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Politica & Istituzioni

Draghi, perché non parli?

Un comunicatore spiega come il Presidente del Consiglio stia parlando per atti più che con parole. Spesso parlar troppo diventa un farsi parlare. Poi arriverà il tempo anche delle interviste

di Edoardo Caprino

“Perché non parli?” come dei novelli Michelangelo di fronte al Mosé nel mondo nostrano dei media la domanda si rincorre ogni giorno di più. Destinatario il Presidente del Consiglio Mario Draghi. Dopo anni di ubriacatura mediatica da parte degli inquilini di Palazzo Chigi – Giuseppe Conte è stato solo l’ultimo, gli osservatori dei Palazzi romani stanno andando ai matti con un personaggio che non ha un profilo social, che tiene discorsi di sette minuti, che non ha concesso – ad oggi- ancora un’intervista e che parla per atti.

Non siamo abituati a questa “dieta tedesca” più appropriata, per alcuni, alla Cancelleria di Berlino che a Roma. Ma è così? “Un consiglio più generale. Bisogna scoraggiare la smania di comunicazione. Spesso parlar troppo diventa un farsi parlare”. L’autore di questa massima è uno dei “principi” dei Portavoce italiani, Tonino Bettanini. La si può recuperare nel suo libroIo, il portavoce”, un volumetto pubblicato nel 1995 e che voleva essere – per l’epoca – una guida pratica su come organizzare dal nulla l’ufficio stampa di un’azienda, di un partito e via dicendo. Bettanini ha innovato, come pochi, la figura del portavoce di Ministri e uomini di partito. Come ricordava Paolo Franchi in occasione della presentazione del volume – l’audio dell’incontro è ancora disponibile su Radio Radicale, e mai sarà ringraziata l’emittente per questa prodigiosa memoria storica comune da loro conservata – il portavoce sino ad allora era a sua volta un uomo politico fatto e finito, un censore e non solo. Il perfetto rappresentante della categoria- per Franchi – era stato Tonino Tatò, il mitico portavoce e ufficio stampa di Enrico Berlinguer. Con l’arrivo del “marziano” Bettanini a Roma – proveniente dalla sua amata Genova – al seguito di Claudio Martelli la professione del portavoce ha fatto un profondo salto in avanti. Bettanini lo racconta molto bene nel suo – ahinoi – quasi introvabile volume.

Certo i tempi sono cambiati; i comunicati non si mandano con il fax .Oggi i giornalisti si bombardano con whatsapp, sms e chat varie – altro che la difesa delle segreterie di redazione invocata sempre da Franchi – ma lo stile e le regole sono – o dovrebbero essere- ancora oggi immutate. Un portavoce, specie se risponde a un Ministro o opera all’interno di una pubblica Istituzione, è la figura più adatta a trasmettere la trasparenza del Palazzo. Si può pensare che in questo momento manchi comunicazione e trasparenza da parte dei Palazzi del Governo? Certo che no. E’ solo cambiato lo stile di comunicazione: si parla per atti. E in alcuni casi che atti. Si pensi solo al blocco dell’esportazione di vaccini verso l’Australia. Una disposizione richiesta da Draghi per nulla strillata e annunciata con messaggini e vocali per “scaldare il clima”, ma potente come non mai. Un provvedimento che nessun leader europeo- Merkel e Macron in primis- aveva mai ipotizzato.

Torniamo al Bettanini pensiero perché ancora una volta ci viene incontro per affrontare la situazione odierna “non dovete…commettere l’errore strategico – ma anche etico- di pensare che il vostro lavoro consista sempre e soltanto nel promuovere la visibilità del vostro personaggio”. Occhio al temine. Bettanini non parla solo di errore strategico- e passi – ma etico. E qui entriamo in una sfera che negli ultimi anni, per qualcuno, puzza di stantio. L’etica del professionista non è cosa da poco, non è un orpello. E’ il tutto. Per questo meglio un tiro di freno rispetto alla comunicazione mediatica se il rischio è un’effimera ricerca di visibilità che può superare anche limiti etici. Draghi non lo vedremo probabilmente mai in un talk show, ma sicuramente troverà, anche nell’immediato futuro, le modalità per una comunicazione più fluida e diretta con gli italiani. Il discorso tenuto a Bergamo (nella foto), breve ma intenso, ha già fatto vedere un cambio di passo. Più emozionato- e non poteva essere altrimenti- e più sentito. Il Presidente del Consiglio, in occasione di questa particolare situazione che la Nazione sta vivendo, potrebbe introdurre un appuntamento settimanale nel corso del quale fa il bilancio di quanto compiuto. Un “discorso del caminetto” nel fine settimana: dieci minuti durante i quali in prima persona racconta alla popolazione cosa è stato fatto e cosa si intende fare.

Nulla di nuovo: basta orientare la testa a Washington e pensare a quegli appuntamenti fissi di diversi Presidenti. Sarebbe un’innovazione non da poco. E poi arriverà sicuramente il tempo per qualche intervista di peso sulla stampa. Italiana e estera. Diamo il tempo a Draghi di cambiare un modus operandi maturato in più di quarant’anni di attività.

La foto di Draghi a Bergamo – Ag.Sintesi


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