa visione economica e politica che si basa su un’idea ben precisa di società: quella dei beni comuni, opposta e lontana dal turbocapitalismo finanziario che negli ultimi decenni tanti guai ha causato al pianeta e ai suoi abitanti. Sarà lui il protagonista di un webinar lunedì 15 febbraio ore 20.30. Dialogheranno con Giraud Massimo Ramundo, redattore di Nigrizia, Stefano Arduini, direttore di Vita, Cinzia Vecchi, direttrice organizzativa del Festival Francescano, e Lorenzo Fazzini, direttore di Editrice missionaria italiana. Iscrizioni gratuite a questo link. A tutti gli iscritti, anche chi non segue il webinar in diretta, al termine verrà mandata la registrazione audio-video dell’incontro.

Qui uno dei passaggi fondamentali de la Transizione ecologica

Ma come siamo arrivati a questo punto? Il presente libro vorrebbe formulare una diagnosi che consenta di rispondere a questa semplice domanda. Sarebbe naturalmente illusorio caricare sul solo settore bancario l’intera responsabilità dell’attuale impasse: siamo tutti complici, se non altro attraverso i nostri risparmi, una parte rilevante dei quali è stata collocata dalle banche sui mercati finanziari. La quota di responsabilità degli eccessi della finanza è tanto più decisiva perché largamente occultata, rimossa dal dibattito pubblico, a tutto svantaggio dei debiti sovrani: ma la crisi europea non è in primo luogo una crisi delle finanze pubbliche bensì della finanza non regolata. E ora, come uscire dall’impasse? È la seconda domanda cui vorremmo portare qualche elemento di risposta. È importante distinguere ciò che è urgente da ciò che è prioritario. A conti fatti, potrebbe darsi che l’urgenza rappresentata da una ricapitalizzazione sostenibile del settore bancario europeo non sia neppure prioritaria: la priorità assoluta per le nostre economie consiste nel trovare i mezzi per far girare una macchina economica che potrebbe divenire deflazionistica per decenni – e questo significherebbe maggior disoccupazione e precarietà. Ora, la questione energetica compromette pesantemente ogni crescita fondata sull’aumento dei consumi di energia fossile – a meno che non si continui ad approfondire il deficit commerciale europeo. E questa è una sfida ben reale, indipendente dall’agitarsi dei nostri politici e che potrebbe aiutarci a uscire dalla psicosi in cui ci costringe la rimozione del ruolo della finanza di mercato. Se è praticamente certo che una politica di riforme strutturali precipiterà il nostro continente in una recessione paragonabile a quella degli anni Trenta, è purtroppo illusorio immaginare che una politica di sostegno fiscale alla «crescita», anche su scala europea, permetterà di creare molti posti di lavoro: nella migliore delle ipotesi alimenterà la ripresa dei Paesi emergenti, come fu il caso nel 2009.

Un cammino per sfuggire alla recessione (la quale minaccia di coinvolgere l’insieme del continente europeo, Germania compresa) è quello della transizione ecologica. A cominciare dal rinnovamento degli edifici dal punto di vista termico e dalla mobilità. Un programma di questo tipo creerebbe molti milioni di posti di lavoro, diminuirebbe la nostra dipendenza energetica, contribuirebbe a risanare la nostra bilancia commerciale, favorirebbe la reindustrializzazione delle filiere esternalizzate e costituirebbe probabilmente lo strumento migliore di lotta all’inflazione. Il «motore» dell’inflazione nella nostra economia globalizzata non è, infatti, il circuito prezzi-salari, ma è il prezzo dell’energia. Questa transizione richiede l’ambizione di aprire diversi cantieri, certo, ma per i quali il know-how e la volontà di progredire delle grandi imprese industriali europee sono ben reali

Che cosa manca, allora? Mancano i finanziamenti, è chiaro. Ed è chiaro che il settore bancario privato europeo, già in gran parte sinistrato, non finanzierà un tale programma. Neppure i fondi sovrani mediorientali finanzieranno settori la cui redditività strettamente finanziaria è troppo debole: mediamente il 3% su dieci anni…

In altre parole, la «crescita verde» trainata da investimenti privati in ricerca e sviluppo è per buona parte un mito: senza un impulso politico che vada al di là della logica finanziaria di breve termine questi investimenti non si faranno mai. Come finanziarli? È questa, in fondo la terza domanda chiave del libro. Per poter rispondere è necessario convincersi che l’idea di un intervento finanziario che agisce «dall’esterno» sulle nostre economie, ad opera dei «mercati anonimi», è una mera illusione. No, le crisi finanziarie non sono una fatalità alla quale rassegnarci (come le popolazioni dell’Est asiatico alle quali, ogni anno, uno tsunami del Pacifico può spazzare via le fragili abitazioni). Certo, ripudiare l’illusione finanziaria richiede da parte nostra un autentico «cambio di civiltà». Ma se noi crediamo che l’Homo sapiens europeo vale più dell’Homo œconomicus dei mercati finanziari, allora vale la pena impegnarsi in questo cammino di conversione. Un cammino che passa per l’esperienza della riconciliazione delle nostre società con lo Spirito che è all’opera nella nostra storia.


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