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Politica & Istituzioni

Il Governo Draghi sui giornali

La chiave della giornata è che il Governo Horror (copyright Di Battista) parte con molti fischi dalle curve dei tifosi. La quasi unanimità parlamentare non si rispecchia nei commenti della stampa italiana. Anche perché Draghi non concede nulla.Altro che Conte Ter. Casalino, dove sei? Ecco i principali titoli e qualche commento

di Alessandro Banfi

Quella di Draghi è una squadra folta di competenze ma nel rispetto dell’equilibrio dei tanti partiti che dovranno dare il loro voto (vedi articolo di ieri sera). Ma vediamo come è stato recepito dai quotidiani della mattima.

La chiave della giornata è che il Governo Horror (copyright Di Battista) parte con molti fischi dalle curve dei tifosi. La quasi unanimità parlamentare non si rispecchia nei commenti della stampa italiana. Anche perché Draghi non concede nulla. Non un’indiscrezione il giorno e le ore prima, non uno spunto per le migliaia di interventi in rete e le centinaia di ore di inutili dirette tv. Prima rivoluzione copernicana. Altro che Conte Ter. Casalino, dove sei? Così Il Fatto dell’affranto Marco Travaglio torna sull’Aventino, dopo due fasi di appoggio ai governi, col titolone: “Tutto qui?” Come una partner insoddisfatta. Dall’altra parte dello schieramento editoriale, sul populismo di destra critiche molto simili da Libero (“E sarebbero questi i migliori?”) e da Il Tempo “Non è un Governo da Draghi”, con La Verità che pure aveva incalzato la Meloni perché entrasse nel Governo che sceglie: “Il Draghi uno sembra il Conte ter”. Più ggettivi e benevoli i giornali meno schierati: “Task force Draghi” per Repubblica, un classico “Ecco la squadra” de Il Corriere, entusiasta La Stampa “Crepi il lupo”. E felice Il Giornale: “Fine dei dilettanti”. Per il Messaggero è “Un governo per la ripartenza”, e per il Quotidiano Nazionale “Un governo di responsabilità nazionale”. Il Manifesto diverte sempre: “Dragstore”, gioco di parole per dire che il nuovo Presidente del Consiglio “vende” di tutto… L’impressione è che ci troviamo di fronte ad un vero terremoto senza precedenti nella storia politica del nostro Paese. Forse l’unico paragone possibile è quello coi Governi Andreotti 1976-1979. Come sempre, l’Italia è un laboratorio cruciale di strategia politica. Fummo i primi (vi ricordate l’entusiasmo di Bannon per il governo giallo-verde?) a varare un governo completamente populista solo due anni fa. Oggi siamo i primi nel mondo a cercare una strada di riforme, rilancio e innovazione POST populista. Guidati dal più autorevole “civil servant” che l’Italia abbia dato al mondo negli ultimi anni. La cartina di tornasole di questo notevole cambiamento di paradigma è rappresentata dai tanti malcontenti che suscita: soprattutto nelal pancia dei due partiti maggiori populisti, come Lega e 5Stelle.

I COMMENTI

Marco Tarquinio su Avvenire: «Un ritorno al senso (costituzionale e civile) del limite. E già questo è un incredibile progresso, che dopo la stagione de 'pieni poteri' invocati o evocati gli uni contro gli altri potrebbe favorire – è una lancinante urgenza democratica – un'evoluzione finalmente positiva del legittimo e necessario confronto tra proposte politiche anche seriamente alternative. È nato, così, il governo giallo-rosso-verdeazzurro. E neanche il più ottimista degli analisti all'inizio di questa storia avrebbe firmato la previsione di un grande abbraccio finale in nome del prioritario interesse nazionale ed europeo».

Antonio Polito sul Corriere della Sera: «Nel governo Draghi ha inserito figure di primissimo piano. Due per tutti: Vittorio Colao, supermanager il cui aiuto era stato prima sollecitato e poi messo da parte dal precedente premier. L'altro è Roberto Cingolani, lo scienziato oggi più avanti in Italia sul fronte dell'innovazione . La nomina di un ex Ragioniere dello Stato come Daniele Franco al Tesoro, dell'ex presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia alla Giustizia, del professor Giovannini alle Infrastrutture, integrano un team tecnico di alto livello. La scelta come sottosegretario alla presidenza di Roberto Garofoli, il «civil servant» che fu praticamente «cacciato» dal primo governo Conte, ha una valenza simbolica, oltre che un'alta affidabilità tecnica (…)

Ugo Magri su La Stampa: «A Sergio Mattarella è riuscita un'impresa ai limiti dell'impensabile: mettere insieme un governo di persone stimate e rispettabili, con un tasso di competenza del tutto inusuale, guidato dall'unico vero fuoriclasse che all'estero ci viene riconosciuto, e con il sostegno dell'intero Parlamento (tranne i Fratelli d'Italia, che però non vedono l'ora di dare anche loro una mano). Per trovare un altro governo così largamente supportato bisogna risalire addirittura alla «solidarietà nazionale», quarto governo Andreotti, in piena emergenza terrorismo».

Una chiave però molto interessante la fornisce Repubblica che con Tommaso Ciriaco ci spiega che sì Mattarella e Draghi, come da Costituzione, hanno scelto i politici rispettando una quota partitica, ma attraverso il filtro del NON POPULISMO: «La scelta dei ministri sembra quasi scientifica: dentro gli europeisti, fuori i sovranisti. Spazio alla Lega di Giancarlo Giorgetti, tantissime risorse da gestire. Dentro anche un giorgettiano di ferro come Massimo Garavaglia. Ed Erika Stefani, più vicina a Luca Zaia. Il leader caduto al Papeete non gradisce, non può gradire che decidano altri in casa sua. In tv plaude ai ministeri ottenuti dal Carroccio, ma punzecchia: «Lamorgese e Speranza? Cambiano marcia o avranno bisogno di aiuto». E i salviniani restano a bocca asciutta anche dentro Forza Italia. Trionfano, invece, gli unici che al leghista si erano opposti: Renato Brunetta, Maria Stella Gelmini, Mara Carfagna. Sono gli stessi che non hanno sostenuto il "Conte ter", pur chiedendo larghe intese. E che hanno aperto il varco al nuovo esecutivo. Dietro, neanche in penombra, si staglia il profilo di Gianni Letta. Sembra la fotografia di un centrodestra europeo, incardinato nel Ppe. Sempre che Salvini non strappi il filo invisibile di Draghi».


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