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Acli, Manfredonia sfida Rossini: corsa a due per la presidenza

Da una parte il numero uno del patronato, dall’altra il presidente uscente. La doppia intervista

di Redazione

Il Congresso delle Acli ha preso il via il 19 dicembre scorso, dopo mesi di rinvii dovuti alla pandemia. In vista dell'appuntamento l’Osservatorio Studi delle Acli ha elaborato delle tesi congressuali intorno a cui animare il dibattito e incentrate sul ruolo delle Acli nella società di oggi frammentata e scissa: l’associazione è chiamata a “ricucire” alcuni strappi che bloccano il Paese: lo strappo tra Pensiero e Azione, tra Economia e Ambiente, tra Lavoro e Sapere, tra Periferia e Comunità e tra Politica e Democrazia. Per dare modo agli organi che guidano l’associazione di cambiare tempi e soprattutto modi di elezione del presidente e del consiglio nazionale, si è reso necessario “spalmare” l’assise congressuale in tre tappe: 19 dicembre 2020, 20 e 21 febbraio 2021 e 12 giugno 2021. La tappa decisiva è quella del prossimo week end quando si terrà il voto che darà una nuova guida all'associazione. Per la presidenza concorrono l’attuale presidente Roberto Rossini e il vicepresidente e numero uno del patronato, Emiliano Manfredonia. Li abbiamo intervistati.


Quali sono i tratti distintivi del suo programma, rispetto a quello del competitor, in tre parole chiave?
Emiliano Manfredonia. Acli di parte e profetiche: dalla parte degli ultimi, di chi non ha voce o fa fatica; che tornino a parlare di Pace; capaci di rimettere al centro il lavoro, in particolare dei più giovani, rilanciando il proprio ruolo di promozione di nuove forme di imprenditoria sociale. Acli luogo di conversione: personale e comunitaria per ridare centralità al Noi. Acli a piramide rovesciata: per tornare a dare centralità alle periferie umane e territoriali è necessario un rinnovato investimento nello sviluppo associativo una profonda riforma organizzativa

Roberto Rossini. Ne direi due, Acli libere e forti. Servono Acli più libere per continuare le battaglie sociali e politiche a favore di un Paese più giusto, ancora libere nel dire dei sì e dei no con chiarezza, così libere da cogliere e alimentare la dimensione spirituale che c'è in ogni cosa e in ogni evento. Servono Acli più forti per difendere le persone, il bene comune e la pace in un tempo così difficile; per animare le nostre comunità promuovendo circoli per conservare i legami tra le persone, segretariati sociali per un vero welfare di prossimità, economia civile e formazione al lavoro per i giovani e per i lavoratori, cultura e preghiera. In Italia, in Europa e nel mondo. Un grande compito, insomma.

Un punto di forza e un punto di debolezze delle Acli oggi?
E.M. Il punto di debolezza: siamo troppo organizzazione e poco movimento, abbiamo dato troppo peso alla forma e poco alla sostanza. Il punto di forza: la presenza nelle comunità, la capacità di incontrare persone con i servizi, formare migliaia di ragazzi con il Servizio Civile e promuovere cittadinanza attiva attigendo dalle proprie radici cristiane.

R.R. Il punto in più sono le donne e gli uomini delle Acli : una rete umana popolare, appassionata e impegnata che ancora desidera essere formata: anzi, investiremo di più in formazione. Il punto critico è che questa ricchezza di umanità e di competenza deve essere realmente valorizzata, essere messa nelle condizioni di far partire una nuova stagione associativa e politica. Da una parte occorrerà porre dei limiti, delle regole, fare qualche riforma. Ma dall'altra servirà aprire un grande cantiere di impegno pubblico per vivere pienamente il nostro tempo.

Se diventerà presidente una volta chiuso il suo mandato vorrà essere ricordato per…
E.M. … il gruppo, una modalità di lavoro aperta e inclusiva. Vorrei fosse ricordata una stagione di semina e di colore: per aver animato stagioni importanti di rinnovata fiducia nelle potenzialità del futuro.

R.R. Solo per aver continuato la buona battaglia delle Acli a favore dei più poveri, degli uomini e delle donne, dei lavoratori. Essere una delle figure di Quarto stato, il quadro di Pelizza da Volpedo.

Se ne parla troppo poco, ma oggi il tema dell'occupazione in particolare giovanile è più che mai decisivo per il futuro del Paese: la prima cosa che dovrebbe fare il governo oggi?
E.M. I giovani che non studiano e non lavorano in Italia sono più di 2 milioni. Il Governo dovrebbe approvare un grande piano per l’apprendistato formativo per i giovani NEET, permettendo loro di raggiungere una qualifica di istruzione e una concreta opportunità di lavoro. È necessario coinvolgere le imprese cui manca manodopera specializzata, in una grande alleanza per i giovani e rafforzare l’infrastruttura formativa del nostro Paese. È attraverso il lavoro e non con l’assistenzialismo che si garantisce dignità ad ogni donna e ad ogni uomo, promuovendo contestualmente sviluppo economico e coesione sociale.

R.R. Ho appena scritto un libro… collettivo, intitolato Capitale umano. Le parole-chiave sono formazione professionale, talenti personali e collettivi, apprendistato, riforma dei Centri per l'impiego (i navigator non funzionano), filiere economico-sociali, infrastrutture tecnologiche e digitali. Usare bene il Recovery plan è già una buona risposta.


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