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Economia & Impresa sociale 

Abbiamo portato lo smartworking in cella

Grazie alla cooperativa sociale bee.4 Altre Menti nel carcere di Bollate la connettività non è più un tabù, complice la pandemia da Covid-19. «Un’autentica rivoluzione per quelli che sono i canoni dell’universo penitenziario oltre ad essere una nuova chiave interpretativa per l’approccio al tema del lavoro in carcere», dice Pino Cantatore direttore della cooperativa

di Antonietta Nembri

Per Marco Girardello, che si occupa della comunicazione per la cooperativa sociale bee.4 Altre Menti quella in corso è una vera «rivoluzione. Stiamo titillando un tabù del mondo carcerario».
Il tabù è la connettività, internet in cella. Ma per un’impresa sociale («concepita dentro la galera» chiosa Girardello) fondata nel 2013 per avvicinare il percorso di detenzione alla finalità rieducativa della pena prevista dalla Costituzione e che lavora offrendo servizi alle imprese di Business process outsourcing (quali assistenza clienti, back office ecc…) dover fare a meno di 10 operatori su 50 in un colpo solo perché messi in isolamento a causa della pandemia significa «rischiare di perdere il cliente e di conseguenza buttare i posti di lavoro» scandisce Girardello. La soluzione in casi come questi è lo smartworking o l’home working che ci sta accompagnando da un anno.


Il call center della cooperativa bee.4 nell'area industriale del carcere di Bollate

Ma come fare smartworking considerando che la bee.4 però lavora all’interno della Casa di Reclusione di Milano Bollate? I dieci lavoratori sono persone detenute che, appunto, per un focolaio epidemico da Covid-19 si sono ritrovate in isolamento e nell’impossibilità di recarsi nella sede di lavoro che si trova nell’area industriale dello stesso carcere.

«I nostri clienti si attendono da noi continuità nell’operatività. La pandemia ci ha messi di fronte a diverse dinamiche, ma quest’ultimo avvenimento ci ha fatto fare un passo in più» continua Girardello. «Rinunciare voleva dire perdere di colpo tutti i posti di lavoro legati alla commessa. Per cui abbiamo “remotizzato” le postazioni di lavoro». La soluzione, non scontata, è stata quella di portare la connessione wifi direttamente nelle celle dei dieci lavoratori della cooperativa per permettere loro di continuare a operare per il call cente

Grazie alla lungimiranza della direzione dell’Istituto, infatti, è stato possibile elaborare un protocollo straordinario di intervento che sta consentendo in questi giorni di sperimentare questa nuova modalità di lavoro “a domicilio” fondato sull’accesso a forme di connettività alla rete internet, ovviamente, nel rispetto dei limiti di sicurezza previsti dall’Amministrazione Penitenziaria. A rendere possibile questa sperimentazione – precisano dalla cooperativa sociale – anche e soprattutto il supporto fornito da Fondazione Vismara nell’ambito del progetto “Lavorare ne vale la pena”
Osserva il direttore della cooperativa sociale bee.4, Pino Cantatore «la remotizzazione delle postazioni di lavoro in cella rappresenta un’autentica rivoluzione per quelli che sono i canoni dell’universo penitenziario oltre ad essere una nuova chiave interpretativa per l’approccio al tema del lavoro in carcere».

Dopo alcuni giorni (lo smartworking è partito il 17 febbraio) «possiamo dire che questa cosa funziona», osserva Girardello per il quale l’aspetto più importante è l’opportunità che questa sperimentazione offre in termini di lavoro e crescita personale. «Il carcere è il luogo della chiusura, del contenimento, ma è anche un contesto che deresponsabilizza. Con il lavoro invece rimettiamo tutto in gioco, la rieducazione è anche responsabilizzare le persone. La responsabilità è terapeutica e stiamo dimostrando che è praticabile» spiega. «Noi abbiamo portato i computer in cella, affidato strumenti che sono importanti non solo dal lato lavorativo, ma anche personale perché con la connettività cambia tutto. Anche se si tratta di una connettività protetta, filtrata e protocollata».

La scommessa dell’impresa sociale bee.4 è quella di sfruttare la tecnologia, «devi avere il know how giusto per vendere servizi di terziario avanzato e se spingi tutto questo le persone che lavorano con te a fine pena possono ancora giocarsi questa opportunità: a casa o in una sede esterna» precisa Girardello sottolineando come il lavoro in team, la presenza di team leader e l’attenzione alla formazione siano gli ingredienti fondamentali. «Concretamente metti le persone in un’ottica di possibilità che riesce a far immaginare una modalità di pena diversa che è rieducazione», conclude.


Tutte le immagini sono fornite da cooperativa sociale bee.4 Altre Menti


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