Welfare
Piano vaccinale, le Raccomandazioni per la Fase 2 un insulto alle persone con disabilità
Il j'accuse di Lisa Noja: «Sfuggono a qualsiasi logica i requisiti individuati per identificare le “persone estremamente vulnerabili”, che avranno diritto ad accedere alla vaccinazione subito dopo il completamento della copertura di tutti gli over 80. Solo per fare alcuni esempi, non sono incluse altre malattie neuromuscolari, come la SMA o le le distrofie muscolari di Duchenne e Becker, malattie metaboliche e lisosomiali e molte altre. Scelte discriminatorie e illogiche»
di Lisa Noja
È passato un anno dalla notizia della positività al Covid19 del paziente 1 di Codogno. Dodici lunghi mesi in cui i malati rari, come me, i pazienti affetti da altre gravi cronicità e, in generale, tutte le persone con disabilità hanno vissuto paura e fatica, tantissima fatica. Ogni singolo giorno. Una fatica che ha messo a durissima prova la resilienza di chi pure ha fatto di tale qualità un esercizio esistenziale.
Ebbene, dopo un anno come quello passato, non posso nascondere che leggere le Raccomandazioni sulle priorità della Fase 2 della campagna di vaccinazioni anti-SARS-CoV- 2/COVID-19, pubblicate dal Ministero della Salute l’8 febbraio scorso, è stato un pugno nello stomaco. Sfuggono, infatti, a qualsiasi logica i requisiti individuati per identificare le “persone estremamente vulnerabili”, che avranno diritto ad accedere alla vaccinazione subito dopo il completamento della copertura di tutti gli over 80.
L’esempio più eclatante di questa illogicità emerge con riferimento ai soggetti con “condizioni neurologiche e disabilità (fisica, sensoriale, intellettiva, psichica)”, in quanto tali condizioni sono definite dalle Raccomandazioni come “sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi multipla, paralisi cerebrali infantili, pazienti in trattamento con farmaci biologici o terapie immunodepressive e conviventi, miastenia gravis, patologie neurologiche disimmuni”.
Inspiegabilmente, non sono elencate numerose altre malattie rare che comportano comorbilità del tutto equivalenti e disabilità altrettanto gravi. E così, solo per fare alcuni esempi, non sono incluse altre malattie neuromuscolari, come la SMA o le le distrofie muscolari di Duchenne e Becker, malattie metaboliche e lisosomiali e molte altre.
Qualcuno potrà sostenere che l’elenco sia solo esemplificativo, ma questo non è precisato in nessun passaggio delle Raccomandazioni. Tanto che molte associazioni hanno ritenuto doveroso scrivere al Ministero della Salute per chiedere un immediato chiarimento. Analoghe incongruenze emergono anche con riferimento alle malattie respiratorie, dove si fa riferimento alla fibrosi polmonare idiopatica e ad “altre patologie che necessitino di ossigenoterapia”, omettendo di menzionare la fragilità delle tante persone che utilizzano il ventilatore polmonare, senza necessità di ossigeno. E ancora, per le patologie oncologiche, si indicano i “pazienti onco-ematologici in trattamento con farmaci immunosoppressivi, mielosoppressivi o a meno di 6 mesi dalla sospensione delle cure e conviventi. Genitori di pazienti sotto i 16 anni di età. Pazienti affetti da talassemia”. Rientrano nella priorità gli altri malati oncologici? Non è dato saperlo con certezza.
Queste lacune e contraddizioni a livello nazionale non potranno che indurre le Regioni a determinare in via autonoma, e spesso differenziata, le modalità di individuazione delle categorie delle persone “estremamente vulnerabili”, con il conseguente rischio che un paziente lombardo sia trattato diversamente da uno che risiede nel Lazio. Una discriminazione territoriale insopportabile tra cittadini che si trovano in condizioni di rischio del tutto analoghe. Del resto, questo è il risultato di un approccio che, adottando esclusivamente criteri medico- nosografici, rischia di tradursi in elenchi di patologie sempre incompleti, perché sfuggirà sempre qualcuno con rischio clinico assolutamente equivalente.
Non solo, questo approccio ha espunto dall’analisi tutte quelle criticità ambientali e relazionali di cui si dovrebbe necessariamente tenere conto nella definizione delle priorità. Nessuna rilevanza è data, infatti, alle difficoltà per molte persone con disabilità non autosufficienti o non collaboranti di praticare le misure di distanziamento, alle criticità di diagnosi (per molti effettuare un tampone è difficilissimo) o a quelle legate alle esigenze di isolamento e quarantena domiciliare o di gestione di un eventuale ricovero, né tanto meno si considera il rischio di un ulteriore isolamento sociale e
regressione cognitiva legato al contagio. Non è un caso, quindi, che le Raccomandazioni abbiano di fatto escluso dalla precedenza tutte le persone con disabilità intellettive e psichiche, salvo chi ha la sindrome di Down (inclusa solo per la frequente presenza di cardiopatie congenite che essa comporta).
Così come non avranno precedenza vaccinale persone con condizioni invalidanti, anche ove in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge n. 104/1992. Una certificazione chiara, rilasciata da INPS dopo una serie di accertamenti che danno assoluta certezza sulla condizione di fragilità di chi ne è titolare. Né sarà accordata una priorità ai caregiver delle persone con disabilità, e ciò nonostante si tratti di soggetti per i quali siano riscontrabili criticità analoghe a quelle individuate per il personale sociosanitario e per quello delle RSA. Nelle Raccomandazioni, infatti, solo con riferimento ad alcune specifiche patologie è indicata come prioritaria anche la vaccinazione dei conviventi della persona malata, mentre in tutti gli altri casi questa raccomandazione non è presente.
Qualcuno può pensare che queste considerazioni lascino il tempo che trovano perché comunque oggi le dosi vaccinali sono poche, insufficienti a coprire tutti i fragili e, quando ne avremo molte, il problema sarà automaticamente superato. E’ un osservazione che non tiene conto del livello di frustrazione che questa situazione di incertezza, questa impossibilità di avere anche solo una prospettiva temporale sta generando in chi da mesi combatte una battaglia silenziosa e costante per sfuggire al virus, cercando di continuare a lavorare e a vivere, almeno un pochino, seppur in uno stato di sostanziale isolamento sociale.
Le persone vulnerabili, come ho detto, sono capaci di prove straordinarie di resilienza, ma non esiste possibilità alcuna di adattarsi a scelte sanitarie illogiche, discriminatorie, in ultima analisi eticamente inaccettabili. Questo la politica non può e non deve ignorarlo.
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